Gallo, Muzio – Cardinale (Osimo, 15 apr. 1721 – Viterbo, 13 dic. 1801).

Di nobile fami­glia, nel 1743 s’iscrisse al triennio di studio della Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici, con­seguì poi alla Sapienza il titolo di dottore in utroque iure. Iniziò la sua carriera ecclesiastica in qualità di governatore di Narni (1751); passò poi a San Seve­rino l’anno successivo e a Norcia nel 1753. Gover­natore di Camerino dal 1759, nel 1764 affrontò con piglio e spiccato senso pratico la terribile carestia che aveva colpito la cittadina e gran parte dello Stato pontificio, confiscando le riser­ve di grano per farle distribuire ai poveri. Trasferito in quell’anno a Civitavecchia, per le sue doti di am­ministratore fu incaricato del governatorato di Ma­rittima e Campagna nel 1765. Fu segretario del Sa­cro Collegio dei cardinali dal 1767 al 1770; nel 1769 fu segretario della Sacra Congregazione Concisto­riale e dei Riti. Nel 1770 ricevette il diaconato e la nomina di canonico di S. Pietro; fu inoltre protono­taro apostolico onorario.

Nel concistoro del 14 feb. 1785 Clemente XIII lo elevò al cardinalato; l’11 apri­le successivo ricevette la berretta cardinalizia e il ti­tolo di S. Anastasia. Nello stesso concistoro fu no­minato vescovo di Viterbo e Toscanella (oggi Tu­scania); la consacrazione episcopale, celebrata dal cardinal De Zelada, ebbe luogo il 17 apr. 1785. L’in­carico si mostrò sin dagli esordi di particolare deli­catezza: da due anni la diocesi non aveva un pasto­re, ma era amministrata dall’arciprete Alessandro Brugiotti. Le tensioni tra municipalità e autorità re­ligiosa sorte in seguito all’incameramento dei beni dei Gesuiti (ordine soppresso nel 1773) e dissidi tra le due città che componevano la diocesi avevano in­dotto il cardinal Paolo Francesco Antamori a rinun­ciare al vescovado di Viterbo e Toscanella per opta­re per la diocesi di Orvieto. G. s’insediò a Viterbo ai primi di giugno e presenziò a tutte le cerimonie pub­bliche, tra le quali va ricordato il battesimo solenne in cattedrale del moro Mustà di Ottmann, maomet­tano convertito al cattolicesimo. Il discorso pronun­ciato in quell’occasione produsse una grande im­pressione sui presenti e fu stampato subito dopo dal Poggiarelli (Sacra allocuzione fatta nella sacros. chiesa cattedrale di Viterbo dall’eminentissimo, e reverendissimo sig. cardinale Muzio Gallo […] in occasione del solenne battesimo del moro Mustà di Ottmann nato in Tripoli già Maumettano […]).

G. dovette subito intervenire nella querelle sorta in me­rito alla rivendicazione degli abitanti e dei religiosi di Toscanella che chiedevano che la diocesi venisse designata come di Toscanella e Viterbo, contrariamente a quanto si era sempre fatto. Il vescovo pre­cisò in quell’occasione che, secondo consuetudine, il primo nome spetta alla città dove il vescovo risie­de. Iniziò poi un’intensa opera di riorganizzazione amministrativa, che venne però interrotta dagli esiti della rivoluzione francese. Poco dopo il suo arrivo a Viterbo diede avvio ad una prima visita pastorale annunciata da un editto e da una lettera pastorale (Istruzzione pastorale dell’eminentissimo, e reverendissimo Signore Cardinale Muzio Gallo vescovo di Viterbo, e Toscanella in occasione della S. Visita, In Viterbo, MDCCLXXXV, Per Domenico Antonio Zenti Impressor Vescovile) e proseguita per alcuni anni anche per il fatto che ad ogni luogo visitato il G. aveva chiesto una serie molto ampia di documentazione che gli doveva essere presentata prima dell’avvio della visita; una seconda visita  fu realizzata negli anni Novanta e una terza riguardò, nel 1801, solo Civitavecchia.

Quando dalla Francia ini­ziò il continuo flusso di religiosi che, per sfuggire al regime repubblicano, chiedevano asilo allo Stato Pontificio, per ordine di Pio VI, organizzò con solle­citudine un ricovero dove i profughi che arrivavano da Roma potessero trovare asilo. Sorse allora l’Ope­ra Pia dell’ospitalità viterbese. In quegli anni spes­so il vescovo si trovò a far fronte a situazioni d’emergenza, conseguenza delle frequenti scorri­bande e razzie delle truppe napoletane e austriache sul territorio viterbese. La città stessa, priva di mez­zi per approntare una difesa armata, era spesso ves­sata dalle incursioni delle diverse guarnigioni di pas­saggio; il clima particolarmente teso provocò la scin­tilla da cui scaturì la definitiva rottura tra la Francia e lo Stato Pontificio: a Viterbo l’ambasciatore fran­cese Giuseppe Bonaparte fu insultato e preso a sas­sate il 29 dic. 1797. Nonostante le note conseguen­ze, G. rimase al suo posto: lasciato l’abito episcopa­le, continuò a tentare in abito borghese la mediazio­ne con le frange più estremiste della cittadinanza per evitare che la tensione degenerasse in violenza. Intervenne in tal senso in difesa di un gruppo di soldati francesi che, in fuga davanti all’incalzare dei napo­letani nel nov. 1798, si rifugiò a Viterbo. Gli ultimi anni furono i più difficili: all’avvicendarsi delle trup­pe francesi e austriache si aggiunse, nel 1801, un grave incidente durante la festa di santa Rosa, la più sentita dai viterbesi: la gigantesca macchina che sfi­lava per la città si incendiò e cadde rovinosamente provocando numerose vittime e feriti, anche tra gli ecclesiastici che accompagnavano il corteo.

G. morì nel dicembre di quell’anno, lasciando ampia testimonianza dell’intensità con cui aveva vissuto i diciassette anni di epi­scopato: il restauro della cattedrale e il dono alla cat­tedrale di un prezioso calice d’argento con il suo stemma, un gallo inserito nella croce dell’Ordine di Malta di cui era cavaliere. Nella cattedrale viterbe­se, sull’ingresso della sagrestia che egli aveva ri­strutturato, nel 1794 i canonici eressero al loro vescovo un busto marmoreo eseguito dallo scultore Agostino Penna.

BIBL. – HC, VI, pp. 34, 444; Silvagni 1971, II, pp. 155, 282; Vittorio Emanuele Giuntella in DHGE, XIX, coll. 883-834 (con rif. alle fonti d’archivio e bibl.); Polidori 1992, pp. 25-­27; Weber 1994, p. 687 (con rif. alle fonti d’archivio e bibl.).

[Scheda di M. Giuseppina Cerri – Isri; integrazione di Luciano Osbat – Cersal]