Danese da Viterbo ( Danese di Cecco) – Architet­to (Viterbo, secc. XV-XVI).

Figlio di Cecco, che fu impiegato spesso dal Comune di Viterbo per lavori murari (la realizzazione delle volte nei locali sotterranei del palazzo del Comune) e, soprattutto, per la manutenzione alle fontane della città (le fontane di S. Silvestro, S. Sisto e del Macello), D. continuò l’attività patema superandone il livello operativo e qualificandosi come architetto. La sua attività si svolse in prevalenza a Viterbo tra il 1467 e il 1518. Fu dapprima chiamato per «arbitraggi di opere murarie» (1467-1475). Il primo incarico importante riguardò la chiesa di S. Maria in Gradi (1475), ove completò il portico della facciata, iniziato intorno al 1466. Dai documenti risulta la sua presenza, insieme al comasco Cristoforo di Pietro, come arbitro in una vertenza insorta tra muratori viterbesi e lombardi del cantiere di S. Maria della Quercia. I lavori, e le liti, continuarono sicuramente fin dopo il 1500, nonostante un tentativo di pacificazione attestato da un documento tra le parti datato 17 maggio 1481. In quell’anno D. si impegnò come «massarium Comunis Viterbii» a non seguire altri lavori oltre la costruzione del palazzo del governatore del Patrimonio, ad eccezione della precedente «obligatione» per S. Maria della Quercia. Negli ultimi anni del secolo diresse i lavori del palazzo dei Priori, del palazzo del podestà («diruto e caschato per la chaduta della torre del Comune»), del palazzo nuovo del governatore e la ricostruzione ex novo della cattedrale di S. Lorenzo, per la quale i priori di Viterbo e il vescovo Francesco Maria Settala Visconti, avendo deciso di renderla più magnifica, fecero «fare uno bello modello al Danese». Nel 1501 fu chiamato a Roma, insieme al concittadino Pierdomenico Ricciarelli, per una perizia sul lavoro di Alberto di Piacenza per la fontana sulla piazza di S. Pietro; si trattò di un controllo minuzioso: la perizia durò 14 giorni. Tornato a Viterbo, fu presente ai lavori nella chiesa di S. Maria Nuova e, come perito di parte sia del Comune che di altri, fu chiamato dal Cardinal Francesco Todeschini Piccolomini per i lavori di restauro e ammodernamento del complesso abbaziale di S. Martino al Cimino; analogamente nel 1509 venne consultato dal cardinale Fazio Santoro per l’acquisto di alcuni immobili per ampliare il proprio palazzo. Morì a Viterbo nel 1518, dopo aver lasciato erede, nel proprio testamento del 28 dic. 1517, la figlia Rosata, oltre a un lascito al nipote Vincenzo. Il nipote Vincenzo, figlio di Domenico, lavorò come scalpellino nella Fabbrica di S. Pietro, sotto la direzione del Bramante, dal 1590 al 1514. Certamente non solo fu abile esecutore, ma anche supervisore e organizzatore delle maestranze, tanto da essere definito nei documenti della Fabbrica «superstans magistrorum fabrice Sancti Pe­tri». Il 21 giugno 1514 gli fu affidata la direzione dei lavori per costruire la chiesa viterbese di S. Maria delle Fortezze. L’ultima notizia su di lui è del 1517, nel testamento dello zio Danese.

BIBL. – E. Bentivoglio, Danese di Cecco, in DBI, 32, pp. 558-560 (con rif. documentari e bibl. ivi). Inoltre: Signorelli 1967, pp. 126-127; Bentivoglio – Valtieri 1973; Bentivoglio 1983b; Valtieri 1983; Ruggeri 1985, p. 86; E. Bentivoglio, Danese Vincenzo, in DBI, 32, pp. 563-564; Lorusso 2002, p. 87.

[Scheda della Redazione – Ibimus]