Maggiorani, Carlo – Medico, senatore (Campagnano di Roma, 7 dic. 1800 – Roma, 13 ago. 1885).
La famiglia patema, di origini marchigiane, si era stabilita a Campagnano alla metà del sec. XVII; figlio di Tiberio e di Maria Gabrielli, Carlo perse il padre a soli due anni e nel 1803 fu affidato agli zii materni impiegati a Roma presso l’abitazione del medico Dario Angelucci, fratello del più noto Liborio. Il ragazzo crebbe di fatto in casa Angelucci e l’influenza di Dario, che dal 1821 ne divenne il patrigno, ne indirizzò sia la scelta professionale che l’adesione ideologica alle idee riformiste. Nel 1813 ricevette gli ordini minori e due anni dopo ottenne il beneficio ecclesiastico di S. Giovanni a Campagnano, secondo l’uso invalso nella comunità per mantenersi agli studi da parte dei giovani appartenenti alle famiglie meno abbienti. Dopo aver frequentato come chierico il Collegio Romano, M. poté iscriversi alla facoltà di medicina, dove nel 1819 conseguì brillantemente la laurea ad premium; nel luglio 1820 ottenne la matricola necessaria per l’esercizio della professione.
Terminati gli studi medici si dedicò con passione all’archeologia, alla quale si era avvicinato seguendo le lezioni del Nibby e che vedeva come una professione più remunerativa rispetto a quella medica. Al termine di tre anni di intenso studio partecipò alla spedizione archeologica in Sicilia organizzata dal colonnello della marina inglese Lampton. Ma le difficoltà economiche in cui versava la famiglia e la malattia del patrigno lo costrinsero ad abbandonare gli studi archeologici e a tentare il concorso negli ospedali romani. Dal 1824 intraprese la professione medica presso l’Ospedale romano di San Giovanni, scontrandosi con una pratica clinica che riteneva, a ragione, ferma su dottrine ormai superate. Abbracciate le teorie del Laènnec improntate alla diagnostica basata su riscontri anatomici, per primo a Roma M. adottò per uso diagnostico lo stetoscopio, provocando tale scandalo nelle religiose che gestivano il nosocomio da essere trasferito su loro richiesta all’Ospedale di S. Maria della Consolazione nel 1826. Accanto alla professione ospedaliera iniziò la pratica di medico curante, procurandosi in breve una vasta clientela in parte ereditata dal patrigno. Dopo un primo fallito tentativo di entrare al S. Spirito come medico assistente, vi prese servizio nel 1829.
Vincitore del concorso indetto all’Università La Sapienza per un posto di professore soprannumerario incaricato della supplenza dei docenti delle varie cattedre momentaneamente assenti (con diritto di successione non appena una delle cattedre si fosse resa libera), dal 1832 entrò nei ruoli dell’università. La piena titolarità giunse però dodici anni dopo quando nel marzo del 1844 ricevette la nomina di membro del collegio medico-chirurgico e, nel settembre, rilevò la cattedra di Medicina politico-legale, tenuta fino a quel momento da Francesco Bernardini. Sposato dal 1833 con Elena Costa (dal matrimonio nacquero dieci figli), amico intimo del Belli e di Jacopo Ferretti, M. che aveva ormai acquisito in città larga fama di medico e di studioso, s’impose in breve tempo come figura di riferimento per la nuova cultura medica, che sperimentava quotidianamente grazie al crescente numero di pazienti.
Dal 1840 aveva ripreso la collaborazione con il «Giornale Arcadico» sul quale pubblicava i suoi resoconti scientifici, e dal momento della titolarità della cattedra si dedicò ancora più intensamente agli studi medici. Nel 1846, con i colleghi Bucci e Carpi, fu convocato per il consulto medico al capezzale di Gregorio XVI. Ormai ben introdotto negli ambienti borghesi, coltivava fervide amicizie con gli esponenti di quella borghesia più aperta verso le istanze di cambiamento. Pur senza esporsi, partecipò alla speranza diffusa dall’elezione di Pio IX; prese parte attivamente alla vita del Circolo medico romano fondato nel maggio 1848, di cui fu eletto presidente. Iscritto al battaglione universitario, non prestò però ufficiale adesione alla Repubblica; dal gen. 1849 fu nominato dal Consiglio dei Ministri membro della commissione medico-chirurgica istituita al fine di migliorare l’istruzione dei medici della città e, nel marzo successivo, entrò nel nuovo Consiglio municipale di Roma. La partecipazione professionale, cui non fece seguito un’adesione ideologica ai principi repubblicani, gli consentì in un primo momento di sfuggire alle maglie della repressione pontificia. Nell’ago. 1849 fu nominato medico visitatore della Dogana e, nel novembre successivo, fu membro della commissione incaricata della difesa sanitaria dello Stato Pontificio. Ma le indagini sul suo conto si fecero via via più serrate, nonostante il Consiglio di censura per l’Università l’avesse dichiarato «non punibile».
Frattanto sempre più apertamente M. si avvicinava al Comitato nazionale romano, all’interno del quale non assunse mai funzioni organizzative o incarichi direttivi; il suo ruolo di docente, però, ne fece in breve un riferimento per i giovani in particolare nel periodo 1859-1860, quando anche l’Università di Roma fu teatro di agitazioni alle quali parteciparono i suoi tre figli maggiori Vincenzo, Antonio e Gaspare. Quando nel feb. 1860 M. rifiutò di sottoscrivere un indirizzo sull’intangibilità del potere temporale del papa, la reazione, seppure indirettamente rivolta alla sua figura, fu immediata: il figlio Gaspare fu tra gli otto giovani espulsi dall’università e precettati. Ferito negli affetti e nella dignità professionale, M. inoltrò un ricorso per abuso di potere contro il cardinal Altieri e chiese una temporanea sospensione dall’attività didattica. Tra tensioni e ritardi, paventata l’ipotesi di una sua precoce giubilazione, si trovò ad affrontare le difficoltà derivanti dall’attivismo politico dei figli; nel marzo 1862 la sua abitazione fu perquisita in seguito all’arresto di Giovanni Venanzi, e nell’ottobre successivo il figlio Vincenzo fu arrestato e rinchiuso nel carcere addizionale politico di via Giulia. Coinvolto con i figli nel processo Fausti-Venanzi, privato dell’appoggio del cardinal Marini morto improvvisamente nell’ag. 1863, dal 1° settembre M. fu destituito dall’incarico universitario. Consapevole dell’insostenibilità della situazione e convinto dai numerosi amici che lo invitavano ad allontanarsi da Roma partì per Napoli, motivando la richiesta di passaporto con esigenze di salute. Con il figlio Sesto lasciò Roma il 17 settembre. Dopo poco, Michele Amari gli offrì la cattedra di Clinica medica all’Università di Palermo, dove M. si trasferì in breve tempo e si stabilì con la famiglia che lo raggiunse all’inizio dell’anno successivo.
Nel 1870 fece ritorno a Roma, dove nonostante le sue perplessità, gli fu chiesto di riprendere l’insegnamento universitario, quale rappresentante romano di fama internazionale attraverso il quale la facoltà medica della nuova università italiana avrebbe potuto riacquistare quel prestigio che da tempo aveva perduto. Fu reintegrato nei ruoli universitari con decreto della luogotenenza del 12 nov. 1870 e assunse la direzione della cattedra di Clinica medica, accanto a Guido Baccelli; gli fu inoltre chiesto di assumere l’incarico di facente funzioni di preside della nuova facoltà di medicina e chirurgia. Membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (del quale dal 1874 fu socio ordinario), si dedicò attivamente alla vita politica: fu consigliere comunale di Roma dal nov. 1870 e fu nominato senatore del Regno con R.D. 15 febbr. 1871. Seguì in Senato le questioni afferenti alla sua professione, occupandosi del riordino delle facoltà e dell’insegnamento medico. Fu inoltre membro di commissioni parlamentari sulla sanità pubblica e su progetti di codice penale. Stanco e fiaccato dagli impegni familiari (perse la moglie nel 1871) fece richiesta per il pensionamento dall’università che ottenne solamente nell’apr. 1875; contemporaneamente con decreto regio veniva nominato professore emerito e grand’ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Trascorse gli ultimi anni partecipando assiduamente alle sedute dell’Accademia medica e dei Lincei, di cui era membro dal 1850. I suoi lavori scientifici furono pubblicati, a partire dal 1840, principalmente sul «Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti» e sugli «Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei»; grande interesse suscitarono i suoi studi sulla fisiopatologia e sul magnetismo, in particolare sull’effetto esercitato sulla materia organica dalle correnti elettromagnetiche e sui rapporti tra fenomeni fisiologici ed elettromagnetismo.
BIBL. – Sapuppo Zanghi 1883, p. 373; Sarti 1890, p. 599; DR, III, p. 416; Spano 1935, p. 179; Canonici 2004, pp. 17 n. 12, 24-27; Marini 2004, pp. 33-62; Monsagrati 2004, pp. 125-148; Giulia Crespi in DBI, 68, pp. 385-388 (con bibl.).