Benci Francesco (al secolo Plauto), s.j. – Letterato (Acquapendente, 1542 – Roma, 6 mag. 1594).

Di nobile e primaria famiglia di Acquapendente (ivi stabilita nel 1436 provenendo da Montepulciano, poi diramata anche a Civitavecchia, dove tuttora fiorisce), nacque nel bel palazzo in Via Battisti, già dei Viscontini. Recatosi fanciullo a Roma vi ebbe una compiuta formazione umanistica presso il Mureto (Marc-Antoine Muret), studiando poi filosofia e diritto.

A 28 anni, dopo un periodo di meditazioni spirituali, entrò nella Compagnia di Gesù (18 maggio 1570), mutando in Francesco il nome avuto alla nascita: Francesco si chiamava suo padre, vissuto almeno fino al 1590. Compiuto il noviziato, B. fu destinato all’insegnamento, nel quale ebbe modo di trasmettere agli allievi la sua vasta e approfondita preparazione culturale: fu così professore di retorica a Siena, a Pe­rugia e nel Collegio Romano (dove visse dal 1583-1584 in poi). In relazione alla sua attività educativa, scrisse opere latine in poesia e in prosa, in particolare orazioni e testi drammatici. Conobbe e fu in rapporto con numerosi dotti del tempo, in particolare con Giusto Lipsio e con il cardinal Baronio. Di Lipsio fu amico e corrispondente, influendo in modo rilevante sulle convinzioni religiose dell’umanista fiammingo e sui suoi rapporti con l’università gesuitica di Lovanio (Peeters).

Quando i Politicorum sive civilis doctrinae libri sex di Lipsio furono messi all’Indice (1590), l’autore ne preparò un’edizione corretta in cui tenne gran conto delle osservazioni di B., oltre che di quelle del cardinal Bellarmino e del filosofo Lelio Pellegrini. Durante i decenni finali della sua vita e anche dopo la morte la fama del letterato di Acquapendente fu dunque di respiro europeo: B. conciliava l’amor philologiae del suo celebre maestro Muret con le esigenze di spiritualità della Controriforma cattolica; l’universalismo della cultura volta ai classici si sposava armoniosamente con lo spirito cosmopolita dei Gesuiti e con l’ecumenismo pontificio. Fu sepolto nel Gesù.

La sua produzione letteraria, attentamente allineata agli orientamenti della Controriforma, è stata per questo considerata caratteristica di quella ideologia, nella versione educativa propria dei Gesuiti; tanto nelle forme quanto nei contenuti, e ancor più nei lineamenti stilistici: «il senso del decoro formale, il gusto del periodo ben costruito e infiorato di citazioni profittevoli, soprattutto la convinzione dell’indispensabilità di uno strenuo e minuto esercizio anche ripetitorio» approdano così a «contegni severi e monotoni» (Negri). Ciò vale soprattutto per i classicheggianti Carmina (nella raccolta del 1590 suddivisi in componimenti eroici, odi e inni, elegie, epigrammi), nonché per le orazioni funebri e d’occasione; più animate sono alcune parti del poema agiografico Quinque martyres, che solennizza l’eroico sacrificio cristiano di Rodolfo Acquaviva e dei suoi missionari in India; più contemperate in un efficace e sempre elegante equilibrio tra classicità e modernità le orazioni sulla Roma vetus contrapposta alla Roma nova di Sisto V.

Ma in tutte le prose di B. lo stile oratorio tipico del ciceronianesimo cristiano dell’epoca è raggiunto mediante un continuo, mirabile esercizio di eloquenza, confrontabile con gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola: una sorta di ascesi estetica, in connubio tra retorica, filosofia e teologia (Fumaroli). A parte restano i lavori drammatici, collocabili nel primo mezzo secolo del teatro gesuitico romano, tra i prototipi di Stefano Tucci e Orazio Torsellini da una parte e le innovazioni di Bernardino Stefonio dall’altra.

Per quanto riguarda la fortuna postuma di B., Marc Fumaroli ha sottolineato l’attacco che gli fu mosso da Traiano Boccalini. Nei Ragguagli di Parnaso (1612-13) il polemista loretano, vantando il primato culturale di Venezia su Roma fin dal Sacco del 1527, vedeva nelle idee di B. e nel suo rapporto con i classici un pericoloso percorso: l’amore per la formazione umanistica non impediva alla cultura gesuitica rappresentata da B. di «castrare», nelle edizioni e nei commenti, i poeti antichi, con l’ipocrita intenzione di moralizzarli: si violava così la libertas poetandi degli artisti creatori e si tradiva l’onestà intellettuale della repubblica letteraria.

Discendente di B. fu Giovanni Battista, nato ad Acquapendente verso il 1620 e vissuto a Roma, dove sposò Francesca Zacchia, prob. figlia del famoso medico Paolo Zacchia; anche Giovanni Battista fu attivo nel campo medico, come esperto di farmaci; fu lettore alla Sapienza, dapprima di chirurgia e anatomia (1657), poi a lungo di medicina pratica (1658-1670); abitò in piazza Pollarola ed ivi morì il 19 maggio 1671. Fu sepolto nella Chiesa Nuova.

BIBL.  – Sommervogel, I, coll. 1285-1292, VII, coll. 45, 110, VIII, col. 1812; Villoslada 1954, p. 160 et alibi: Renzo Negri in DBI, 8, pp. 192-193 (fondamentale per documentaz. e va lutaz. critica, con altri rif. bibl.); Fumaroli 1995, pp. 53, 153-154; Peeters 1998; Fumaroli 2002, pp. 162-190. Per la famiglia e Giovanni Battista; AVR, Parr. di S. Lorenzo in Da maso, Morti, III. ad diem 19.5.1671Chiovelli – Pioli 1982, p. 31; Vitalini Sacconi 1982, I, p. 100, II, p. 204, 259; Conte 1991, p. 916.

[Scheda di Saverio Franchi-Ibimus; riduzione di Luciano Osbat-Cersal]