Ruscelli, Girolamo – Poligrafo (Viterbo, ca. 1518 – Venezia, 10 mag. 1566).
Proveniente da una famiglia di “spadari” che dal 1479 figurava tra le famiglie patrizie di Viterbo, si trasferì in giovane età ad Aquileia presso la corte del cardinal Marino Grimani, dove fu educato agli studi classici e alla letteratura antica. Assecondando tali interessi fu in seguito a Padova, dove frequentò l’ateneo, e quindi a Roma; qui, influenzato dalle tendenze dei circoli aristocratici e partecipe del fertile clima intellettuale dell’epoca, fondò nel 1541 l’Accademia dello Sdegno.
Trasferitosi a Napoli presso la corte di Alfonso d’Avalos, vi ricopri l’incarico di segretario e poeta di corte fino al decesso di questi, avvenuto nel 1546. Nel 1549 il R. si trasferì a Venezia, attirato nella città dalla fiorente industria tipografica e dal nascente mercato editoriale che la sostanziava, e vi trovò impiego presso l’editore Enrico Valgrisi. A Venezia resterà fino alla morte e qui sposò Virginia Panarelli. Sorella di Teofilo finito al rogo a Roma come eretico. Intellettuale eclettico ed estremamente prolifico, fu curatore con Lodovico Dolce e Lodovico Domenichi di un’importante raccolta di Rime diverse di molti eccellenti autori, in nove libri (Vinetia, appresso Gabriel Giolito di Ferrarii, 1545-1560) e autore del trattato Del modo di comporre in versi nella lingua italiana (Venetia, appresso Gio. Battista, & Melchior Sessa fratelli, 1559), integrato da un rimario che ebbe vasta e durevole fama; esso venne accresciuto e migliorato da fra Tommaso Stigliani e da Pompeo Colonna principe di Gallicano, e ripubblicato dal primo nell’Arte del verso italiano (Roma, per Angelo Bernabò dal Verme, 1658).
Il R. affiancò allo studio dei classici la passione per i cosiddetti «libri di secreti», manuali pratici contenenti suggerimenti quotidiani di medicina empirica, cucina, alchimia, spezieria e farmacologia, che nel quadro editoriale dell’epoca si collocavano tra testi colti e tradizione popolare, ben rispondendo alle crescenti esigenze di divulgazione e democratizzazione del sapere che stavano facendo la fortuna dei libri a stampa. La raccolta De’ secreti del reverendo donno Alessio Piemontese libro primo, la cui prima edizione risale al 1555 e che per la scelta di essere pubblicata sotto uno pseudonimo segnala la volontà dell’autore di collocarla ai margini della sua produzione, fu invece tra le sue opere più felici, e uno tra i più diffusi trattati di secretistica del periodo tra i secc. XVI-XVII. Essa venne ristampata con aggiunte e integrazioni, e nei vent’anni successivi conobbe circa sessanta edizioni, anche in latino, tedesco, inglese e francese, fino all’ultima nota, stampata a Venezia presso Francesco Locatelli nel 1783. Solo nell’edizione voluta dal nipote di R., che era in possesso del manoscritto originale, e apparsa postuma con il titolo Secreti nuovi di maravigliosa virtù (Venetia, appresso li heredi di m. Marchio Sessa, 1567), si rivela il vero nome dell’autore. Nell’importante prefazione il R. stesso fornisce una notizia di particolare interesse: egli informa dell’esistenza di un’accademia segreta, di cui non vi sono riscontri in altre fonti, che avrebbe operato per circa un decennio a partire dai primi anni Quaranta del sec. XVI nel Regno di Napoli, probabilmente a Salerno, sotto la protezione di Ferrante Sanseverino, proponendosi di sottoporre a verifica il maggior numero di «segreti» per verificarne l’efficacia.
Parallelamente e negli stessi anni, l’attività del R. nell’editoria colta e nel dibattito intellettuale proseguiva immutata. Intervenendo più volte nei dibattiti apertisi in risposta alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, criticò in numerose circostanze alcuni usi linguistici danteschi, attribuendo alla sua «immensa trascuraggine» l’abuso, a suo dire ricorrente presso i rimatori coevi, di artifici stilistici quali lo iato e la dieresi e condannando numerose scelte lessicali dell’autore della Divina Commedia. Curatore e commentatore dei principali autori classici (Tre discorsi a m. Lodovico Dolce. L’uno intorno al Decamerone del Boccaccio, l’altro all’Osservationi della lingua volgare, et il terzo alla tradottione dell’Ovidio, Venezia, Plinio Pietrasanta, 1553), di un’edizione del Decameron (Venetia, appresso Vicenzo Valgrisio, alla bottega d’Erasmo, 1552) e di un’edizione dell’Orlando Furioso (Venezia, Giovanni Battista e Melchior Sessa, 1558), tra le altre opere che maggiormente contribuirono alla sua fama va annoverata la volgarizzazione della Geografia di Tolomeo (Venetia, appresso Vincenzo Valgrisi, 1561).
Della sua vastissima produzione, di cui per ragioni di spazio non si fornisce qui un elenco esaustivo, meritano inoltre di essere citate le opere: Le imprese illustri con espositioni, et discorsi (Venetia, appresso Francesco Rampazzetto, 1566), in tre volumi, successivamente integrati da Vincenzo Ruscelli, nipote dell’autore e, stando al Moroni, buon letterato anch’egli, con il volume Il quarto libro delle imprese illustri con figure di stampe di rame (Venetia, s.n., 1583); De’ comentarii della lingua italiana (Venetia, appresso Damian Zenaro, alla Salamandra, 1581); Vocabolario delle voci latine dichiarate con l’italiane scelte da’ migliori scrittori (Venetia, appresso gli heredi di Valerio Bonelli, 1588).
BIBL. – Fontanini 1803-04, ad indicem; Marocco, XIV, pp. 32-33; Melzi, II, pp. 203, 233, 481; Moroni, CI, p. 213; Borghini 1898; Maylender, I, p. 311; Mario Pelaez in Enc. Italiana, XXX, p. 258; Eamon 1994, p. 9; Gizzi 2003, pp. 101-112; Procaccioli 2004, pp. 269-283; Autografi dei letterati italiani, I, Roma 2009, pp. 309-317; DBI, voce “Ruscelli Girolamo” di P. Procaccioli, vol. 89, pp. 282-286.
[Scheda di Marina Bucchi – Ibimus; integrazione di Luciano Osbat – Cersal]