Giacinta (al secolo Clarice), Marescotti – Santa (Vignanello, 16 mar. 1585 – Viterbo, 30 gen. 1640).
Figlia di Marcantonio (terzo conte di Vignanello e Parrano), e di Ottavia Orsini (figlia di Vicino e di Giulia Farnese), era nata a Vignanello il 16 marzo 1585 dopo Ginevra (1575-1631) e prima di Ortensia (1586-1622) e dei fratelli Sforza Vicino (1589-1655) e Galeazzo (1599-1626). Il feudo di Vignanello, che era stato concesso da Paolo III ai Marescotti nel 1536, negli anni della nascita di Clarice era amministrato da suo nonno, Alfonso, che si era messo in gravi contrasti sia con i suoi feudatari sia con la stessa Camera apostolica: nel 1592 era stato condannato a morte e il feudo di Vignanello era stato confiscato. Clarice con la madre, le sorelle e con Sforza Vicino (che aveva allora 3 anni) erano stati costretti ad abbandonare Vignanello; gli anni successivi erano stati vissuti tra Roma e Vignanello (dove però la famiglia Marescotti era in affitto dalla Camera apostolica nel castello che era stato loro). L’avvento di papa Clemente VIII (Aldobrandini) nel gennaio 1592 segnò una svolta nelle questioni dei Marescotti: la madre di Clarice, Ottavia, e la nonna, Giulia Farnese, si erano rivolte al papa che aveva graziato Alfonso e aveva reso meno drammatica la situazione della famiglia di Marcantonio. Nel 1594 la sorella maggiore di Clarice, Ginevra, prese i voti con il nome di suor Innocenza nel Monastero di San Bernardino a Viterbo, luogo che aveva ospitato la madre per breve periodo e dove era stata Badessa una Lucrezia Farnese nel 1563 ed era presente in quegli anni anche una sorella di Alfonso, Beatrice Marescotti. Clarice fu inserita nello stesso Monastero come educanda ma vi rimase solo un anno ritornando poi a vivere nel palazzo paterno (probabilmente a Roma). A Roma Clarice e Ortensia ebbero modo di conoscere Paolo Capizucchi e forse Clarice immaginò un futuro accanto a questo uomo brillante (che nel 1593 aveva sposato Olimpia Mattei e che nel 1602 era rimasto vedovo). Gli Aldobrandini, imparentati ai Capizucchi, favorirono il matrimonio con i Marescotti sperando così di sollevarsi da una situazione economica precaria. E Marcantonio, che contava sulle benemerenze del papa per risolvere i guai famigliari con la giustizia pontificia, era favorevole al progetto. Scelse Ortensia come futura moglie di Paolo, destinando in questo modo Clarice ad entrare in Monastero.
Clarice il 9 gen. 1605, dopo il matrimonio di Ortensia con Paolo Capizucchi (8 novembre 1604), fece il suo ingresso nel Monastero di San Bernardino e qui, nel momento di emettere i voti, prese il nome di Giacinta. Era Badessa in quegli anni Ludovica Di Marsciano che accolse la nuova ospite e, come abbastanza frequente in quell’epoca alle esponenti delle famiglie nobili, le consentì di vivere all’interno del Monastero con quelle comodità che erano il segno del suo lignagggio e dell’importanza ella sua famiglia. Nel gennaio 1606 suor Giacinta emise i voti solenni.
Clarice ora divenuta Giacinta visse i primi quindici anni nel Monastero non accettando la sorte che le era stata imposta: aveva un profondo rancore nei confronti del padre Marcantonio, viveva con distacco anche il rapporto con la sorella suor Innocenza per non parlare di quello con l’altra sorella Ortensia che le aveva tolto quello che era stata la sua aspirazione: vivere accanto ad un marito la vita mondana della Roma dei quegli anni. E questo atteggiamento non cambiò alla morte del padre-padrone avvenuta nel 1608.
Dopo quindici anni di vita religiosa, in concomitanza con una sua grave malattia, dopo che era morto Paolo Capizucchi nel 1620 e sua sorella Ortensia nel 1622, negli anni in cui la sorella suor Innocenza era Badessa di San Bernardino, forse anche spinta dalla direzione spirituale del confessore Antonio Bianchetti, entrò in una profonda crisi dalla quale uscì accettando pienamente il suo stato di religiosa. Trascorse i restanti anni nella povertà e penitenza, digiunando spesso e incatenandosi alla Croce. Fu molto attiva verso la comunità viterbese, adoperandosi per la fondazione di varie istituzioni, tra cui nel 1636 la Compagnia dei Sacconi, deputata all’assistenza dei malati, e nel 1638 la Congregazione degli Oblati di Maria, dedita alla cura degli anziani, che si trovavano nell’ospedale cittadino di S. Carlo. Fu coadiuvata nella sua attività assistenziale da Francesco Pacini, un soldato da lei convertito. Diffuse la devozione al SS. Sacramento attraverso l’esposizione pubblica e l’adorazione dell’Eucaristia nell’ultimo giorno dell’anno, ogni giovedì e durante l’ottava del Corpus Domini, e inoltre introdusse la pratica delle Quarantore durante i festeggiamenti del carnevale. Le furono attribuite doti profetiche e, alla sua morte, la salma fu oggetto di venerazione da parte dei viterbesi, tanto che dovette essere presidiata: ciò nonostante le sue vesti furono fatte a brandelli perché si riteneva che quei pezzi di stoffa fossero rimedio per le malattie. In contrasto con l’attenzione dalla quale la sua morte fu circondata, fu sepolta nella chiesa del Monastero di San Bernardino non dentro una cassa (come spesso si usava per le persone morte in “odore di santità”) ma sopra due tavole che erano state tratte dal suo letto e deposta nella tomba comune delle consorelle al punto che quando fu avviato il processo informativo non si fu più in grado di riconoscere quale fosse stato il corpo di Clarice Marescotti.
Il processo informativo che ha riguardato Clarice Marescotti è stato condotto secondo le procedure che Urbano VIII aveva rivisto nella prima metà del XVII secolo. Iniziato nel 1687 e condotto da fra Cherubino da Spoleto, procuratore per conto del cardinale Galeazzo Marescotti, è stato poi seguito dal processo sull’assenza di culto; nel 1692 Roma darà il via al processo apostolico che si svolgerà tra il marzo e l’agosto di quell’anno a Viterbo e poi, ritornato l’incartamento ancora a Roma, sarà del tutto completato nel marzo del 1693.
Il primo documento dell’incartamento è il decreto del cardinale Urbano Sacchetti, allora vescovo di Viterbo: porta la data del 15 dicembre 1687. Segue la richiesta di fra Cherubino da Spoleto allo stesso cardinale di essere investito dell’incarico di avviare il processo informativo e il decreto di nomina del Sacchetti, nel quale si fa menzione di quattro ecclesiastici che sono delegati a seguire il procedimento per conto del vescovo e sono p. Giovanni Casa, priore di Sant’Angelo in Spata, p. Francesco Maria Contestabile, Minore conventuale, don Pietro Petrucci promotore fiscale del Tribunale diocesano e don Giuseppe Piciocchi notaio della Curia. L’incartamento prosegue con un fascicolo che contiene le domande (sono 80 in questo schema) che dovranno essere rivolte ai testimoni che saranno convocati a Viterbo, presso la sede dell’oratorio dell’Ospedale dei Convalescenti. Dagli elenchi allegati risultano 29 persone che subiscono l’interrogatorio a Viterbo e sono per la maggior parte monache del monastero di San Bernardino. A seguire vi sono i costituti degli interrogatori e poi uno nuovo schema articolato in 13 punti: è datato 17 febbraio 1688 e gli interrogatori che seguono non avvengono più a Viterbo ma sono datati “Civitatis Castellanae”. E’ probabile che si tratti di interrogatori relativi agli anni giovanili di Giacinta Marescotti e alla sua presenza a Vignanello che, facendo parte della diocesi di Civita Castellana, Orte e Gallese, richiedeva l’intervento di un’autorizzazione da parte di quel vescovo e lo svolgimento degli interrogatori presso quella Curia diocesana. Queste testimonianze terminano nel giugno 1688 e vengono raccolte contemporaneamente a quelle che nel frattempo venivano registrate a Viterbo. Nel volume seguono poi i verbali degli interrogatori che riguardano il “Processus super non cultum”. Tra la documentazione allegata vi è il “Discorso funebre fatto nella Chiesa delle Monache di S. Bernardino” tenuto da fra Paolo da Rieti il 1° febbraio 1640.
Alla fine degli interrogatori, nel febbraio 1692, viene redatto un memoriale articolato in 195 articoli che servirà alla Congregazione romana per decidere di avviare il processo apostolico e che è stato utilizzato da quasi tutti i suoi biografi per le notizie sulla Serva di Dio (del processo infatti sarà solo questo memoriale ad avere una circolazione più ampia mentre sia il processo informativo che il processo apostolico resteranno segretati). La biografia è intitolata “Fama universale della Santità della Serva di Dio mentre visse” ed è suddivisa nelle seguenti parti: “Nascita, educazione, et opere della Serva di Dio”, articoli 2-14; “Della Fede”, articoli 15-27; “Della Speranza”, articoli 28-36; “Della Carità verso Iddio”, articoli 37-50; “Della carità verso il prossimo”, articoli 51-70; “Delle Virtù Cardinali, e sue annesse. E Primo Della Prudenza”, articoli 71-81; “Della Giustizia, e suoi annessi”, articoli 82-99; “Della Fortezza”, articoli 100-107; “Della Temperanza”, articoli 108-144; “Delli Doni Soprannaturali”, articoli 145-166; “Della morte della Serva di Dio, e della fa,a della di Lei Santità”, articoli 167-174. “De’ Miracoli dopo la morte”, articoli 175-195.
Il processo, sostenuto dalla comunità viterbese, fu patrocinato da due aristocratici nipoti di G., il sopra citato cardinale Galeazzo Marescotti e il cardinale Camillo Capizucchi e questo favorì una relativamente breve istruzione del percorso che portò il 14 luglio 1726 Benedetto XIII a dichiararla beata; alla celebrazione assistettero tra gli altri il pronipote Francesco Maria Ruspoli, principe di Cerveteri, e il vescovo della diocesi di Viterbo Adriano Sermattei.
Il decreto di canonizzazione fu emesso il 15 ago. 1790 da Pio VI e la cerimonia fu celebrata il 24 maggio 1807 da Pio VII. Nell’archivio del convento dei SS. Apostoli a Roma è conservato un suo diario probabilmente autografo. Il corpo è sepolto nella chiesa a lei dedicata che sorge accanto al convento di S. Bernardino a Viterbo, la sua festa ricorre il 30 gennaio.
FONTI E BIBL.: – La documentazione relativa ai processi per la causa di beatificazione di Giacinta Marescotti è conservata presso il Centro diocesano di documentazione per la storia e la cultura religiosa di Viterbo, nella Sezione Archivio diocesano di Viterbo, Fondo “Processi di beatificazione e di canonizzazione”, busta 4.1, 4.2, 4.3. B. Scanziani , voce Giacinta Marescotti in Regione Lazio, Dizionario storico biografico del Lazio, Roma 2009; Enciclopedia Cattolica, volume VI, col. 307; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, vol.III/1, Viterbo, 1964, pp. 125, 165-180; Goffredo Mariani in Bibliotheca Sanctorum, volume VI, coll. 322-324; Santa Giacinta Marescotti. 1807-2007. Atti delle giornate giacintiane, Viterbo, Palazzo Papale, 25/26 maggio 2007, a cura di Giovanni Cesarini, Viterbo 2008; F. Giurleo, M. Grattarola, Suor Giacinta Marescotti al secolo Clarice Nobildonna e Monaca, Libritalia, 2013.
[Scheda di Luciano Osbat – Cersal]