Liberati Giovanni Antonio – Letterato (Vallerano, secc. XVI-XVII).
Dopo studi letterari e giuridici esercitò le attività di notaio (con ruolo pubblico assegnatogli a Viterbo il 24 apr. 1582), dapprima a Vallerano (1582-1586), poi a Caprarola (1586-1626), e di maestro di scuola, con incarico del Comune di Caprarola mantenuto ininterrottamente dall’ott. 1582 agli anni Venti del Seicento salvo il periodo tra l’ott. 1585 e il nov. 1586, quando fu sostituito da Muzio Ferranti. Fu cancelliere del Comune di Caprarola nel 1588, nel 1590 e continuativamente dal 1596 al 1621. Come letterato fu attivo nell’ambito delle promozioni del cardinal Odoardo Farnese nel palazzo di Caprarola, della cui accademia fu il principale membro. La sua opera più nota furono le parti aggiunte (prologo, intermedi e licenza, quest’ultima in sostituzione di quella originale) per la commedia di Torquato Tasso Intrichi d’amore che il cardinal Farnese fece rappresentare a Caprarola il 1o sett. 1599 (non 1598 come erroneamente indicato nella prima edizione). Nella recita L. sostenne il personaggio del vecchio padre Manilio. La commedia con le parti aggiunte di L. fu poi stampata (Viterbo, presso Girolamo Discepolo, 1603) con ampia dedicatoria di un altro accademico di Caprarola, il medico Scipione Perini, al cardinal Farnese.
Fin dall’epoca si dubitò dell’autenticità della commedia (già contestata da G. B. Manso, primo biografo del Tasso), ritenendo che da un semplice abbozzo tassiano gli accademici di Caprarola, e principalmente L., avessero in pratica tratto un’opera nuova, e quindi fossero i veri autori del testo letterario. L’attribuzione a L. della sostanziale paternità della commedia (già l’inventario della Biblioteca Farnese del 1653 indica L. come autore) si basava su quella del prologo e degli intermedi, sicuramente suoi, come risulta dalla dedicatoria di Perini. Oggi, seppure alcuni continuino a negare l’autenticità tassiana attribuendo l’opera a L. oppure a un altro autore del tempo, Cristoforo Castelletti, altri tendono a ritenere che un soggetto dettagliato fosse realmente del Tasso (risaliva al 1577) e che gli accademici lo abbiano poi compiutamente disteso (v. Malato e Mariti in Bibl.). In questo intervento L. ebbe presumibilmente parte; peraltro i suoi intermedi (che erano per musica e furono cantati e suonati dall’accademia dei musici di Caprarola) si mostrano eleganti, ben adatti alla corte farnesiana del cardinale.
Il successo spinse L. a scrivere altre opere drammatiche: una «pastorale compita di cinque atti» scritta alla fine del 1604 (v. prefazione dell’Herillo), poi la favola boscareccia Herillo (ed. Viterbo, per il Discepolo, 1605), «composta in Caprarola ad instantia dell’Accademia de Musici per recitare nelle veglie» del carnevale 1605 e da lui dedicata all’amico Perini. Più ambiziosa la Tragedia di Santo Eustachio «in verso heroico» (Viterbo, presso Girolamo Discepolo, 1606), opera scritta in Caprarola nella quaresima 1604 in omaggio al cardinal Farnese, che aveva il titolo cardinalizio di S. Eustachio; la tragedia comprendeva antiprologo (in musica), prologo, cinque atti, quattro intermedi (in musica) e licenza (in musica), con azione in Roma al principio dell’impero di Adriano; il manoscritto autografo del testo è nel fondo farnesiano oggi nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Dieci anni dopo L. celebrò il palazzo e il sito di Caprarola pubblicando un poemetto in versi italiani e latini intitolato appunto La Caprarola (Ronciglione, presso Domenico Dominici, 1614), anche questo dedicato al cardinal Farnese; in esso rifuse una precedente descrizione del palazzo Farnese scritta «in più fresca età» ma rimasta inedita. Restano inoltre, seppur in cattivo stato, otto protocolli dei suoi rogiti notarili (quattro sono perduti), attualmente conservati presso l’Archivio di Stato di Viterbo, provenendo dall’Archivio Notarile di Ronciglione.
BIBL. – Malato 1976; Mariti 1978, pp. 44, 63-64, 78, 109; Stoppelli 1978; Fagliari Zeni Buchicchio 1984 (con importanti notizie d’archivio); Stoppelli 1987; Franchi 1988 (con altri rif. bibl.), pp. 28-30, 34, 42; D’Orazi 1991, n. 14.