Traiano, Marco Ulpio (M. Ulpius Traianus) – Imperatore (Italica, 53 d. C. – Selinunte di Cilicia, 117 d. C.).

Di famiglia senatoria (il padre aveva rivestito gli altissimi uffici di governatore di Siria e proconsole d’Asia sotto Vespasiano), percorse le varie tappe del cursus honorum: fu tribuno militare per l’eccezionale durata di un decennio (71-81); pretore verso l’87; legato di legione in Spagna nell’89, incarico nel corso del quale fu chiamato in Germania da Domiziano per sedare la rivolta di Antonio Saturnino; console ordinario nel 91; governatore della Germania Superiore a partire dal 96.

Alla morte di Nerva (98) che lo aveva adottato e associato al potere, assunse l’impero. Le fonti prin­cipali sul suo regno sono rappresentate dal decimo libro dell’epistolario pliniano e dal Panegirico che lo stesso Plinio pronunciò nel 102 davanti al Senato. In politica interna il suo provvedimento più noto fu la riorganizzazione degli alimenta, un istituto assistenzialistico, avviato già da Nerva, la cui finalità era quella di reperire fondi da destinare ai figli delle famiglie italiche più indigenti. Il meccanismo è illustrato da un celebre documento epigrafico contemporaneo, la Tavola di Velleia (CIL, XI, 1147): gli agricoltori ricevevano un prestito dal fisco imperiale ad un tasso d’interesse pari al 5% annuo, in cambio dell’impegno ad ipotecare una parte dei loro terreni. Gli interessi, della cui riscossione si occupavano funzionari di rango equestre chiamati praefecti alimentorum, finanziavano un piano per la distribuzione mensile di frumento o di denaro a fanciulli, di età inferiore ai 18 anni, e fanciulle, di età inferiore ai 14. L’importanza data da T. a tale istituto è dimostrata dal fatto che esso fu celebrato ufficialmente nell’Arco di Benevento. In politica estera la conquista della Dacia, ottenuta al termine di due distinte campagne militari (101-102; 105-106), garanti a Roma lo sfruttamento delle miniere d’oro e d’argento presenti nel Paese; contemporaneamente alla fine delle operazioni daciche fu avviata la sottomissione del territorio dei Nabatei che portò alla costituzione della provincia d’Arabia Petraea, corrispondente alla odierna Giordania e alla penisola del Sinai, una zona di grande importanza strategica per il controllo del traffico carovaniero e delle vie commerciali marittime verso l’India. Infine, nel 114 T. organizzò una grande spedizione contro i Parti, durante la quale furono occupate l’Armenia, l’Assiria e la Mesopotamia e fu presa anche la capitale partica Ctesifonte. Durante la marcia di ritorno mori in Cilicia nell’ag. del 117.

Il legame di T. con il territorio laziale è tutto racchiuso in un nome: Centumcellae, l’odierna Civitavecchia. Il nome di Centumcellae compare per la prima volta in una lettera che Plinio il Giovane scrisse al suo amico Corneliano nel 107 d. C. (epist., VI, 31): «Sono stato chiamato a consiglio dal nostro imperatore a Centocelle (questo il nome del luogo)». Il luogo fu scelto da T. per la costruzione di un grande porto che risolvesse il problema degli approvvigionamenti marittimi di Roma. Come è noto, tutte le merci transmarine di cui l’Urbe aveva bisogno pervenivano, fin da epoca molto antica, attraverso il Tevere, alla cui foce era stato costruito un punto d’approdo munito di banchine. Le operazioni di ca­rico e scarico, tuttavia, erano molto difficoltose: soltanto piccole navi potevano risalire il corso del Tevere e giungere al Vicus Alexandri sulla via Ostiense o addirittura più lontano, cioè l’Yemporium e agli horrea posti ai piedi dell’Aventino. Le navi di maggiori dimensioni dovevano rimanere al largo e scaricare le merci su imbarcazioni più leggere. L’aumentare dei traffici aggravò ulteriormente la situazione, tanto da imporre la costruzione di un porto. Claudio (41-54 d. C.) lo fece realizzare a 2 km a nord della foce del Tevere per evitare il rischio dell’insabbiamento, ma nel 62 una violenta mareggiata distrusse circa 200 navi ancorate nel porto (Tac. Ann., XV, 18, 2), rivelando l’inadeguatezza del progetto. Agli inizi del sec. il T. cercò di risolvere il problema costruendo un bacino portuale più interno di forma esagonale, collegato non solo con il porto claudiano, ma anche con il Tevere mediante un canale chiamato Fossa Traianea (oggi Canale di Fiumicino). La realizzazione della via Portuense potenziò i collegamenti terrestri con Roma. Eseguendo tali lavori, tuttavia, l’imperatore comprese che era vano lottare contro le forze della natura e che un giorno le sabbie del Tevere avrebbero sepolto l’intera opera.

Per questo motivo volle dotare Roma di un porto più duraturo, creandolo in un posto dove le condizioni del fondo marino e delle correnti litoranee lo consentissero. La scelta cadde felicemente sul sito di Centumcellae. L’avvertenza di Plinio hoc loco nomen dimostra che il nome della località era sconosciuto. L’etimologia lo fa derivare da cellae, termine che in latino può designare le profonde insenature di una costa, e dal numerale centum, ad indicarne una quantità indeterminata, ma relativamente notevole. T. non si limitò alla realizzazione di un porto maggiore; all’interno di questo ricavò un porto minore, da destinare a navi in disarmo o in lunga sosta. La costruzione, più tardi denominata «darsena», era di forma rettangolare ed era completamente circondata da un muro, tranne che sul lato in cui comunicava con il porto maggiore. Il complesso era sovrastato dalla bellissima villa di T. (Plin. epist., VI, 31, 15: «villa pulcherrima cingitur viridissimis agris, imminet litori, cuius in sinu fit cum maxime portus»). Qui l’imperatore si ritirava al ritorno dalle campagne militari per assicurarsi un periodo di riposo e spesso vi convocava il suo consilìum, di cui faceva parte lo stesso Plinio. Dall’alto della villa il senatore Plinio potè vedere la progressiva realizzazione dei lavori del porto, che vengono descritti nella parte finale della sua celebre epistola. All’epoca era stato ultimato il molo di sinistra e si stava procedendo alla formazione di un isolotto frangionde che consentisse un ingresso più tranquillo alle navi. Sulle estremità dei due moli sorgevano, come si apprende dal poeta Rutilio Namaziano (De reditu suo, I, 239-242), torri con funzioni di faro. Su una di queste svettava una statua di Nettuno, alla quale forse apparteneva il colossale braccio di bronzo tratto dalle acque della darsena nel 1834 e oggi custodito ai Musei Vaticani.

BIBL. – Calisse 1936, pp. 16-27; Bastianelli 1954, pp. 11-18, 23; Garzetti 1960, pp. 321-389; Torelli 1980, pp. 112-119; Pavolini 1983, pp. 277-284.

[Scheda di Andrea Maurizio Martolini – Insr]