Stradella Alessandro – Compositore (Nepi, 3 apr. 1639 – Genova, 25 feb. 1682).

Questo geniale musicista apparteneva a una famiglia di minore nobiltà proveniente da Fivizzano, castello della Lunigiana facente parte del granducato di Toscana. In seguito alla nomina di Alessio a vescovo di Nepi nel 1575, gli Stradella si trasferirono nel Lazio. Fulvio, fratello di Alessio e nonno di S., si stabilì a Nepi, vi acquistò terre, vi sposò nel 1576 una donna del luogo (Lucrezia Tabussi, già vedova di Giacomo Ambrosi da Marta), vi tenne posizione di rilievo divenendo consigliere del Comune (1° nov. 1581). Suo figlio Marcantonio (Nepi ago. 1579 – Roma 1° gen. 1649) fu dal 1592 cavaliere di S. Stefano, ordine equestre legato ai Medici granduchi di Toscana; marito della nobile Laudomia Vaccari di Anguillara, visse tra Nepi (dove aveva casa nel centro cittadino, vicino a S. Pietro, e terreni in località «il Torrone») e Roma, frequentando l’ambiente musicale della capitale, in particolare quello attivo intorno al duca Giovanni Angelo Altemps; amico del tiorbista Johann Hieronymus Kapsperger, ne curò l’edizione del Libro primo de madrigali a cinque voci (Roma, appresso Pietro Manelfi, 1608). Più volte priore e consigliere di Nepi, rimase vedovo verso il 1625, risposandosi con Vittoria Bartoli, nata ad Orvieto ma di nobile famiglia di Bagnoregio. Era all’epoca al diretto servizio del duca Pietro Altemps e visse a Gallese, feudo di quel signore, almeno dal 1626 al 1633; poi tornò a Nepi, dove ebbe casa di fronte alla cattedrale.

Al tempo della nascita di Alessandro era al servizio della famiglia Boncompagni, per la quale fu governatore di Vignola durante la guerra di Castro. Dopo la morte del padre, Alessandro visse a Roma a palazzo Lante, dove fu paggio di quella famiglia (1652/1653-1660). Il rapporto deve essere nato in seguito alle nozze del duca Ippolito Lante con Maria Cristina, figlia di Pietro Altemps (1651). Al seguito del duca Ippolito Lante si recò nel 1661 a Sabbioneta.

Della sua formazione musicale non si hanno notizie; può darsi che sia avvenuta a Bologna, e poi proseguita a Roma: in un trattato di Francesco Maria Veracini, scritto alla metà del Settecento, S. è detto allievo di Ercole Bemabei; certamente fu buon cantante, suonava il liuto, il violino, l’organo (fu rinomato «nel maneggiar li tasti con velocità e arteficio maraviglioso», come scrisse il Pitoni) e dal 1667 è documentata la sua attività compositiva: per la quaresima di quell’anno fu infatti incaricato di comporre un oratorio latino per la sala dell’Arciconfratemita del SS. Crocifisso, su testo poetico di Antonio Lotti; tuttavia nella data prevista (11 marzo 1667) fu eseguito un oratorio diretto da Giovanni Birilli, maestro di cappella della Chiesa Nuova. Forse la musica era di S. ma fu diretta da Birilli? Occorre tenere presente che S. si riteneva un gentiluomo, non un musico professionista «mercenario». Il contatto con il SS. Crocifisso può essere stato stabilito tramite il duca Pietro Altemps, uno dei «guardiani» dell’arciconfratemita, patrono degli Stradella fin dagli anni Venti del secolo.

In ogni modo, Alessandro si era già molto affermato nell’ambiente musicale romano e trovò buone opportunità nell’intensa attività teatrale dei pontificati di Clemente IX e Clemente X: in contatto con il gentiluomo-impresario Filippo Acciaioli e con il poeta aretino Giovan Filippo Apolloni scrisse un prologo «infernale» per il dramma burlesco Girello fatto rappresentare con pieno successo nel gen. 1668 dal contestabile Lorenzo Onofrio Colonna; fece poi parte dello staff preposto agli spettacoli del nuovo Teatro Tordinona, curando i prologhi, gli intermedi e altre aggiunte e modifiche ai melodrammi ivi rappresentati, a partire dall’inaugurazione con lo Scipione Africano di Francesco Cavalli al cospetto della regina Cristina di Svezia (8 gen. 1671 ). Lo status nobiliare consentì a S. di entrare in rapporti con il maggiore patriziato romano e veneziano (fin dal 1668 ebbe commissioni da Polo Michiel), mentre restava il legame storico con i Medici: nel 1668 compose la serenata La Circe, eseguita in maggio nella Villa Aldobrandini di Frascati, dove Olimpia Aldobrandini Pamphili festeggiava Leopoldo de’ Medici appena nominato cardinale.

Ma il livello di piccolo nobile poneva il compositore nella condizione di non poter chiedere compensi «professionali», dovendo attendere i graziosi doni dei grandi per i quali operava; nel nov. 1670 si rivolse perciò a uno dei suoi patroni, il cardinal Flavio Chigi, per ottenere un consistente prestito. Nell’aut. 1671 scrisse una cantata da concerto per le nozze di Anna Pamphili con il principe genovese Giovanni Battista Doria; nel 1672 lavorò ancora per il Tordinona; nell’ago. 1674 scrisse una serenata per il principe Gaspare Altieri, nipote di Clemente X, eseguita di fronte alla regina Cristina; si tratta della prima composizione nota in cui l’organico strumentale è diviso in concertino e concerto grosso. Il papa lo premiò con un posto di cameriere «extraordinarius» (1675-1676).

Per l’anno santo 1675 S. compose uno dei suoi capolavori, l’oratorio San Giovanni Battista, fatto eseguire il 31 marzo dall’Arciconfraternita della Pietà a S. Giovanni de’ Fiorentini; S. vi adotta la disposizione «a concerto grosso» che divenne una costante in molti suoi lavori. Così in altri lavori di quell’anno: il mottetto per la monacazione di Angelica Lante (SS. Domenico e Sisto, 28 gen. 1675) e la serenata II Damone, su versi di Baldini, composta per la regina Cristina. La morte di Clemente X e l’avvento di un papa rigorista come Innocenzo XI furono per S. negativi: il Tordinona non poté riaprire, un velo di austerità calò sulla mondana e frenetica vita condotta nei palazzi aristocratici: nell’aut. 1676 il compositore esprimeva in una lettera a Polo Michiel i suoi dubbi sulla opportunità di restare a Roma.

Fu probabilmente questa negativa situazione a spingerlo in intrighi poco edificanti: insieme al cantore pontificio Giovanni Battista Vulpio propose a una dama vecchia e brutta di pagargli 10.000 scudi in cambio delle nozze con un parente del cardinal Alderano Cybo, segretario di Stato del nuovo papa. L’affare venne in luce: per evitare il carcere S. fuggì a Venezia (feb. 1677). Ivi trovò pronta protezione da parte di Polo Michiel e della sua nobile famiglia. Un patrizio d’altissimo rango, Alvise Contarini, parente del doge regnante, lo incaricò di dar lezioni di musica alla sua amante Agnese van Uffele; ma pochi mesi dopo (giugno 1677) S. e la con­nivente Agnese fuggirono insieme da Venezia, rifugiandosi a Torino. Poiché Contarini li inseguì, Agnese si fece ospitare nel convento di S. Maria Maddalena e Alessandro in quello di S. Domenico; Contarini non riuscì a ottenere nulla dal governo sabaudo e dovette ripartire da Torino, non senza però aver parlato con l’arcivescovo della città; questi ritenne che lo scandalo si poteva sanare solo con nozze riparatrici oppure con la monacazione di Agnese. Il compositore, messo alle strette, sottoscrisse un contratto d’impegno matrimoniale (10 ott. 1677), ma sulla pubblica strada fu pugnalato a tradimento e lasciato a terra per morto; i due sicari si rifugiarono nel palazzo dell’ambasciatore di Francia. Il «caso Stradella» divenne così di portata politica intermazionale, tanto più che il compositore non morì, anzi si riprese presto. Negli ambienti politici e diplomatici si dava per certo che i sicari erano stati ingaggiati da Contarini e la violenza subita, insieme all’evidente ruolo di potenze straniere come Francia e Venezia, rendeva priva di valore la promessa di S., che probabilmente non vide più Agnese.

Ma il governo sabaudo non parve più una copertura sufficiente: all’inizio del 1678 egli, da solo, lasciò Torino per Genova, dove l’accoglienza della Repubblica fu festosa, il patriziato gli offrì denaro e abitazione alla sola condizione che dimorasse in città e subito fu chiamato alla preparazione delle virtuose di canto e dell’orchestra del Teatro del Falcone. Ivi furono rappresentate sue opere in musica, mentre componeva anche musica sacra e strumentale; da Genova fu in corrispondenza con il duca di Modena Francesco II d’Este, suo estimatore, per il quale compose l’oratorio La Susanna (1681). Anche a Roma la sua fama era tutt’altro che svanita: senza muoversi da Genova, S. compose per il cardinal Benedetto Pamphili e per il duca Flavio Orsini. L’ultima composizione nota è la serenata II barcheggio, eseguita a Genova il 19 luglio 1681 per le nozze di Carlo Spinola, nipote del doge. In una notte di quaresima del 1682 il compositore fu di nuovo attaccato a tradimento e colpito ripetutamente a morte. Il sicario rimase sconosciuto, come i moventi del crimine. Secondo una lettera anonima del tempo, sembra che il mandante fosse il nobile genovese Giovanni Battista Lomellini, una protetta del quale preferì S. come amante. L’inchiesta del tempo non raggiunse però alcuna conclusione.

Il compositore fu sepolto con onore nella chiesa di S. Maria delle Vigne. Le sue musiche, in parte offerte dal fratello Francesco al duca di Modena, erano già in precedenza disperse presso diversi proprietari e raccolte, e ancor più lo furono dopo la morte dell’autore. La singolarità delle vicende biografiche e della tragica morte portò a una tradizione romanzesca, ricca di errori e falsità; di essa fu principalmente responsabile l’Histoire de la musique et des ses effects di Pierre Bourdelot (1715). Questi errori sono stati ripetuti e talora aumentati nei secc. XVIII e XIX (dando luogo a false attribuzioni oltre che a novelle, componimenti poetici e intere opere teatrali su S.) e ancora in buona parte del XX. Volti a ristabilire la verità storica sono stati dapprima gli studi di Owen Jander, poi soprattutto quelli di Carolyn Gianturco, e altri contributi, in particolare quelli dei convegni dedicati a S. nel 1982 e 1983.

Il giudizio che su di lui espresse tre secoli fa Giuseppe Ottavio Pitoni appare singolarmente mirato: «compositore da camera di eminenza d’arte e di spirito grande che, con stile regolarmente fervido, diede anima alle composizioni armoniche e fece apparire sui teatri d’Italia la gran vivezza del suo artificioso talento».

BIBL. e FONTI – AVR, Parr. di S. Maria in Via, Morti, III, ad diem 1.1.1649.  Il lavoro biografico e critico di riferimento è quello di Carolyn Gianturco (Gianturco 1994), ora in versione aggiornata in lingua italiana (Gianturco 2007), cui si rinvia per le fonti e per l’elenco analitico delle composizioni. Inoltre: Pitoni, p. 324; Jander 1962; Jander 1968; McCrickard 1979; Gianturco 1985; Atti Stradella 1988; Fagioli 1986; Gianturco – McCrickard 1991; Carolyn Gianturco in New Grove, 24, pp. 451-457 (con elenco sintetico delle opere e altra bibl.); Bernhard Schrammek in MGG, 15, coll. 1570-1578.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]