Durante Castore – Medico, botanico, letterato (Gualdo Tadino, 1529 – Viterbo, ago. 1590).
Figlio del giureconsulto e letterato Giovanni Diletto e di Girolama, studiò medicina all’Università di Perugia, ma la data della sua laurea è incerta: risale però certamente ad alcuni anni prima del 1567. Dedicò la sua prima opera, De bonitate et vitio alimentorum centuria (Pisauri, apud haeredes Bartholomei Caesani, 1565) al cardinale Tiberio Crispi, legato papale a Perugia: si trattava di un prontuario medico sistematizzato in ordine alfabetico e corredato di vari indici e della trattazione dei pregi e possibili nocumenti di un centinaio di piante alimentari e medicinali.
A questa pubblicazione seguì Il sesto libro della Eneida di Vergilio ridotto da m. Castore Durante in ottava rima (Roma, appresso Giulio Bolano de Accolti, in Banchi in Corte de Ghigi, 1566). Entrambe le opere servirono ad aprire al giovane la via a una brillante carriera sia come letterato che come medico; nel marzo 1567 fu nominato medico condotto del Comune di Gualdo Tadino con lo stipendio annuo di 80 scudi. Ma non trascurò la sua attività letteraria. Trasferitosi a Viterbo tra il 1568 e il 1569 dopo il termine dell’incarico a Gualdo, vi pubblicò Il quarto libro dell’Eneida di Vergilio ridotto in ottava rima (Viterbo, per Agostino Colaldi, 1569), dedicandolo a mons. Rusticucci segretario del papa, e poi la più nota delle sue opere letterarie: Del parto della Vergine libri tre Molto vivace la sua attività negli anni in cui visse a Viterbo, dove ottenne la cittadinanza nel 1571 insieme al fratello Polluce e dove esercitò la sua professione e approfondì ed estese le osservazioni di botanica medica già accennate in De bonitate et vitio alimentorum centuria. Questi studi accrebbero la sua fama e gli valsero la nomina di archiatra di Sisto V e la cattedra di botanica all’Archiginnasio romano. Sembra che dapprima vi ascese nel 1581 col titolo di «simplicium medicinalium explanator», mentre ricevette il titolo ufficiale probabilmente nel 1587, dopo la pubblicazione dell’Herbario novo di Castore Durante medico, et cittadino romano. Con figure che rappresentano le vive piante che nascono in tutta Europa e nell’Indie Orientali et Occidentali (Roma, appresso Bartholomeo Bonfadino, e Tito Diani, 1585) e del Tesoro della sanità nel quale si dà il modo da conservar la sanità, e prolungar la vita, e si tratta della natura de ’cibi, e de i rimedij de i nocumenti loro (Roma, appresso Francesco Zannetti, 1586) , quest’ultimo dedicato a donna Camilla Peretti, sorella di Sisto V, «perché possa con la sua prudenza e vigilanza attendere più sicuramente alla conservatione del Nostro Signore, a beneficio di tutto il mondo». Fu l’Herbario novo, dedicato al cardinale Rusticucci, a dargli la maggiore notorietà; in esso confluirono stimoli e conoscenze che il D. trasse dalla sua personale amicizia con i naturalisti Andrea Bacci e Michele Mercati. Esso contiene 965 xilografie incise da Leonardo Parasole da Sant’Angelo di Visso (detto anche Leonardo Norsino), tra cui il ritratto dello stesso D.; di ogni pianta viene indicata la denominazione greca, latina, italiana, tedesca, francese, spagnola, boema, polacca e talora in altre lingue, vengono descritti la forma, le qualità, le «virtù di dentro», gli usi esterni e/o interni, gli eccipienti. L’opera è integrata da alcune tabulae delle «specie» e delle «infermità»; tuttavia nel tempo non sono state poche le critiche riguardanti la scarsa esattezza delle raffigurazioni. Interessante è la descrizione (una delle prime) della pianta del tabacco, da poco introdotta dal Nuovo Mondo, della quale per circa altri due secoli si sarebbe fatto uso molto più largo come medicamento che come voluttuario. D. riassume inoltre le virtù alimentari e terapeutiche dello zucchero (di canna) in questi versi: Calfacit, humectat, aperitque et discutit: alvo / utile, vescicae prodest et renibus: affert / presidium stomacho per gratum sacchar. L’ Herbario — in cui tra l’altro il D. preannuncia la pubblicazione di un prossimo «teatro delle piante, de gli animali quadrupedi, de gli uccelli, de i pesci e de le pietre preziose», tuttavia mai comparso e che secondo il Rhodes potrebbe essere andato perduto – ebbe grande fortuna editoriale, e nei decenni successivi fu ristampato più volte e arricchito di immagini. Anche il Tesoro della sanità riscosse grande successo: è la versione volgare di un inedito De victus et exercitationis servanda ratione presentato a Sisto V. L’opera consta di due parti: la prima riguarda le «sei cose non naturali» (aria, moto e quiete, sonno e veglia, inanizione e replezione, accidenti dell’animo, cibo e bevande): la seconda esamina per generi e specie gli alimenti, ciascuno dei quali viene indicato per nome, qualità, scelta, virtù, nocumento e rimedio. Per oltre un secolo dell’opera furono realizzate numerose stampe ed edizioni; di particolare rilevanza quella pubblicata (Venezia, appresso li Sessa) nel 1602, che riporta quasi in tutte le pagine postille del figlio Ottavio. Interessante il fatto che in ambedue le suddette opere il D. si presenta come «medico et cittadino romano», e che molti contenuti riguardano piante e cose prettamente romane, il che lascia seriamente presumere che esse siano state redatte a Roma, dove egli avrebbe abitato a lungo ancor prima di diventare medico di Sisto V. Negli anni precedenti aveva sposato Bartolomea Filareti, che gli diede due figli: Giulio, nato nel 1555 circa e laureatosi in medicina a Siena nel 1579, è autore del Trattato di dodici bagni singolari della illustre città di Viterbo (Perugia, appresso Pietro Paolo Orlando, 1595); Ottavio, medico, naturalista, filosofo e notevole musicista. Un nipote di D., Girolamo, anch’egli medico e figlio del fratello Ludovico, è citato dal Rhodes come autore di un Discorso sopra le febbri nella illustrissima città di Orvieto, pubblicato a Orvieto nel 1644 e una copia del quale sarebbe conservata al British Museum. Dopo la morte di Bartolomea (1574/1576), D. sposò in seconde nozze la nobile romana Ortensia Rusconi, dalla quale ebbe un figlio, Giovanni. Comunque, dopo un paio di anni di insegnamento come «lettore dei semplici» all’Università La Sapienza, il D. lasciò la cattedra preferendo tornare a Viterbo, dove morì «dopo aver mangiato meloni e bevuto vino ghiacciato con neve». BIBL. – Carafa 1751, p. 360; Carano 1933, pp. 11-13; Benedicenti 1951, p. 221; Rhodes 1968; Tiziana Pesenti in DBI, 42, pp. 105-107.