Mazzocchi Virgilio – Compositore (Civita Castellana, 1597 – ivi, 3 ott. 1646).

Figlio di Ostilio e di Girolama di Marta, fu battezzato il 22 luglio 1597 nella cattedrale della città con il nome Virginio (poi mutato in Virgilio) ed ivi cresimato il 6 apr. 1603. Studiò localmente e a Civita Castellana ricevette la tonsura clericale il 9 maggio 1614. Il vescovo Ippolito Fabriani lo destinò al servizio in cattedrale. Avendo studiato musica con suo fratello Domenico, fu nominato maestro della cappella musicale istituita dal vescovo nella cattedrale (24 ag. 1622), ma dopo poco più di un anno lasciò la città natale e si stabilì a Roma, dove perfezionò la propria preparazione nel contrappunto e nella composizione, non solo con il fratello ma anche con un compositore di stile severo, forse Paolo Agostini. Già nel 1625, tramite Domenico, pubblicò un mottetto in una antologia curata da Francesco Sammaruco.

Due anni dopo fu nominato maestro di cappella del Gesù e del Seminario Romano, dove rimase fino alla primavera del 1629; nell’incarico si occupò della musica sacra nella chiesa dei Gesuiti, di quella per gli spettacoli del Seminario e dell’insegnamento della musica ai seminaristi. Nel vicino Collegio Romano fu eseguito nel 1628, in occasione della visita del cardinal Francesco Barberini, un suo componimento encomiastico, la cui musica è stata recentemente rinvenuta da Bernhard Schrammek. La protezione di quel porporato, nipote del regnante papa Urbano VIII, fu decisiva nella vita di Mazzocchi. Oltre che maestro di cappella per le feste nella chiesa di S. Antonio dei Portoghesi (1628-1634), fu per pochi mesi a capo della cappella di S. Giovanni in Laterano (giugno – sett. 1629), incarico che lasciò perché chiamato a dirigere la Cappella Giulia nella Basilica Vaticana (8 ott. 1629), succedendo ad Agostini, improvvisamente morto.

Nel prestigioso incarico di maestro di cappella di S. Pietro rimarrà fino alla morte, proseguendo e incrementando la prassi, introdottavi da Agostini, di solenni esecuzioni a più cori nelle maggiori feste della basilica. Ivi dal 1633, quando il cardinal Barberini divenne arciprete della basilica, ebbe ampi mezzi a disposizione. I contemporanei parlarono con ammirazione della magnificenza sonora prodotta da cori di voci e strumenti variamente dislocati nell’immensa navata, con effetti d’eco di un coro «d’eco» posto nella lanterna della cupola. Memorabili rimasero le esecuzioni per la festa di san Pietro nel 1637, 1639 e 1644. Nel contempo, M. ebbe altri incarichi come maestro per le feste del Collegio Inglese (dal 1632), per esecuzioni all’Oratorio del SS. Crocifisso nelle quaresime del 1634 e del 1639, come insegnante degli allievi del seminario di S. Pietro (dal 1637); dal 1635 entrò al diretto servizio del cardinal Barberini, curando le musiche per la sua «accademia» oltre che per le feste e gli spettacoli da lui promossi (nel palazzo della Cancelleria, dove dimorava, o nel palazzo Rusticucci in Borgo).

Di questa intensa attività compositiva purtroppo molto è perduto, in particolare in campo teatrale: restano infatti le sole partiture del San Bonifatio, «dramma musicale» rappresentato alla Cancelleria nel feb. 1638 da una compagnia di ragazzi, allievi di M. (tra essi Giovanni Andrea Angelini Bontempi, futuro virtuoso di canto e compositore), della «comedia musicale» Chi soffre speri (nella versione del 1639 rappresentata nel Teatro Barberini con aggiunte di Marco Marazzoli, mentre quella originale del feb. 1637 è perduta), dell’«attione in musica» S. Eustachio, rappresentata come intermedi al dramma latino Susanna nel feb. 1643 a palazzo Rusticucci; perduta (salvo tre arie) è l’«opera musicale» L’innocenza difesa, detta anche La Genoinda (Cancelleria, 29 gen. 1641), quasi tutti perduti sono gli oratori, perdute sono le musiche per le odi latine eseguite in cerimonie di laurea al Collegio Romano (una a sei cori con quantità di strumenti è ricordata da Della Valle), nonché quelle per le Troades di Seneca (palazzo Rusticucci, carn. 1640, prologo e intermedi su testo di Giulio Rospigliosi), con i cori e i soliloquia dell’antica tragedia composti nel rispetto della metrica classica.

Della cerchia del cardinal Barberini era figura di spicco il dotto teorico e umanista Giovanni Battista Doni; seguendone la proposta di riprendere i generi e i modi dell’antica musica greca, M. divenne esperto esecutore di uno strumento appositamente costruito, il cembalo «triarmonico», con il quale prese parte ad esecuzioni di «musica erudita», usandolo anche nelle Troades e nell’oratorio Esther di Pietro della Valle, da lui diretto nella sala dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso (2 apr. 1642). Nelle riunioni «accademiche» presso il cardinal Barberini si usava un complesso di strumenti ad arco («viole»), pure volto all’uso della varietà melodica e intervallare della «musica erudita». La frequente adozione del genere cromatico e quella più rara del genere enarmonico furono da M. portate anche nel proprio insegnamento agli allievi di canto e di contrappunto; uno di loro, il citato virtuoso di canto e compositore Giovanni Andrea Angelini Bontempi, scrisse sessant’anni dopo che M. insegnava a praticare i microintervalli del genere enarmonico con «una brevissima salita e discesa di voce», riservata ai cantori più intelligenti e più capaci.

Fino al 1640 M., pur avendo molto composto, non curò di stampare le proprie opere, tutto assorbito in una intensa attività, specialmente come didatta. Una simile dedizione all’insegnamento, praticata per decenni, ebbe riflessi sulla produzione compositiva di M., nella quale alcuni brani sparsi e un’intera raccolta (i Sacri flores del 1640) mostrano chiare finalità didattiche. La caduta in disgrazia dei Barberini dopo la morte di Urbano VIII portò alla fuga in Francia del cardinal Francesco (gen. 1646); ma la fine del rapporto con il suo patrono non portò a una nuova fase per M.: recatosi con i suoi allievi a Civita Castellana nel settembre dello stesso 1646 per celebrarvi in musica la festa dei santi patroni, cadde gravemente malato e morì due settimane dopo. Fu sepolto nella cattedrale, con busto, stemma e bella iscrizione commemorativa fattavi porre dal fratello Domenico, suo erede universale. Questo monumento, all’epoca all’interno della cattedrale, fu poi posto nel portico della stessa, dov’è tuttora. Domenico curò alcune notevoli composizioni di M. pubblicandole nel 1648 (Psalmi vespertini), mentre il beneficiato di S. Pietro Quirino Mozzani fece stampare le più semplici Piae meditationes, nate per una pratica devota sulla Passione che veniva cantata dagli allievi del seminario di S. Pietro.

La massa delle opere sacre di M. restò inedita, come pure le sue opere teatrali e oratoriali. Il suo successore come maestro della basilica, Orazio Benevoli, ne proseguì lo stile policorale. La sua figura è così ricordata dal Pitoni: «fu di costumi amabili, piccolo di statura e pieno di corpo».

Nel complesso, il giudizio di Pitoni appare ancor oggi puntuale e calibrato: «fu insigne compositore di armonie ecclesiastiche

[…] introdusse nelle chiese uno stile assai più vago del tempo passato e molto dilettevole di grosso e di concerto». Tanto più questo spirito, che verosimilmente allettava i tanti allievi, si manifesta nella musica profana con freschi e giocosi tratti di brevi imitazioni nei componimenti madrigalistici, con dolci e garbati andamenti nelle ariette teatrali, con spiritosi balli; di questi il più noto, l’intermedio Il gioco della civetta, sarà ripreso in omonimi giochi coreografici dal fratello Domenico e dall’allievo Bontempi.

Composizioni. Manoscritte restano molte composizioni sacre (messe, salmi, litanie, inni, antifone, mottetti) a 2-20 voci e basso continuo in biblioteche di Roma (Vaticana, Casanatense, Santa Cecilia, Archivio di S. Giovanni), Trento (fondo Feininger nella Bibl. del Castello del Buon Consiglio) e Bologna (Civico Museo Bibliografico Musicale); alcune composizioni profane da camera sono conservate a Bologna (ivi), Modena (Estense), Roma (Vaticana, Casanatense, Archivio dei Filippini), Cambridge (Mass., Harvard University); due capricci a due voci strumentali nella Bibl. Corsiniana di Roma. La cantata Chi mi raddoppia il giorno, eseguita nel 1628 per il cardinal Barberini, è conservata nella Bibl. Vaticana. Dei lavori teatrali di M. tutte le musiche, salvo le citate eccezioni, sono perdute.  Perduti sono pure gli oratori italiani e le composizioni sacre.

BIBL. – Schrammek 2001 (lavoro di riferimento, cui si rinvia per le fonti, per il catalogo analitico delle opere e per altra bibl.). Inoltre: Pitoni, p. 275; Solerti 1908, p. 172; Cardinali 1926; Casimiri 1938, p. 58; Alaleona 1945, p. 410; Hammond 1994, ad indicem; Wolfgang Witzenmann in New Grove, 12, pp. 195-197; Botti Caselli 2002, p. 9; Schrammek 2004; Bernhard Schrammek in MGG, 11, coll. 1428-1432; Franchi 2005, pp. 68-70, 73-74; Franchi 2006, pp. 505, 650, 682, 784, 814, 822-824, 839, 845, 847, 849, 874, 878, 879, 895, 899, 900, 910-914, 924; Franchi 2007°, pp. 295-296, 305, 312; Franchi-Sartori 2007, pp. 218, 219, 260, 23; Wizenmann 2008, ad indicem; Saverio Franchi in DBI, 72, pp. 628-632.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]