Nonnoso, o.s.b.  Santo (sec. VI).

Unica fonte su N. è san Gregorio Magno che, nel 593, chiese specifiche notizie «de domno Nonnoso abbate, qui iuxta domnum Anastasium de Pentumnis fuit». Sebbene la storia di Gregorio si limiti al racconto di tre miracoli senza alcun riferimento cronologico esplicito che informi sulla vita di N., questo può essere dedotto dalle parole del primo libro dei Dialoghi, scritti tra il 593 e il 594, in cui fa riferimento al santo come vivente mentre il re longobardo Agilulfo premeva alle porte di Roma, definendolo «praeposito [abate] monasterio in monte qui Soractis dicitur», datando alla stessa epoca anche la chiesa e il convento di S. Silvestro. Tale datazione viene confermata dal Moricca, che colloca N. nella prima metà del sec. VI, in età coeva a san Benedetto da Norcia. San Gregorio ne fa l’apologia per la mitezza di carattere e l’ascendente che riscuoteva presso i suoi per i miracolosi atti tra i quali la leggenda dell’oito: lamentandosi i frati per l’aridità della terra del convento non adatta a essere coltivata a causa della presenza di un masso di calcare, N. si pose una notte solo a pregare e al mattino i frati trovarono lo spazio libero per l’orto. Tale rupe si identifica ancora nel versante sud-ovest al di sotto della chiesa di S. Silvestro, chiamata dal popolo Sasso di san Nonnoso.

Il secondo miracolo avvenne quando era ancora sacrestano, allorché riuscì a ricomporre una lampada di vetro cadutagli; tale prodigio pare accomunare l’esistenza di diversi santi, tra i quali è da annoverare santa Rosa da Viterbo. Sempre in soccorso alla vita monastica, N., allorché parve necessario che i monaci fossero costretti ad andare a lavorare presso i contadini dei dintorni per ovviare alla scarsa produzione di olio del monastero, per evitare distrazioni dalla preghiera fece mettere le poche olive raccolte nel frantoio e fece distribuire in molti orci una piccola quantità di olio e il giorno dopo tutti gli orci erano ricolmi del prezioso liquido.

Alcuni lo vogliono abate di S. Silvestro, altri solo priore e poi abate di Suppetonia (Degli Effetti, pp. 116-117). Secondo la tradizione morì abate del cenobio benedettino del Soratte il 2 settembre di un anno incerto, e qui venne sepolto, ma dopo la devastazione dei Longobardi i monaci fuggirono nel convento fortificato di Suppetonia portandosi il corpo del santo. Il suo corpo fu trasferito a Castel Sant’Elia nella valle/monastero Suppetonia, dove ne fu trovata una parte nel 1776. Una parte delle reliquie fu deposta dal vescovo Nitger (1039-1052) nella cripta della cattedrale di Freising, in Baviera, dove N. è venerato insieme a san Sigismondo come patrono. Riposa insieme ad Anastasio nella cripta della chiesa di S. Antonio abate a Castel Sant’Elia, della cui cittadina entrambi sono venerati come patroni. Sul Soratte il culto in suo onore, dopo una lunga interruzione causata dalla rovina del monastero di S. Silvestro, riprese nel 1655-1658 per iniziativa del cistercense Andrea di san Bonaventura; le sue reliquie vennero poste sotto l’altare in suo onore.

BIBL.- Degli Effetti 1675; Moricca 1924, pp. 43-47; Montecchi 1939, pp. 43-45; De Carolis 1950, pp. 160-161; Mastrocola 1962; Benedetto Cignitti in Bibliotheca Sanctorum, IX, coll. 1047-1050; Rendina 2001, pp. 211, 539.

[Scheda di Maria Cristina Romano – Srsp]