Orsini, Paolo Giordano – Duca (Bracciano, 1541 – Salò, 13 nov. 1585).

Figlio di Girolamo (ramo di Bracciano) e di Francesca Sforza, perse il padre ancora neonato, rimanendo sotto la tutela della madre e dello zio cardinal Guido Ascanio Sforza, che amministrò a suo nome il vasto complesso di domini feudali ereditati dal padre e dal cugino del padre, Virginio, morto nel 1548. La gestione del cardinal Sforza fu oculata; a nome del nipote recuperò nel 1549 il feudo di Vicovaro dopo vent’anni di confisca per le vessazioni imposte ai vassali al tempo di Napoleone Orsini, concesse lo statuto ad Anguillara (15 ag. 1551) e a Bracciano (1° dic. 1552), organizzò amministrativamente, servendosi dell’abile Giulio Folchi, il grande complesso patrimoniale e feudale, che O. gestirà in proprio dall’epoca delle sue nozze.

Frutto dell’abile disegno del cardinale furono anche le nozze di Felice, sorella di O., con Marcantonio Colonna, celebrate il 1° marzo 1552.). In quegli anni O. alienò la tenuta Acquaviva sulla via Cassia a Giovanni Battista Petroni (21 apr. 1556) e dovette seguire, quasi come ostaggio, il cardinal Carafa legato in Francia, partendo da Civitavecchia il 21 maggio 1556. Al ritorno, si sposò con Isabella de’ Medici, figlia naturale del granduca di Toscana Cosimo I; le nozze si celebrarono il 7 ottobre. Questo matrimonio di prestigio, per il quale preziosa fu l’opera del cardinal Sforza, assicurava a O. e alla sua casata un legame di sangue con la dinastia regnante in Toscana e quindi un rilevante appoggio politico al di fuori dello Stato della Chiesa.

Nonostante le vendite di alcuni feudi alle quali fu costretto, quelli in possesso di O. costituivano territorio vastissimo. Il culmine della sua ascesa si ebbe quando, morto Paolo IV, divenne papa Pio IV, un Medici di Milano che si vantava parente dei granduchi di Toscana: il pontefice, che per molti versi rovesciò la politica del suo predecessore, favorì O., marito di una Medici di Toscana, erigendo per lui e per i suoi successori il ducato di Bracciano (bolla del 9 ott. 1560), un territorio che dal mare arrivava al Tevere, primo riconoscimento non nepotistico di uno «Stato» dotato di notevoli autonomie all’interno dello Stato della Chiesa. Inoltre O. fu fatto governatore di Ascoli Piceno (10 gen. 1560), dove inviò il suo fiduciario Romolo Valenti. Principe assistente al soglio pontificio, patrizio napoletano e veneto, grande di Spagna, egli fu dunque tra i più ricchi e potenti signori d’Italia del suo tempo, con redditi che nel 1585 erano valutati a 100.000 scudi di entrata annua. Riconoscendo alla moglie e allo zio l’origine di tanta fortuna, donò a Isabella l’usufrutto di Bracciano (1° genn. 1561) e, nello stesso giorno, al cardinal Sforza i feudi di Cerveteri e Palo con le contigue tenute di Sanguinaria, Campo del Matre e Grisciano; ma il generoso zio rifiutò la donazione, per cui in seguito l’atto sarà annullato con motuproprio di Pio V del 10 genn. 1570.

Nel corso del pontificato di Pio IV O. tenne un tenore di vita sfarzoso (già nel carnevale 1561 prese parte con molta spesa a un torneo in piazza S. Pietro), cui non saprà più in seguito rinunziare e che gli costerà uno stillicidio di vendite patrimoniali: vendita della tenuta dell’Olgiata ad Alessandro Olgiati (1566), del feudo di San Gregorio con l’annessa tenuta di Gericomio al cardinal Prospero Santacroce (1567), di Isola al cardinal Alessandro Farnese (parte nel 1567, il resto nel 1588), della tenuta di Baccano sulla Cassia al proprio amministratore Giulio Folchi (1568, al modesto prezzo di 6600 scudi). Poiché il centro dei suoi domini era Bracciano, a quella zona fu dedicato il maggior impegno, con lavori al castello (dove le stanze di Isabella furono decorate dagli Zuccari), costruzione della bella chiesa di S. Pietro a Pisciarelli, tentativo di espansione nelle terre della vicina Manziana, rintuzzato però dalla pronta reazione del commendatore di S. Spirito Bernardino Cirillo, cui diede piena ragione la sentenza giudiziaria del 19 ott. 1570.

Durante il pontificato del severo Pio V, O. dovette impegnarsi come uomo d’arme: dapprima inviato in soccorso della flotta veneziana nella guerra di Cipro (1570) ed ivi decorato con il grado di generale (1571), prese poi parte alla spedizione di Lepanto, dove fu ferito a una gamba da una freccia (ott. 1571) e ciò malgrado di nuovo generale delle fanterie papali nella campagna antiottomana del 1572, nel corso della quale sbarcò con cinquemila uomini a Navarrino e la riconquistò al dominio veneziano. Tornato in Italia, visse tra Roma, Bracciano e la Toscana, sempre con sfarzo principesco nonostante i grandi debiti accumulati negli anni. Nel 1572 gli nacque il figlio Virginio, ma la convivenza con sua moglie fu sempre saltuaria: Isabella non amava Bracciano e preferiva vivere in villa nei dintorni di Firenze, a contatto con la corte medicea. Sui suoi costumi si mormorava: suo amante era ritenuto un altro Orsini, Trailo, del ramo di Monterotondo, legato alla corte toscana come diplomatico (fu ambasciatore a Vienna nel 1569 e 1572); si aggiungeva che talvolta Isabella si era concessa anche ai suoi paggi. Nel 1576 il nuovo granduca, Francesco, chiamò O. a Firenze, secondo i più per metterlo al corrente dell’infedeltà della moglie. Per questo la morte improvvisa di Isabella nella villa di Cerreto presso Empoli (16 luglio 1576) apparve un uxoricidio: O. vi era giunto per una caccia e la vox populi lo giudicò colpevole dell’omicidio, avvenuto per soffocamento, per mano propria o di sicari. Egli partecipò in veste compunta ai funerali. L’anno dopo un soldato al servizio del granduca uccise Troilo Orsini a Parigi, dove si era rifugiato.

Intanto O. era tornato a vivere nel proprio palazzo romano a piazza Navona, prendendo parte a feste, tornei e banchetti, senza peraltro dimenticare i suoi feudi: alla comunità di Trevignano concesse i diritti di pascolo e legnatico sul monte Rocca Romana (23 nov. 1578), con quella di Cerveteri stipulò dopo alcune controversie un atto di concordia (8 marzo 1582). A Bracciano contribuì all’erezione della nuova chiesa di S. Maria Novella (consacrata il 29 maggio 1580), favorì l’impianto di una ferriera, di telai tessili, della lavorazione dello zolfo, fece sistemare dall’architetto Giacomo del Duca la «Vigna Grande» (1580-1583). A questa fase risale la nascita della funesta passione di O. per la bellissima Vittoria Accoramboni, nata a Gubbio nel 1557. La conobbe nel 1580 e se ne innamorò perdutamente; la giovane gentildonna non solo non respinse i suoi ardori, ma li alimentò in più modi, nonostante il matri­monio che dal 1573 la legava a Francesco Peretti, nipote del potente cardinale destinato pochi anni dopo a divenire papa Sisto V. Poiché anche la madre di Vittoria desiderava che sua figlia divenisse duchessa, unico ostacolo restava l’infelice marito: nella notte del 17 apr. 1581 uomini al soldo di O. lo uccisero ad archibugiate. Il progetto dei due amanti di sposarsi venne però frustrato dal cardinal Ferdinando de’ Medici, che nell’interesse dei figli della defunta Isabella sua sorellastra (Eleo­nora e Virginio) ottenne dal papa un divieto al riguardo, comunicato a Vittoria con un «monitorio» (15 maggio 1580). Nel luglio 1582 O. sembrò piegarsi e fece atto scritto di formale rinunzia a Vittoria, comunicato in via ufficiale anche alla stessa sua fiamma, ancora reclusa in Castel S. Angelo; egli tornò così nelle gra­zie del papa, dei Medici e della Spagna, mentre Vittoria sarà rilasciata in libertà solo nel successivo novembre, ma inviata a Gubbio in soggiorno obbligato. Nel genn. 1583 ottenne il permesso di lasciare Gubbio, sempre rimanendo il divieto di contatti con O., che il papa aveva mandato ad Ancona per la verifica delle fortificazioni. In autunno i due amanti trovarono il modo di incontrarsi in Umbria e da lì tornare a Bracciano, dove infine si sposarono il 10 ott. 1583; Vittoria portava la propria dote di 5.000 scudi, ma lo sposo le fece una sopraddote di 20.000 scudi, garantita da due tenute presso Cerveteri. A Roma e al Cardinal Ferdinando de’ Medici O. fece credere falsa la notizia delle nozze e anche quando con grandi feste ospitò a Bracciano il cognato Marcantonio Colonna (giugno 1584) ebbe cura di tener nascosta Vittoria.

Gli strapazzi di quei mesi gli fecero riaprire la piaga della ferita di Lepanto; ne guarì, ma solo per il momento. Ritenendo impossibile continuare a tener nascosto il matrimonio, dal dic. 1584 O. tornò a vivere a Roma, dove, tramite il vescovo di Nepi e Sutri monsignor Orazio Moroni, confessò al papa la verità. Gli inevitabili provvedimenti gli furono risparmiati dall’aggravarsi della salute di Gregorio XIII, che morì il 10 apr. 1585. In sede vacante, temendo l’annullamento delle nozze contratte a Bracciano, i due amanti si sposarono nuovamente nella piccola chiesa di S. Maria di Grottapinta (24 apr. 1585). Dal conclave uscì papa il cardinal Peretti, lo zio dell’assassinato sposo di Vittoria. Il timore spinse O. e Vittoria a lasciare Roma e Bracciano, per fuggire a Venezia; la salute di lui peggiorava; una fistola sfigurava i bei lineamenti del viso; il corpo era divenuto di estrema pinguedine. Poiché il governo della Repubblica non voleva problemi con il nuovo papa, O. lasciò Venezia e si stabilì a Padova, nel palazzo dei Foscari. Lì il 30 ott. 1585 dettò il proprio testamento con il quale, mentre confermava erede universale il figlio Virginio, stabiliva però una quantità di disposizioni in favore di Vittoria, con un lascito di 60.000 scudi, l’acquisto in Roma di un palazzo di 10.000 scudi e di un giardino di 6.000, nonché il mantenimento al suo servizio di quaranta persone e quindici cavalli. Stabiliva inoltre l’erezione in Bracciano di un convento di monache, nella cui chiesa si sarebbe dovuta costruire una cappella di giuspatronato di casa Orsini, dove porre i sepolcri per sé e per Vittoria. Subito dopo lasciò Padova per passare l’inverno a Salò, sul Lago di Garda. Lì, dopo un rapido peggioramento, morì in località Barbarano (tra Salò e Gardone); il cadavere venne imbalsamato e conservato dai Frati Cappuccini nella chiesa del Carmine, in attesa di consegnarlo a Virginio Orsini. La notizia del testamento suscitò reazioni a Firenze e a Roma: il papa e i Medici cercarono il modo di annullarlo, ma gli eventi li precedettero. Ludovico Orsini, del ramo di Monterotondo, da tempo legato alle vicende di O. e suo uomo di fiducia a Venezia, dov’era colonnello della Repubblica, dopo un diverbio con Vittoria, ch’era tornata a Padova, la fece uccidere dai suoi sgherri (22 die. 1585). A sua volta fu catturato dalle autorità venete e giustiziato il 27 dicembre.

BIBL. E FONTI – Bracciano, Archivio della Parr. di S. Stefano, Matr., ad diem 10.10.1583. ASR, ms. 489 (narrazione dell’amore per Vittoria).  Litta, Orsini, tavv. XXVII, XXIX; Marocco, XI, p. 56; Berti 1882, p. 101; Domenico Gnoli, Vittoria Accoramboni, Firenze, Successori Le Monnier, 1890; Tomassetti, II, pp. 512, 529, 530, III, pp. 27, 31, 32, 59, 71, 72, 74, 75, 84, 109, 165; Silvestrelli, pp. 263, 266, 543; Pa­stor, VI, pp. 369, 387, IX, pp. 154, 772-773, 780-781, 789, 880, X, pp. 15, 18, 54, 57, 59, 73; Clementi 1938-39, I, pp. 236, 292, 297, 303, 306, 333; Valori 1943, p. 371; Meucci 1947, pp. 45-46; Celletti 1963; Diaz 1976, pp. 161,233; Caravale 1978, p. 312; Belli Barsali – Branchetti 1981, p. 249; Weber 1994, pp. 121,811; Carlino Bandinelli 2004, pp. 31, 33, 47-81; Mori 2004; Genealogie, Orsini di Bracciano.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]