Mazzocchi Domenico – Compositore (Civita Castellana, 1592 – Roma, 20 gen. 1665).

Figlio di Ostilio e di Girolama di Marta, fu battezzato nella cattedrale di Civita Castellana l’8 nov. 1592. Apparteneva a famiglia di ceto popolare, ma bene attestata a Civita Castellana tra la seconda metà del Cinquecento e la fine del Settecento. Studiò localmente, forse con l’aiuto di canonici della Cattedrale, formandosi una valida base culturale; tonsurato nel 1605, ebbe gli ordini minori l’anno successivo. Secondo una recente ipotesi, potrebbe fin da allora essere stato sotto la protezione del cardinal Pietro Aldobrandini, che dal 1600 era governatore perpetuo di Civita Castellana; sarebbe così entrato in contatto con i musicisti al servizio del cardinale, tra cui il liutista Filippo Piccinini e il celebre clavicembalista Girolamo Frescobaldi. Di suoi studi di composizione non si ha notizia; le prime opere sembrano rimandare a possibili contatti con Giovanni Bernardino Nanino, musicista di Vallerano in diocesi di Civita Castellana, e al circolo del cardinal Peretti Montalto.

Il 28 gen. 1614 M., insieme ad altri (tra cui nove persone di Civita Castellana), ottenne la cittadinanza romana. Prima del feb. 1619 si laureò in legge alla Sapienza; il 30 marzo 1619 fu ordinato sacerdote a Civita Castellana dal vescovo Fabriani. Intanto si faceva avanti come compositore: suoi componimenti furono pubblicati in antologie romane del 1621 e 1625. Nel 1621 era entrato, come gentiluomo, al diretto servizio del cardinal Ippolito Aldobrandini; a lui e alla sua casata principesca fu legato per tutta la vita, svolgendo mansioni di segretario e di virtuoso di musica. Visse perciò in palazzo Aldobrandini (oggi palazzo Doria Pamphili), sul Corso.

La sua attività musicale fu d’alto livello, testimonianza di una solida preparazione polifonica e contrappuntistica e insieme di un’acuta sensibilità verso le esigenze del gusto «moderno», con elegante e sicura conduzione nello stile monodico. Celebre il melodramma La catena d’Adone, da lui posto in musica su poesia di Ottavio Tronsarelli per il cardinal Ippolito e per il principe Giovanni Giorgio Aldobrandini suo fratello, che lo fecero rappresentare con pieno successo nel feb. 1626 nel palazzo di Evandro Conti alla Torre delle Milizie. L’apparato scenico, diretto da Giuseppe Cesari il «Cavalier d’Arpino», fu innovativo, con l’introduzione a Roma dell’uso di periaktoi per le mutazioni di scena a vista. Altrettanto innovativa fu la musica di M., che nella partitura a stampa pochi mesi dopo uscita a Venezia aggiunse la ben nota postfazione in cui illustra le «mezz’arie» da lui introdotte per rompere «il tedio del recitativo», avviando così un deciso distacco dell’opera romana dal modello fiorentino. Questo lavoro, di gran rilievo artistico, era tratto dall’Adone di Giovanni Battista Marino, quasi celebrazione di quel poeta morto nel 1625, tanto amato dagli Aldobrandini quanto avversato da papa Urbano VIII, che fece mettere l’Adone nell’Indice dei libri proibiti.

L’opera di M. perciò spiacque al papa, mentre brani eseguiti alla corte di Parma, dove M. si recò al seguito del Cardinal Ippolito nell’estate 1626, furono applauditi; l’autore ritenne allora opportuno farne stampare la partitura a Venezia e dedicarla al duca di Parma Odoardo Farnese (24 ott. 1626). Perduta è invece una «dilettevole opera pastorale» offerta dal Cardinal Ippolito all’ambasciatore di Spagna nella Villa Aldobrandini di Frascati nel giugno 1634 e ricordata dagli Avvisi di Roma. Degli stessi anni è il Coro di profeti, in cui M. diede un esempio di oratorio epico-lirico di vasto respiro in tre parti, fra i primissimi esempi compiuti del genere; il componimento, su poesia di Giovanni Ciampoli, fu eseguito nell’oratorio grande dei Filippini della Chiesa Nuova il 25 marzo di un anno anteriore al 1638 (Witzenmann).

Oltre ai madrigali e concerti (che furono eseguiti per il cardinal Francesco Barberini con il «conserto delle sue viole») e alle versioni musicali di poesie latine di papa Urbano VIII, spicca la raccolta delle Musiche sacre e morali (1640), straordinaria serie di brani monodici e polifonici, tra cui il bellissimo Cristo smarrito su versi del Marino.

Tra il 1635 e il 1645 parte della sua attività musicale fu legata al circolo del cardinal Francesco Barberini, al diretto servizio del quale era suo fratello Virgilio; furono anni in cui il prestigio artistico dei due fratelli M. toccò il punto culminante. Domenico fu spesso chiamato da Virgilio anche a S. Pietro, per dirigere uno dei «cori» in cui erano ripartiti gli esecutori nelle feste principali della basilica; almeno dal 1636 fu maestro di cappella dell’Arciconfraternita degli Angeli Custodi, protetta dal cardinal Maurizio di Savoia, amico degli Aldobrandini; compose oratori latini per l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e oratori italiani (perduti) per la sala dei Filippini alla Chiesa Nuova; altre musiche furono da lui scritte per l’Arciconfraternita della Trinità dei Pellegrini, protetta dal cardinal Ippolito, e per altre chiese e istituzioni romane.

Nel 1641 compose e fece eseguire nella cattedrale di Civita Castellana un dramma agiografico, poi ripreso a Roma, sui martiri patroni della sua città, facendone scrivere il testo poetico all’amico Tronsarelli. Essendo diventato benestante in seguito alla pensione lasciatagli dal cardinal Ippolito e ad altre entrate (rendite e benefici datigli da Innocenzo X e dagli Aldobrandini), adottò tra il 1640 e il 1645 un piccolo orfano romano, Ilario Raveri, curandone l’educazione per fame il proprio erede (il fratello Virgilio era come lui di stato ecclesiastico). Morto Virgilio nell’ott. 1646 a Civita Castellana, M. lo commemorò in una bella iscrizione tuttora esistente nella cattedrale, dove allestì anche per sé un sepolcro o cenotafio, andato distrutto nel secolo successivo.

Mentre la sua attività compositiva si era sostanzialmente conclusa prima del 1645, a partire dal suo soggiorno nella città natale del 1641 Domenico si interessò alla storia di Civita Castellana, ben presto dedicandosi a scritti eruditi con il proposito di identificarla con l’antica Veio. Pubblicò così il «discorso» Veio difeso (1646), ma la sua tesi fu confutata l’anno dopo da Famiano Nardini. Ne scaturì, per quasi un ventennio, una garbata ma insistita polemica con scritti dall’una e dall’altra parte. L’obiezione principale all’ipotesi di M. era quella dell’eccessiva distanza di Civita Castellana da Roma rispetto alle misure che gli autori antichi indicavano per Veio; nell’ultimo suo lavoro al riguardo, il Supplimento del 1663, egli cercò di superarla, pubblicando in appendice un Syntagma dell’erudito cinquecentesco Giuseppe Castiglione, che per primo aveva sostenuto l’identità di Veio con Civita Castellana. Ma l’opinione di Nardini, che collocava Veio presso l’odierna Isola Farnese, prevalse già all’epoca presso studiosi di fama come Lukas Holstenius e Raffaele Fabretti e fu confermata dai rinvenimenti archeologici settecenteschi. L’indubitabile preparazione culturale di M. fu dunque spesa a sostegno di una ipotesi erronea, forse per l’eccesso di amor patrio che voleva nobilitare Civita Castellana come erede di una delle metropoli etrusche.

Nel 1661 M. aveva fatto testamento, ma sopravvisse per altri quattro anni. Secondo la volontà espressa nel testamento, fu sepolto con rito solenne nella chiesa romana della Maddalena (santa da lui amata, modello di espressione patetica in alcune sue composizioni). Lasciava erede dei beni romani il figlio adottivo Ilario (sacerdote e dal 1665 maggiordomo e uomo di fiducia del cardinal Francesco Maria Mancini), di quelli di Civita Castellana il cugino Lorenzo.

Lodato già in vita da esperti di musica come Pietro della Valle, Giovanni Battista Doni, Giovanni Vittorio Rossi (l’«Eritreo»), Athanasius Kircher, sarà giudicato qualche decennio dopo dal Pitoni come «celebre e stimatissimo compositore di camera», che in quel genere «mostrò la vivacità del suo grand’ingegno». Il giudizio è stato sostanzialmente ribadito dagli studiosi moderni di M., autore da tempo considerato tra i protagonisti della prima metà del Seicento, capace di grandi finezze nell’uso del nuovo stile monodico, nella ricerca espressiva legata al cromatismo e all’enarmonia della «musica erudita», nel superamento dei lunghi recitativi fiorentini con la continua animazione di «mezz’arie» e con una flessibilità melodica di rara calibratura su testi raffinati.

Scritti – Veio difeso, discorso (Roma, per Lodovico Grignani, 1646; ded. ai conservatori e al popolo di Civita Castellana); Lettera et apologia del difensor di Veio (Roma, per il Mascardi, 1653; ded. al principe Camillo Pamphili, marito di Olimpia Aldobrandini); Supplimento a Civita Castellana circa la sua distanza da Roma, discorso (Roma, per il Mascardi, 1663; ded. al cardinal Francesco Maria Mancini). Tre suoi componimenti poetici, da lui stesso posti in musica, furono editi nelle Musiche sacre e morali del 1640.

BIBL. – Pitoni, pp. 300-301; Ademollo 1888, pp. 18-19; Gaspari, III, p. 108; Solerti 1908, p. 170; Tomassetti, III, p. 89; Cardinali 1926; Reiner 1968; Witzenmann 1970 (lavoro di riferimento, cui si rinvia per le fonti e la bibl. precedente); Witzenmann 1979; Annibaldi 1982, p. 295; Franchi 1988, pp. 144-145, 220-221, 246; Franchi 1993, pp. 161-162; Witzenmann 1993a; Witzenmann 1993b; Hammond 1994, pp. 101-102, 106-107, 110; Witzenmann 1998; Gloria Rose – Wolfgang Witzenmann in New Grove, 12, pp. 194-195; Schrammek 2001, ad indicem; Franchi 2004, pp. 265, 278; Rostirolla 2004b, p. 460; Bernhard Schrammek in MGG, 11, coll. 1426-1428, 1431-1432; Chirico 2005; Franchi 2006, pp. 397, 505, 602, 612, 751-762, 764, 797-801, 814, 825, 878-879, 910-912; Saverio Franchi in DBI, 72, pp. 614-619.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]