Schenardi, Raffaele – Albergatore (Sec. XVIII-Sec- XIX)

L’avvio del Caffè Schenardi si colloca nel 1818 in un edificio storico già appartenuto alla famiglia Chigi, poi ai Bussi, in seguito alla famiglia Verreschi e nel XVIII secolo a Giuseppe Cassani, appaltatore delle Poste pontificie. Nel 1798 l’edificio fu adattato ad albergo (assunse il nome di “Albergo Reale”) e la parte al piano stradale destinata a pubblico ritrovo. Nel 1818 l’albergo fu rilevato da Raffaele Schenardi, figlio di Gioacchino, napoletano di origine, proveniente da Roma, che mutò il nome in “Albergo Schenardi”  e attrezzò il piano terra a ristorante e ritrovo dove la società borghese di Viterbo dell’Ottocento si abituò a ritrovarsi anche per la qualità dei prodotti, in primo luogo la pasticceria. In quella sede si riuniva il Circolo Popolare e gli entusiasti della Repubblica Romana alla metà del secolo.

Raffaele aveva tentato di sposare nel 1820 Agata Salvi ma il matrimonio andò a monte per l’opposizione della Curia di Viterbo e allora sposò Vittoria Simeoni dalla quale ebbe Vincenzo, Maria, Camilla, Giuseppa,  Filomena, Crispino e Gioacchino. Probabilmente nel 1855 Raffaele muore e nello stesso anno Vincenzo, divenuto capo della famiglia, fa restaurare il Caffè su disegno di Virginio Vespignani e venne fuori quella galleria a due navate con una duplice serie di volte a crociera sostenute da otto colonne che ha caratterizzato l’ambiente del caffè sino ad oggi. Successivamente Vincenzo e Crispino (o Vincenzo e Fratelli Schenardi) gestirono il locale fino al 1890 quando lo diedero in affitto  a Riccardo Remondini e poi a Vincenzo Colesanti, poi a Renato Coltellacci, alla Società Viola e Pelliccioni.  Negli anni Venti del Novecento il caffè Schenardi attraversò un periodo di crisi; si giunse fino ad ipotizzare la cessione dei locali ad una banca. Nel 1927 Teodolinda Schenardi Bianchini affitta il caffè ad Antimo e Pietro Javarone ai quali subentreranno i figli Adriana, Celestino, Carlo e Renzo. Gli Javarone acquistano l’immobile nel 1953 dagli ultimi eredi Schenardi che sono Maria Luisa Bianchini e Vincenzo Bianchini.

Nel 1960 Renzo Javarone gestiva quello che era stato ribattezzato il “Gran Caffè Schenardi” insieme al fratello Celestino. Erano gli anni in cui era sindaco Domenico Smargiassi e Presidente della Provincia Ferdinando Micara. Renzo Javarone inventò la “Fiaccola etrusca” come contrapasso alla “Fiaccola olimpica” (era l’anno delle Olimpiadi a Roma) che partì da Tarquinia per arrivare a Roma nel luglio di quell’anno. Il loro locale tornò ad essere al centro della vita culturale della Città grazie ad iniziative come gli “Amici del sabato sera”. Nel 1980 il locale chiuse per restauri e riaprì nel 1987 a cura dei nuovi proprietari che, a quella data, erano Dante Bagnaia, il figlio Andrea Bagnaia-Rosati e Lanfranco Lanzi.

Il 31 dicembre 1980 il locale è stato dichiarato di “particolare interesse storico” ed artistico dal Ministero per i beni culturali. Dopo il 1987 il  “Gran Caffè Schenardi” è stato gestito dalla Società G.P.E. formata da Giovanni Roma, Sergio Fontana, Fabio Purchiaroni e Mario Rocchetti.

BIBL. e FONTI – : Cedido, Archivio della parrocchia di S. Giovanni Evangelista, “Stati delle anime”; “Registro dei matrimoni”. M. Galeotti, L’illustrissima Città di Viterbo, Viterbo 2002, ad indicem;  G. Falcioni, Schenardi. Fatti, notizie e uomini di un caffè storico in occasione della riapertura al pubblico. Viterbo, 28 maggio 1987, Viterbo, 1987; V. Ceniti, L’altroieri a Viterbo, Viterbo, Casa Editrice Serena, 2019, pp. 59-63.

[Scheda di Luciano Osbat – Cersal]