Chiesa di S. Maria Nuova
La chiesa sorge ad est del castello di Viterbo sull’antica via Romana, oggi Piazza S. Maria Nuova[1]. È menzionata per la prima volta nel 1080 in un documento che la attesta di proprietà della famiglia del prete Biterbo[2] e la descrive dotata di rendite considerevoli e di un ospedale per i pellegrini e per gli orfani. I proprietari, in quello stesso anno, ne affidano la cura al clero viterbese[3] il quale riceve dei privilegi da Giselberto, allora vescovo di Tuscania[4] e, circa un secolo dopo, la facoltà – concessa da papa Alessandro III – di vivere secondo la regola di S. Agostino[5].
Già dall’epoca della sua fondazione la storia della chiesa è legata a quella della città; per circa trent’anni tra il 1238 ed il 1263, vi si delibera intorno alle contingenze amministrative e politiche; vi si chiamano a raccolta gli uomini del popolo, i notabili e i popolani delle vicine parrocchie di San Lorenzo, San Sisto, San Pietro e San Matteo per scegliere i “consiliari” e il priore della città; vi si seppelliscono i “Capitani del popolo”; vi trovano asilo ed assistenza gli infermi; nella piazza si tiene il mercato[6]. La vita politica, sociale, civile, economica e giuridica di Viterbo si svolge entro e intorno alle mura di Santa Maria Nuova.
L’importanza della chiesa ne rende necessario un restauro che sul finire del XV secolo viene realizzato sotto la direzione del “maestro Danese”[7]. Pochi anni dopo alla chiesa vengono unite le parrocchie di San Silvestro, San Pietro dell’Olmo e San Vito tra le quali è diviso un abitato di poche centinaia di case[8], ma lo stesso intento di riorganizzazione del ristretto circuito territoriale porterà, nel 1567, alla soppressione della parrocchia di S. Maria Nuova e all’istituzione di un arcidiaconato con lo stesso titolo nella cattedrale[9].
Da questo momento in avanti, le informazioni contenute negli studi sulla chiesa riguardano principalmente i numerosi interventi di restauro che l’hanno interessata[10] ai quali si aggiungono i cambiamenti voluti dal priore della chiesa, dall’Arte dei bifolchi, dal Comune e dalle principali famiglie della parrocchia[11] che si protrarranno fino al 1884. In quell’anno viene riconosciuto l’alto valore artistico della chiesa e si da l’avvio all’opera della “Società per la Conservazione dei Monumenti” che nel 1906 inizia un restauro volto a riportare Santa Maria Nuova all’antico splendore[12]. Oggi la chiesa è nuovamente parrocchia unita a S. Lorenzo.
[1] D. Sansoni, La chiesa di S. Maria Nuova in Viterbo, Viterbo, Agnesotti, 1914, p. 12.
[2] T. Egidi, La chiesa di S. Maria Nuova in Viterbo, In: “La Rosa, Strenna viterbese”, 1885, p. 54.
[3] D. Sansoni, La chiesa …, op. cit., 1914, p. 15.
[4] Per informazioni sulla cessione della chiesa al clero viterbese si veda G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Vol. I, Viterbo, Cionfi, 1907, pp. 97, 113.
[5] Mentre persistevano le ultime resistenze ghibelline nel Patrimonio della Tuscia, Alessandro III riunì, nel 1179, un Concilio per ristabilire l’unità e l’ordine nella Chiesa e riaffermare la suprema autorità pontificia. Con questo intento, nel 1181, il pontefice metteva piede a Viterbo, concedeva ai canonici di Santa Maria Nuova la facoltà di vivere secondo la regola di sant’ Agostino e attribuiva alla chiesa di San Lorenzo la terza parte di tutti i diritti che nella città percepiva il vescovo; G. Signorelli, Viterbo, op. cit. Vol. I, 1907, p. 136.
[6] D. Sansoni, La chiesa …, op. cit., 1914, pp. 21, 249.
[7] Nel 1492 i canonici, seguendo l’esempio di altre chiese, deliberano di formare la massa comune dei proventi. Con siffatti provvedimenti, la chiesa di Santa Maria Nuova potrà essere restaurata; D. Sansoni, La chiesa …, op. cit., 1914, pp. 21, 249.
[8] L’unione avvenne nel 1558 ad opera del Vescovo Gualterio; G. Signorelli, Viterbo …, op. cit. Vol. II. Parte II, Viterbo, Unione, 1940, p. 277.
[9] G. Signorelli, Viterbo …, op. cit. Vol. II. Parte II, Viterbo, Unione, 1940, p. 277.
[10] Il trasferimento dell’immagine del Salvatore dalla sua cappella all’altare maggiore (1614), il restauro della stessa cappella e la ricostruzione dell’altare a spese dell’Arte dei bifolchi (1663), la muratura della cappella laterale e la distruzione del tabernacolo là presente (indorato nel 1555), la demolizione dell’abside destra per costruirvi la cappella dei santi Giuseppe e Donato (1676 ca.), la sostituzione delle cappelle laterali con grandi altari in stucco, la sostituzione delle finestre con delle nuove, ed una serie di interventi che cambiano drasticamente l’aspetto del tempio; D. Sansoni, La chiesa …, op. cit., 1914, p. 37. A causa dei tanti cambiamenti effettuati nella chiesa, alla fine del 1700, delle numerose cappelle originarie resta, soltanto quella di San Girolamo della quale in seguito non si troverà più memoria.
[11] Viene chiuso il campo del soffitto con una volta a zoccoloni, costruite volticine laterali, aperto un occhio sulla facciata con due lunettoni, chiusa la porta laterale ed aperte due porticine minori accanto alla porta centrale; la decorazione della chiesa prosegue con nuovi quadri, voti, corone d’argento e coralli; Ibidem. p 38
[12] Ibidem, pp. 39, 45 e segg.
[Scheda di Elisa Angelone – Cersal]