Menicucci (Minicucci) Angelo, o.c. (al secolo Rocco Francesco) – Religioso (Canepina, 16 ago. 1562 – ivi, 26 mar. 1630).
I genitori Muzio e Lorenza Fucci erano entrambi nativi di Canepina, ma di origine viterbese; Muzio discendeva dai Minicucci di Viterbo, Lorenza, da parte di madre, era imparentata con i Cocchi, famiglia viterbese molto antica e nobile. Muzio lavorava i cerchi di legno utilizzati per la costruzione delle botti, la moglie si distingueva per la sua religiosità; ebbero quattro figli, due maschi e due femmine. Secondo alcune fonti la madre ebbe le doglie durante la messa in onore di san Rocco, e per questo impose al primogenito il nome di Rocco Francesco.
Nel 1575 Muzio fu eletto «Signore» di san Nicola, e tutte le spese della festa patronale furono a suo carico; nello stesso anno, durante il giubileo, iniziò il suo avvicinamento alla vita religiosa. Fu indirizzato verso la religione carmelitana dal padre Angelo Pinzieri, piacentino di nascita, che in quell’anno predicava a Canepina, e da un religioso carmelitano che era stato ospite di una zia materna, Olimpia Sarcola. I Carmelitani in quel periodo si stavano adoperando per aprire un monastero dell’Ordine a Canepina.
Nel 1578 Rocco Francesco venne ordinato frate carmelitano con il nome di Angelo e inviato nel monastero di Orvieto; ritornato a Canepina nel 1579, in quell’anno accompagnò alcuni padri dell’Ordine in Romagna, a Cesena e Rimini. Tornato nel luogo natale trovò la famiglia in una grave crisi finanziaria, per colpa di uno zio materno, Biello Fucci. Negli anni successivi compì alcuni viaggi tra i monasteri di Canepina e Ronciglione. Dopo la morte del padre gli fu permesso dal Capitolo provinciale di assistere la propria famiglia. Il 23 dic. 1584, per iniziativa dei suoi superiori padre Timoteo Bernardi e padre Raffaello Anitrini, gli venne concesso il sacerdozio; celebrò la prima messa il 20 gen. 1585, alla presenza di alcuni familiari e amici. Laureatosi in teologia presso l’Università di Firenze il 12 set. 1592, il 3 luglio 1593 ricevette la carica di priore di Canepina e iniziò i lavori di ristrutturazione della chiesa. Durante il suo incarico predicò anche a Veiano e all’Isola del Giglio, su invito del cardinal Aldobrandini.
Nel 1593 istituì la Compagnia della Madonna del Carmine a Canepina. Eletto priore di S. Martino ai Monti a Roma nel 1595, entrò in stretto contatto con Caterina de Nobili, contessa di Santa Fiora molto vicina al papa Leone XI, nipote di Giulio III, che era sorella del Cardinal de Nobili, moglie del conte Sforza capitano generale di Pio V e madre del cardinal Francesco Sforza e di Costanza duchessa di Sora. Strinse inoltre un profondo legame spirituale con Pulcheria Cesis, sorella del cardinal Savelli, e con Costanza Sforza, figlia di Caterina. Da tali nobildonne ricevette un valido sostegno economico per le sue opere.
Il 16 luglio 1595 fondò la Compagnia del Carmine anche a S. Martino ai Monti; primo priore degli uomini fu eletto il marito della Cesis, prima priora delle donne fu nominata Caterina de Nobili; tra i partecipanti si annoverava anche Francesca Salviati Medici, parente di Leone X e madre del futuro Leone XI. Nel dic. 1595 si recò a predicare ad Arpino, territorio compreso nel ducato di Sora, appartenente al marito di Sofia de Nobili. Nominato primo consigliere provinciale della Provincia Romana carmelitana e uditore delle cause civili e penali dell’Ordine nel 1597, due anni più tardi venne eletto per la seconda volta priore a S. Martino ai Monti, carica che ricoprì fino al 1605.
Iniziò a progettare la costruzione di un noviziato carmelitano a Canepina, vicino alla chiesa della Madonna del Fossanello. Nonostante l’opposizione del vescovo, monsignor Andrea Longo, i lavori vennero intrapresi grazie al finanziamento di Caterina de Nobili. Nel maggio 1606 il padre provinciale carmelitano lo nominò priore di Canepina e lo incaricò ufficialmente dell’edificazione di un seminario per la Provincia Romana dell’Ordine. Nel 1606, inviato a Tivoli, restaurò la chiesa di S. Benedetto e vi fondò la Compagnia della Madonna del Carmine. Ritornato a Canepina nel maggio 1608, nel 1610 si recò a Soriano del Cimino per fondare una comunità carmelitana nella chiesa della Madonna del Poggio.
Nel 1611 fu nominato definitore provinciale e si impegnò per risolvere le controversie sorte nei conventi di Sulmona, Celle, Sgurgola e Tivoli. Designato provinciale dell’Irlanda nel 1613 e ricevuto il titolo di Compagno del Generale, il 1° giugno 1614 divenne maestro provinciale della Provincia Romana, il 16 apr. 1617 fu primo definitore provinciale e nel 1620 gli fu conferito il titolo di provinciale della Boemia e di priore di Canepina, dove con l’aiuto economico di Porzia Vinchioni restaurò il convento locale. Nel 1623, per la quarta volta, fu nominato priore di S. Martino ai Monti e primo definitore provinciale. Nel 1625 partecipò per l’ultima volta a un Capitolo generale dell’Ordine. Ammalatosi, il padre generale gli inviò la patente di commissario generale del convento carmelitano di Canepina. La morte del padre provinciale (1626) lo portò alla nomina di governatore della Provincia e lo obbligò al trasferimento a Roma. Nel mese di novembre in compagnia del generale e del procuratore dell’Ordine effettuò la visita di alcuni conventi della Provincia Romana (Farfa, Viterbo, Montefiascone, Orvieto), e l’anno successivo si recò a Camerino, Macerata, Foligno, Celle, Sulmona, Aquila, Terracina, Priverno, Velletri e Albano. Nel 1627 convocò il Capitolo provinciale, dove con il suo appoggio fu eletto padre provinciale Giovanni Battista Boni.
Il 10 ott. 1627 venne consacrata la chiesa da lui costruita a Canepina, dove dopo la sua morte fu seppellito. Fu autore di un’opera sul religioso francescano spagnolo Pietro di Alcantara, al secolo Giovanni di Sanabria, beatificato il 18 apr. 1624 e canonizzato il 28 apr. 1669 (Trattato dell’oratione, et meditatione, composto per il reverendo padre f. Pietro de Alcantara, Roma, nella stamperia della Rev. Camera Apostolica, 1637).
Bibl. – Santini 1970; Smet 1990, II; Antonio Blasucci, Pietro di Alcantara, in Bibliotheca Sanctorum, X, coll. 652-661.
[Scheda di Barbara Scanziani – Ibimus]