Vico Di – Famiglia (Viterbo, Secc.  X- XV)

Famiglia tra le più importanti a Viter­bo e nella Tuscia nel Medioevo. Di origini non cer­te, forse proveniente dal suburbio viterbese, o for­se discendente dai duchi di Spoleto o da Arnolfo, gastaldo di Temi, vide molti dei suoi esponenti, a partire da Pietro nel 965, succedersi per circa tre se­coli nella carica di prefetto di Roma, da cui il nome di Prefetti o Prefetteschi con cui essi furono anche noti a partire dal sec. XI.

Le vicende laziali della fa­miglia la videro sempre oscillante tra la recalci­trante sottomissione ai pontefici, preferendo spes­so gli antipapi, e lo schieramento filoimperiale, ma impegnata comunque nella lotta per la propria espansione feudale nel territorio altolaziale e nella città di Viterbo. La signoria dei suoi membri più im­portanti si estese in un vasto territorio che com­prendeva Civitavecchia, Tarquinia, Bolsena, Orvie­to, Todi, Narni, Amelia e diversi castelli minori, avendo il suo fulcro a Viterbo, nelle rocche intorno alla via Cassia e sui monti Cimini, presso il lago di Vico.

Come per le origini, anche circa la genealogia non vi è certezza tra gli studiosi; secondo alcuni, infatti, Giovanni fu console a Orvieto nel 975 e nel 989, mentre è nota la figura di un Riccardo intorno al 1080. Per altri il primo personaggio conosciuto è Giacomo I, che era prefetto di Roma nel 1146 quan­do Eugenio II lasciò la città; egli ne approfittò per occupare Civitavecchia e Viterbo, ma la sua signo­ria non ebbe lunga durata. Tornato il pontefice, Gia­como venne imprigionato e condannato a pagare una forte ammenda per l’usurpazione compiuta. Giacomo ebbe tre figli: Pietro I (v.), Giovanni I (v.) e Ottaviano. La famiglia è attestata a Viterbo per la prima volta nel 1155, quando Pietro ricevette dal pontefice Adriano IV un risarcimento per i danni su­biti dalla sua casa di Viterbo durante gli scontri av­venuti in città a causa di Arnaldo da Brescia.

La di­scendenza di Ottaviano dette vita a un ramo della famiglia dei cui componenti non si hanno notizie, diversamente da quanto avviene con il ramo di Gio­vanni I, che ebbe due figli, Tebaldo e Pietro II (v.); il figlio di quest’ultimo, Giovanni II, che nel 1230 era prefetto di Roma, nel 1234 partecipò alla divi­sione dei domini familiari di Bracciano e di Santa Pupa ed era presente a Montefiascone, come risul­ta da un privilegio di Federico II a favore di Rai­mondo di Tolosa. Ebbe quattro figli: Bonifacio, Gottifredo, Gabriele e Pietro III (v.). Questi (m. 1262/1263) fu conte di Anguillara e signore di Ci­vitavecchia e di Blera, centro che fu oggetto della rappresaglia imperiale da parte di Federico II, per lo schierarsi di Pietro con il pontefice Innocenzo IV.

Alla morte di Pietro i possedimenti passarono a Pie­tro IV (v.). Questi era secondo alcuni studiosi il fi­glio di Bonifacio, che aveva rivendicato, nei con­fronti della Chiesa, l’eredità dello zio, morto senza figli. Alla sua morte (dic. 1268), avvenuta in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Tagliacozzo (23 ag. 1268), cui aveva partecipato a fianco di Corradino di Svevia, venne sepolto, come da lui indi­cato nel testamento, nella chiesa del convento di S. Maria in Gradi, in un sepolcro monumentale, nello stile gotico di quello del pontefice Clemente IV, che venne trasferito alla fine dell’Ottocento nella chie­sa di S. Francesco e qui quasi completamente di­strutto dai bombardamenti del 1944. Secondo il te­stamento, Pietro lasciò ai Domenicani di S. Maria in Gradi anche la campana della torre del castello che la famiglia possedeva presso il lago di Vico.

Pietro aveva avuto forse quattro figli, tra cui Pietro V (v.) e Manfredi (v.), che nel 1290 donarono sempre al convento di S. Maria in Gradi, anche una abitazio­ne che, successivamente ceduta dai frati a Visconte Gatti, sarebbe divenuta la sede dell’ospedale Domus Dei. Pietro fu prefetto di Roma dal 1272. Man­fredi (m. 8 ott. 1337) successe al fratello nella pre­fettura romana ma, al contrario di Pietro, fu da su­bito ostile nei confronti del papato; strinse un patto di alleanza con i Colonna e con Sciarra Colonna combatté a Orvieto nella battaglia del 20 ag. 1312. Della città tenne il governo nel 1313, salvo esserne poi cacciato dai Perugini guelfi.

Nella sua discen­denza si annoverano: Bonifacio, Faziolo (v.), Gio­vanni III (v.), Ludovico, Pietro, Sciarra. Bonifacio fu difensore del popolo nel 1312. Faziolo (m. 1338), governatore di Viterbo dopo averne ucciso (1329) il precedente signore, Silvestro Gatti, venne a sua vol­ta ucciso dal fratellastro Giovanni (m. 1366), che fu prefetto di Roma, fino ai suoi contrasti con Cola di Rienzo (1347), e a capo dei governi di Viterbo, Civitavecchia e Orvieto. Ludovico fu uomo d’ar­me, impegnato nel 1354 nella difesa di Corneto (oggi Tarquinia); sposò Vannozia di Andrea Orsini del ramo di Campo dei Fiori e nel 1375 si ritirò a Viterbo. Quella di Giovanni, probabilmente inten­zionato a costituire una signoria autonoma sui mon­ti Cimini, fu una delle personalità di maggior spic­co nella famiglia. Ebbe sei figli: Annasina, Battista (m. febbr. 1378), Briobi (m. 1353), Francesco (v.), Giacomo, Tradita. Battista e Briobi furono uomini d’armi e Briobi è ricordato come tiranno al gover­no di Viterbo. Tradita sposò nel 1366 Giovanni dei Conti di Pisa. La prosecuzione di questo ramo del­la famiglia spettò a Francesco (m. 8 maggio 1387), signore di Viterbo e di molte altre rocche del terri­torio, che sposò la figlia di Giordano Orsini, Perna.

Galasso, Giacoma, Giovanni, Gregoria e Rolandino, i cinque figli di Francesco, costituirono l’ulti­ma generazione di questo ramo della famiglia. L’al­tro ramo era quello che derivava da Sciarra, fratel­lo di Giovanni III, il cui figlio fu Giovanni IV. Que­sti (m. 1430) tenne ancora la signoria della città di Viterbo e quella di Civitavecchia ed ebbe due figli, Angherano e Giacomo II (v.). Quest’ultimo, signo­re di diversi centri, tra cui Vetralla e Civitavecchia, e prefetto di Roma, si pose in aperto contrasto con la Chiesa per i domini territoriali dell’Alto Lazio, fino a essere imprigionato e fatto giustiziare a So­riano nel Cimino dal cardinale Giovarmi Vitelleschi (28 sett. 1435).

Dei suoi figli, peraltro naturali, An­gherano, Francesco, Menelao e Sicuranza, nessuno risulta aver partecipato alla vita pubblica della re­gione. La famiglia aveva più di un immobile a Vi­terbo; in particolare ebbe un palazzetto in via dei Pellegrini e una casa posseduta da Manfredi in con­trada San Lorenzo. A Vetralla restano pochi resti del castello che la famiglia aveva, in posizione strate­gica a controllo della via Cassia. Dagli scarsi riferi­menti delle fonti sembra che il castello che la fami­glia doveva possedere presso il Lago di Vico venis­se distrutto nel 1365 per ordine del rettore Giorda­no Orsini, che aveva attaccato Giovanni III.

Il se­polcro era nella chiesa di S. Maria in Gradi a Viter­bo.

Arme: di rosso all’aquila imperiale d’argento cantonata da quattro palle d’oro, il collo accostato da altre due palle d’oro. Le palle sono state inter­pretate come pani.

BIBL. – Per la bibl. dei personaggi si rimanda alle singole voci. Inoltre: Calisse 1887, pp. 8, 22-23; Amayden, II, p. 229; Signorelli, III/1, pp. 82-83, 150-155; Valtieri 1983, p. 27 n. 52, figg. 34-35; Carocci 1993, tav. X/7; Corteselli – Pardi 1993, p. 257; Angeli 2003, pp. 563-564.

[Scheda della Redazione Ibimus]