Giorgio da Orte (Giorgio Cenci) – Pittore (Orte, 1549 ca. – Roma 1575 ca.).

Acqui­sito solo di recente dalla storiografia critica, è co­nosciuto localmente attraverso le citazioni sporadi­che di Lando Leoncini, cronista ortano inedito di poco posteriore. Figlio di Domenico Cenci e di Bri­gida, la sua formazione artistica viene ricondotta all’ambiente romano anche a seguito dell’indica­zione, da parte del Leoncini, della sua presenza alla decorazione della chiesa del Gesù in Roma. Lo stesso Leoncini gli attribuisce, inoltre, la decora­zione interna del castello di Montoro (Narni) con ritratti di imperatori romani. Di tutti questi lavori non si ha più traccia.

Sono invece note e documen­tate due opere in Orte: un San Sebastiano, su tavo­la, dipinto nel 1565 per la chiesa della Madonna delle Grazie ora nel Museo Diocesano di Orte – nel quale si firma «Giorgio Leo Hortano» -, e una grande pala della Madonna del Rosario con san Domenico, san Pio V e santa Caterina da Siena, an­ch’essa su tavola, ancora ospitata nel suo altare nel­la chiesa di S. Agostino – S. Croce. La pala è con­tornata da piccoli tondi che raffigurano i misteri del rosario e si colloca con tutta probabilità nello stes­so anno 1565, come lascia supporre la documenta­zione sui rapporti tra G. e i committenti oggi di­sponibile. Quando G., indicato come «magister» già dal 1564, dipinse quest’ultima opera, secondo il Leoncini era sì giovane «ch’appena haveva barba».

Gli vengono inoltre attribuiti dalla recente critica altri due dipinti conservati in Viterbo: un altro San Sebastiano con tratti stilistici più maturi del primo, proveniente dalla chiesa viterbese di S. Maria del­la Verità e ora nel Museo Civico, e una Resurrezio­ne di Lazzaro esposta nel Museo Diocesano. Le quattro opere note presentano grande qualità pitto­rica nonostante una struttura arcaizzante, nonché un’impronta fiamminga probabilmente dovuta alla diffusione della scuola muzianesca.

G. morì a Roma molto giovane, presumibilmente nei primi anni Settanta del Cinquecento, e il Leoncini com­menta che «se questo non moriva sì presto era per riuscire valentissimo e famoso nell’arte sua» (II, c. 345).

BIBL. e FONTI – Leoncini, II, c. 345;  Russo – Santarelli, 1999, pp. 176-179, 186; Zuppante 2006b, pp. 155-156, 169; S.E. Anselmi, L. Principi,  Il Museo d’Arte Sacra di Orte, 2013.

[Scheda di Abbondio Zuppante – Ibimus; integrazioni di G. Pannuti-Cersal]