Cavalieri, Lina (Natalina) – Cantante, attrice (Viterbo, 25 dic. 1874 – Fiesole, 7 feb. 1944).

La vita romanzata de «La donna più bella del mondo» diventò un film interpretato da Gina Lollobrigida nel 1955 (regia di Robert Z. Leonard, scenografìa, tra gli altri, di Mario Monicelli, musica di Renzo Ros­sellini); Lina stessa lasciò le proprie memorie in un libro, Le mie verità, pubblicato a Roma nel 1936 (Soc. An. Poligr. Italiana) a cura del giornalista Paolo D’Arvanni: ciò nonostante non è facile distinguere tra verità e leggende, spesso abilmente costruite, di una donna mito della Belle Époque europea.

Il padre Fiorindo, marchigiano di umili origini (assistente architetto, riferisce ella stessa) e la madre Teonilla Peconi, viterbese (ma più probabilmente del territorio di Viterbo in quanto un tale cognome non è presente a Viterbo in quei decenni), si trasferirono a Roma, nel rione Trastevere, con la piccola appena nata. Presto Lina fu costretta a guadagnarsi da vivere, prima vendendo violette poi, a 13 anni, lavorando come piegatrice di giornali presso «La Tribuna» di Roma, quindi come apprendista sarta.

Trasferitasi con la famiglia (il padre ora era venditore ambulante) in una modesta casa nel rione Esquilino, cominciò a frequentare un vicino luna park dove prese ad esibirsi nel canto. Apprezzando la sua naturale disposizione musicale un maestro di musica, Arrigo Molfetta, cominciò a impartirle qualche lezione per avviarla alla carriera di canzonettista che, infatti, ebbe inizio in uno dei tanti caffè concerto della città, La Torre di Belisario, in piazza Navona, a una lira per sera, senza contratto. Quando poi, nel 1887, si esibiva nei capannoni di Porta Salaria, di certo furono la sua straordinaria bellezza, oltre che la sua maestria vocale e il focoso temperamento, che la fecero notare all’impresario Nino Cruciani che la scritturò per il Caffè Concerto Esedra. Qui iniziò la sua ascesa artistica, dapprima sulle scene del Grande Orfeo, palcoscenico di artisti noti e di fama internazionale, per 10 lire al giorno, quindi al Teatro Diocleziano, dove il compenso salì a 15 lire giornaliere e dove ella colse i primi successi contribuendo, con la sua grazia e la prorompente femminilità, all’affermazione delle più belle canzoni di Mario Costa, quali La ciociara, Funiculì-funiculà e La francesa.

Esordì al Teatro Costanzi e fu il lancio definitivo. Divenuta in breve uno dei personaggi più popolari della Roma umbertina, poté approdare al celebre Salone Margherita, scritturata dai fratelli Marino i quali seguivano quotidianamente le più accreditate agenzie al fine di ingaggiare, per i loro teatri di Roma e di Napoli, le chanteuses e le actractions che erano sulla cresta dell’onda. Qui, oltre alle canzonette dei suoi primi passi, Lina cominciò a cantare anche dei brani lirici, e il pubblico ammirava il nobile sforzo che l’artista compiva con tenace impegno e l’ingegno. Affermatasi rapidamente, decise di affrontare il pubblico parigino: la sua celebrità fu consacrata alle Folies-Bergères cantando un programma di canzoni napoletane accompagnata da un’orchestra tutta femminile, di chitarre e mandolini.

Da Berlino l’eco dei suoi trionfi passò in Russia dove, a Pietroburgo, rinnovò i suoi successi con una serie di brillanti esibizioni al teatro Kristowskij Ostrow, che le aprirono l’ingresso nel gran mondo dell’aristocrazia. Stava maturando in lei la decisione di abbandonare il varietà per dedicarsi all’arte lirica. Prima però, come ella stessa racconta, nel 1899 a Pietroburgo sposò il principe Alessandro Bariatinskji, con il quale si mise a viaggiare attraverso l’Europa, per cui abbandonò temporaneamente ogni attività artistica. Costretta a divorziare per volere dello zar, Lina lasciò la Russia e si recò a Parigi dove, per esortazione del tenore Francesco Marconi, si dedicò seriamente allo studio del canto, divenendo allieva di Maddalena Mariani Masi, cantante affermatasi nella Gioconda, consigliera di Ponchielli, la quale apprezzava l’intelligenza, l’intuito musicale e la forza di carattere della Cavalieri.

Il suo esordio nel teatro lirico avvenne al San Carlo di Napoli (apr. 1900) nella Bohème di Puccini e il successo riportato le schiuse le porte dei maggiori teatri del mondo: subito dopo infatti cantò al San Carlo di Lisbona nella parte di Nedda ne I pagliacci di Leoncavallo (e in questa città contrasse il secondo matrimonio, nientemeno che con il re del Kazan, divorziando tuttavia poco dopo per il rifiuto di Lina a rinunciare al canto e al teatro: pare che il povero sovrano, sposatosi con una sosia della C., si desse all’alcool per poi morire prematuramente a quarant’anni).

Il gran balzo era stato compiuto: da canzonettista divenne attrice in tante opere, le più impegnative. Scrive il musicologo Alessandro Quarta, sulla base delle poche, preziose riproduzioni dei brani incisi nel 1910 in America per la Columbia, che si può intuire chiaramente «un timbro morbido di soprano drammatico, con un’ampia possibilità nel registro di petto, che la farebbero sembrare a volte un mezzo-soprano addirittura. Comunque su tutto emerge eleganza d’emissione e fraseggio». Il 5 dic. 1906 de­buttò al Metropolitan Opera House di New York nella Fedora di Giordano, accanto a Enrico Caruso, suscitando scandalo (forse calcolato) perché, nel duetto d’amore del secondo atto, baciò veramente il suo partner sulla bocca: negli Stati Uniti il gesto, da allora in poi, le valse l’appellativo di «the kissing primadonna». Ottenne il ruolo di protagonista nella Manon Lescaut di Puccini, che il 18 gen. 1907 fu rappresentata al Metropolitan in prima assoluta per gli Stati Uniti, insieme a Caruso e Scotti: Puccini stesso descrisse quel successo strepitoso in una lettera a Tito Ricordi (19 gen. 1907) dove senza riserve riconosceva alla C. un grande temperamento d’artista e inaspettate doti vocali. Confermata al Me­tropolitan fino al 1910, nel 1908 si era sposata con il miliardario americano Robert W. Chandler di New York, divorziando dopo otto giorni di matrimonio e dopo averne ricevuto una considerevole quantità di beni. Tornò in Europa e, nei ruoli di Margherita e di Elena, fu acclamata interprete del Mefìstofele di Boito nel teatro romano di Orange, accanto a Fiodor Saljapin.

Fu ripetutamente al Covent Garden Opera House di Londra negli anni 1908, 1911 e 1912 e quindi tornò a Parigi dove, in terze nozze, nel 1914 sposò un compagno d’arte, il tenore francese Lucien Muratore, con il quale creò il ruolo di Stephania in Siberia di Umberto Giordano. Con il marito apparve fino al 1916 in vari teatri europei e successivamente, scritturata dalla Chicago Opera Company, tornò negli Stati Uniti durante il primo conflitto mondiale per una serie di concerti di propaganda; contemporaneamente, a Parigi, entrò a far parte del Comité pour l’assistance aux poilus. Intanto, fin dal 1914, aveva intrapreso la carriera cinematografica alla cines di Roma, girando diversi film, tuttavia senza successo, fino al 1921: Manon Lescaut (1914), La sposa della morte (1915), La rosa di Granata (1916), The eternai temptress (1917), Loves conquest (1918), A woman of impulse (1918), The two brides (1919), Amore che ritorna (1921). Anche la casa produttrice Paramount ebbe in programma di girare un film sulla sua vita, ma l’inizio della seconda guerra mondiale fece cadere il progetto. Come cantante lirica apparve per l’ultima volta (1919) al Teatro Carcano di Milano. Ancora divorziata, successivamente sposò Giovanni Campari.

Tra i tanti aneddoti sulle follie maschili che accompagnarono il suo successo, uno aveva già legato Lina ai Campari e alla diffusione del famoso aperitivo: infatti Davide Campari, figlio di Gaspare, creatore della bevanda, innamoratosi di lei al punto da seguirla nelle sue varie tournées, si era ingegnato a giustificare con la famiglia le sue fughe adducendo la ricerca di contatti esteri per smerciare il prodotto: il giovane riuscì davvero a instaurare proficui rapporti con il mercato estero ma, pare, senza ottenere mai i favori della bella cantante. Lina, abbandonate le scene nel 1926, aprì a Parigi un istituto di bellezza intitolato al suo nome, che diresse con buon successo commerciale fino al 1936. Tornata in Italia si stabilì a Roma, in una lussuosa villa sulla via Nomentana, dedicandosi per lo più all’amministrazione di una sua tenuta presso Rieti, in compagnia dell’unico figlio. Trasferitasi in seguito a Firenze, morì in una sua villa presso Fiesole il 7 feb. 1944 durante un bombardamento aereo.

Per le sue doti vocali espressero stima e ammirazione musicisti come Massenet, Giordano, Leoncavallo, Cilea e soprattutto Puccini.

BIBL. – Rodolfo Celletti in EdS, II, coll. 259-261; Raoul Meloncelli in DBI, 22, pp. 676-678; Rodolfo Celletti – Valeria Pregliasco Gualerzi in New Grave 2001,5, p. 301; Di Tizio 2004; Fryer – Osova 2004; Quarta 2004, I, pp. 35-38.

[Scheda di Gabriella Spigarelli – Fgb; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]