Rosa da Viterbo, t.o.f. – Santa (Viterbo, ca. 1233 – ivi, 6 marzo 1251).

Due sono i documenti più antichi relativi alla santa: il primo è la bolla Sic in Sanctis suis emanata da Innocenzo IV  il 25 nov. 1252, con la quale fu ordinato al priore dei Frati Predicatori del convento di Gradi e all’arciprete di S. Sisto di Vi­terbo di raccogliere testimonianze giuridiche sul­la vita e sui miracoli di R. per poter procedere alla canonizzazione, che però non ebbe luogo; il se­condo è un frammento membranaceo con la vita della santa (Vita I) scritto nel sec. XIII, attualmen­te conservato presso l’archivio del monastero di S. Rosa di Viterbo.

Quest’ultimo testo è stato ripro­dotto, con alcune omissioni e amplificazioni, in una biografia dell’inizio del sec. XV che utilizza anche altre fonti scritte e tradizioni orali (Vita II). Sulla base del secondo processo di canonizzazio­ne, promosso nel 1457 da Callisto III, e della Vita II, dalla tradizione agiografica è stata attribuita alla predicazione di R. una lunga durata e una natura religioso-politica. Giuseppe Abate nell’analizzare la fonte biografica più antica ha invece rilevato la brevità dell’apostolato e il suo carattere prettamente religioso. Tutti gli avvenimenti più signifi­cativi della vita della giovane, che vanno dalla vi­sione alle processioni in abito penitente e quindi all’esilio, sarebbero infatti collocabili tra il 1250 e il 1251; inoltre, secondo Abate i passi della Vita II nei quali R. è ritratta come una predicatrice implacabile contro la politica antiecclesiastica ed ereticheggiante di Federico II («contra haereticos

[…] horribiliter saeviebat et eorum haereses argumentis sensibilibus confutabat») non troverebbero ri­scontro nella Vita I che fa riferimento a una testi­monianza fondata essenzialmente sul buon esem­pio, sugli atti cultuali e devozionali e sulle pre­ghiere.

A Viterbo nella metà del sec. XV essendoci stata, rispetto ai secoli precedenti, una ripresa del culto di R., Callisto III accolse le suppliche dei priori del Comune e avviò un nuovo processo di canonizzazione, che però ancora una volta non andò a buon fine. Dagli articuli interrogatorii e dalla deposizione di un testimone si apprendono il nome dei genitori, Giovanni e Caterina; si tratta probabilmente di agricoltori che abitavano nel quartiere che faceva capo alla parrocchia di S. Ma­ria del Poggio. Gli estremi cronologici della vita di R. risultano piuttosto oscillanti; la data di mor­te, essendo rari i casi di processi di canonizzazio­ne iniziati entro l’anno di morte del candidato, po­trebbe essere fissata al 1251. Gli appellativi di R. che ricorrono nelle fonti («puella», «virgo», e la tradizione che attribuisce al corpo incorrotto della santa l’aspetto di un fisico maturo) lasciano pensare che R. avesse intorno ai 18 anni al momento della morte e che pertanto fosse nata nel 1233. Se­condo quanto riportato nella Vita I, fino ai 17 anni condusse vita appartata nell’umile casa patema de­dicandosi alle normali attività domestiche e alla frequentazione della chiesa parrocchiale e di quel­la dei Frati Conventuali.

Al 1250 si riferisce la vi­sione della Madonna che, guarendola da una gra­ve malattia, la sollecitò a vestire l’abito della pe­nitenza; prostratasi a terra, R. dichiarò di voler ri­nunciare a ogni bene mondano e pregò la madre di chiamare donna Zita, che da alcuni si è suppo­sto fosse la ministra delle Terziarie Francescane, perché la vestisse da penitente. Alle visioni si accompagnarono le apparizioni di defunti che la re­sero celebre nella comunità viterbese e richiama­rono grandi folle nella sua casa. Nel corso di un’al­tra visione Cristo benedisse il mazzetto di menta posto sul suo petto per dare sollievo alle vie respi­ratorie e l’angolo della casa che la stessa R. pro­fetizzò un giorno avrebbe fatto parte del suo mo­nastero.

Dopo un periodo di digiuni e penitenze, la Vita I segna l’inizio dell’apostolato pubblico che si concretizzò in una serie di processioni durante le quali R., tenendo in mano un crocifisso, volgeva canti e inni al Signore. L’esperienza di R., sebbe­ne non possa leggersi in chiave esclusivamente antieretica e antighibellina, non può neanche limi­tarsi al solo ambito religioso così come ha soste­nuto Abate; le esortazioni ai cittadini affinché ri­manessero fedeli a Cristo inevitabilmente si colle­gano alla realtà cittadina viterbese caratterizzata da gruppi ereticali protetti dal partito ghibellino che era al potere. Il podestà Mainetto di Bovolo, temendo che la testimonianza della santa potesse portare a una sollevazione antighibellina, il 4 dic. del 1250, decise, infatti, l’allontanamento della ragazza da Viterbo. Giunta a Soriano, sul Monte Ci­mino, profetizzò la morte di Federico II, che si ve­rificò a distanza di qualche giorno; trascorsa poco più di una settimana si spostò, quindi, a Vitorchiano dove risiedette per tre giorni. A questa seconda tappa del suo esilio si riferiscono il miracolo del­la cieca Delicata e quello della donna eretica. A questo punto, sebbene la narrazione della Vita I si interrompa, si può supporre che fece ritorno nella sua città natale da dove, intanto, i gruppi eretici, venuti a conoscenza della morte dell’imperatore svevo, si erano allontanati. Nella Vita II si legge che, spinta dal desiderio di una vita claustrale, chiese alle Damianite di Viterbo di poter essere accolta all’interno della loro comunità; essendole stata negata l’accoglienza, R. profetizzò alle reli­giose che si sarebbero rallegrate di poter avere da morta colei che da viva rifiutavano. Non si cono­scono le circostanze della morte; secondo una tra­dizione sarebbe stata sepolta senza cassa sotto il pavimento della chiesa di S. Maria del Poggio, dove rimase per 18 mesi fino alla ricognizione ef­fettuata probabilmente ai tempi della bolla innocenziana.

Nel 1258, alla presenza di Alessandro IV che riconobbe, anche se non ufficialmente, il cul­to della santa concedendo alla città di celebrarlo il 4 settembre, il suo corpo fu traslato nella chiesa monastica delle Damianite. L’apostolato di R. fu, in conclusione, un’esperienza laica, autonoma, connessa a una comunità di donne penitenti di ispirazione francescana non riconducibile, però, all’Ordine francescano, tanto più che una sua for­male adesione alle Terziarie non è attestata dalle fonti più antiche. Del resto, l’essenza della sua santità non consisteva per i suoi contemporanei nell’aderenza della sua vita all’ideale evangelico ma nei suoi «doni di visionaria e profetessa» (Esposito, p. 389).

In onore della Santa, fin dal XVII secolo si svolge a Viterbo il trasporto della “Macchina di santa Rosa” la sera precedente la sua festa. La macchina – ora dell’altezza di circa 30 metri e del peso di 50 quintali – è trasportata dai “Facchini di santa Rosa”, una associazione composta esclusivamente da cittadini di Viterbo che vive per la  preparazione e per l’effettuazione di tale trasporto. Dal 2013 il trasporto è stato dichiarato “Patrimonio orale e immateriale dell’umanità” dall’UNESCO. Il giorno precedente si svolge, per le vie della Città, il Corteo storico (con oltre 300 figuranti) che accompagna la reliquia del cuore di R. dal santuario alla Cattedrale con rientro poi nel santuario, a ricordo di un antico pegno di fede sottoscritto nel XVI secolo dai viterbesi.

Nel 2011 è nato il Centro Studi Santa Rosa da Viterbo  che è un’associazione con lo scopo di tutelare e valorizzare l’Archivio del monastero di Santa Rosa a Viterbo e che inoltre intende dare impulso all’arte e  alla cultura, promuovendo la ricerca storica sulla santa, sul monastero che da lei prende nome, e sulla storia sociale, politica e religiosa di Viterbo. Il suo primo e attuale presidente è Attilio Bartoli Langeli. All’attivo dell’Associazione numerosi convegni e pubblicazioni che riguardano R. e il suo tempo.

R. è la santa patrona di Viterbo insieme con i co-patroni san Lorenzo e i ss. Ilario e Valentino.

BIBL. e FONTI –  Archivio del Monastero di S. Rosa, Diplomatico e Fondo antico – P. Coretini, L’historia di S. Rosa viterbese, Roma, Tindalo 1969; Abate 1952, fasc, I-II, pp. 111-278; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Vol. II, p. II, Viterbo 1940; Casolini 1963, coll. 413-425; A.M. Vacca, La menta e la croce. S. Rosa da Viterbo, Roma 1982;  G. Falcioni, La macchina di Santa Rosa e il Corteo storico, Viterbo 1982; Piacentini 1983; Piacentini 1991; Enrico Menestò in II grande libro dei santi, III, pp. 1743-1747; Espo­sito 2000, pp. 387-407; S. Cappelli (a cura di), Santa Rosa: tradizione e culto, voll. I-III (Manziana, 1998-2001; DBI, vol. 88, voce “Rosa da Viterbo” di M. Ulturale, pp. 405-409; scheda “Viterbo. Santa Rosa” in I santi patroni del Lazio. IV. La provincia di Viterbo (Tomo II), Roma 2008, pp. 281-304.

[Scheda di Barbara Rotundo – Srsp; integrazione di Luciano Osbat – Cersal]