Albornoz Gil (Egidio) de – Cardinale (Cuenca [Nuova Castiglia], 1290/1300 – Viterbo, 23 ago. 1364/1367)

Nacque nell’ultimo decennio del sec. XIII da una famiglia appartenente alla piccola nobil­tà. Dopo aver compiuto i primi studi, avendo forse come maestro il futuro Innocenzo VI, a Tolosa, ne divenne arcivescovo nel 1338, oltre ad assumere la carica di cancelliere del re. Partecipando poi, come legato papale alla ripresa della crociata contro i mu­sulmani, acquistò una buona pratica di guerra. Non approvando le idee del nuovo re Pietro il Crudele, alla fine del 1350 A. abbandonò la Castiglia per accettare l’invito del papa Clemente VI, che il 17 di­cembre lo fece cardinale del titolo di S. Clemente, mentre nel dic. 1356 divenne cardinale vescovo di Sabina. La sua buona fama sia come arcivescovo che cardinale, e la sua pratica di guerra e di mano­vre diplomatiche unitamente alla sua dottrina di ca­nonista, appresa durante gli studi universitari, lo re­sero l’uomo più adatto alla grande azione di ricon­quista dello Stato della Chiesa in Italia, per la qua­le è famoso.

Nominato il 30 giugno 1353 da Inno­cenzo VI legato in Italia e vicario generale nei do­mini della Chiesa, riuscì nell’arco di cinque anni a riportare la tranquillità, recuperando le città usurpa­te durante l’assenza dei papi ad Avignone. Con la carica di vicario poteva porsi come vice del papa con ampie facoltà legislative; tale concentrazione di poteri, che sopperivano a una situazione finanziaria disastrosa (il cronista Matteo Villani dice che il le­gato aveva l’animo grande ma «la fronda vuota») lo aiutarono nel reperire nelle città italiane un piccolo esercito, con il quale il 20 nov. 1353 entrò nel Pa­trimonio di San Pietro in Tuscia, la provincia eccle­siastica nella quale intendeva iniziare la sua ricon­quista. Qui egli si scontrò contro la potenza del pre­fetto Giovanni di Vico, che, dalle sue forti sedi di Orvieto, Viterbo, Vetralla e Corneto (oggi Tarqui­nia), spadroneggiava su quasi tutto il Patrimonio: dopo un vano tentativo di intesa fu scomunicato il 17 dicembre, mossa che costò al legato la segrega­zione nella rocca di Montefiascone per tutto l’in­verno, assediato dai seguaci del prefetto. Tale situa­zione evidenziò anche la carenza di rocche fortifi­cate all’interno del Patrimonio che potessero venire in aiuto all’autorità ecclesiastica.

Nella primavera del 1354 con nuove finanze venute da Avignone, l’azione bellica contro il di Vico fu rinforzata da un nuovo esercito. Dopo aver inutilmente assediato Or­vieto, il 18 marzo dello stesso anno, Toscanella (oggi Tuscania) e altre località minori (Montalto il 2 apr. e Piansano) si arresero. Con l’aiuto di milizie romane fu presa Viterbo, la cui conquista era stata anche aiutata dalla corruzione di alcuni cittadini, pa­gati per aprire le porte all’esercito vaticano; mentre Corneto, assediata per terra e per mare, resistette nel marzo-apr. 1354. Tuttavia queste tre città, caposal­do della potenza del di Vico, furono riconquistate dall’A. al momento della sottomissione di Giovan­ni di Vico, avvenuta il 5 giugno. Della sua potenza rimaneva solo Vetralla che, nonostante una proposta di vendita per 16.000 fiorini, non fu acquisita per volere di papa Innocenzo VI. La città di Viterbo si sottomise il 23 giugno, il vicario vi entrò il 26 lu­glio per dare inizio alla costruzione della rocca, vi­cino porta Fiorentina, o di S. Lucia, per la quale ven­ne raso al suolo l’ospedale di S. Angelo, sorto un se­colo prima, e inglobati edifici precedenti tra i quali la casa di un certo messer Campana. La roccaforte doveva costituire una difesa anche da Giovanni di Vico, ancora abitante della città, secondo i patti del 5 giugno. Tale privilegio, ritenuto troppo pericolo­so, fu poi barattato dall’A. con la carica di vicario papale a Corneto. La rocca sarà sede di Urbano V per poco tempo: alla morte dell’A. la debolezza del­la Curia pontificia si paleserà e il papa abbandone­rà Viterbo per Avignone, di fronte alle sommosse dei Viterbesi che vedranno di nuovo sorgere la si­gnoria dei di Vico, con l’incendio del palazzo a ope­ra di Francesco.

I successi dell’A. portarono vari si­gnorotti e città alla sottomissione volontaria che vide una loro assimilazione dolce nello Stato della Chiesa come vicari gli uni e signorie le altre. La pa­cificazione della provincia avvenne poi a Montefia­scone con la convocazione del parlamento provin­ciale il 30 sett. 1354, alla quale aderirono tutti i no­bili e i rappresentanti delle città e dei castelli e nel­la gestione della quale si possono evincere e ammi­rare le capacità politiche e diplomatiche dell’A. che trattò ogni realtà distintamente per ricostituire, sen­za imposizioni di forza, il dominio papale. Anche di Vico vi andò e fece ricognizione dei castelli di An­corano, Civitavecchia, rivendicato anche dai Ro­mani, Tolfa, in realtà degli Anguillara, e Blera. La città di Rieti fu assegnata in feudo agli Alfani.

Ri­pristinato il potere papale nella Tuscia, egli si rivol­se a sanare la situazione nel Ducato di Spoleto, nel­la Marca di Ancona e in Romagna, dove l’avanzato processo di disgregazione particolaristica e l’in­fluenza di altri potentati, quali i Visconti, rendeva­no più difficile l’impresa. Pacificato il ducato di Spoleto nell’inverno 1355 e la Marca nell’estate del­lo stesso anno, in Romagna, l’A. si scontrò con l’astuzia di Bernabò Visconti che riuscì, nonostante i successi del vicario, ad acuire i contrasti con il papa, il quale, inaspettatamente, il 17 marzo 1357, con un biglietto avvisò il nunzio della sua destitu­zione in favore di Androino della Rocca, abate di Cluny. Tornato tuttavia ad Avignone, l’A. fu richia­mato dal papa al suo incarico, vista l’inadeguatezza a tale compito del nuovo legato. Partito il 6 ott. 1358 da Avignone, riuscì a ottenere vari successi con i Vi­sconti e a conquistare Bologna. La morte di Inno­cenzo VI il 12 sett. 1362 portò un nuovo papa in Ur­bano V che non si trovò d’accordo sulla metodologia di conquista dell’A. e che gli preferì ancora una volta Androino. Tuttavia il ritorno del papa in Ita­lia, sbarcato a Corneto il 4 giugno, dove incontrò l’A., e stabilitosi nella rocca di Viterbo il 9 per un lungo periodo, portò i due a una riappacificazione; A. morì improvvisamente pochi mesi dopo nella bastita di Buonriposo, vicino Viterbo. Il suo corpo, per sua volontà, fu sepolto nella cattedrale di Toledo. Moderato ma deciso, 1’ A. non si seppe contraddi­stinguere solo per le sue capacità politiche militari, ma anche per quelle di gestione amministrativa, opera che tradusse praticamente nella redazione del­le Constitutiones, che permisero allo Stato della Chiesa una vita ordinata e prospera.

BIBL. – Moroni, I, pp. 205-206; Calisse 1887, pp. 1-136, 354-­594; Calisse 1892, pp. 5-70; Pinzi 1893, p. 84-85; Ermini 1894; Antonelli 1902-03, pp. 335-395; Signorelli, I, pp. 370-­376, 400-406; Filippini 1933; Poi y Marti, in Enc. Cattolica, II, coll. 715-717; Dupré Theseider 1959, pp. 7-19; Eugenio Dupré Theseider in DBI, 2, pp. 45-53; ABI, I, 24, pp. 309-­313; II, 8, p. 253; Rendina 2001, pp. 577, 616, 719, 768, 772, 802,812, 825.

[Scheda di Maria Cristina Romano – Srst]