Simone da Tarquinia, o.f.m. – Religioso, inquisitore (Tarquinia, sec. XIII)

Inquisitore di Roma e della Provincia Romana dal 1300 sino al 1332, è attestato per la prima volta con tale carica in un atto del 4 maggio 1300, in cui egli affidò al giudice Angelus Petri Mathei de Urbe un processo circa i diritti di proprietà del castrum Stirpe Cappe venduto da Stefano Colonna (ASR, Pergamene dell’Ospedale di S. Spirito in Saxia collezione B, cass. 60, perg. 51). Erronea è dunque l’ipotesi di Conrad Eubel (Bullarium franciscanum, V, p. 15, n. 9) che identifica il frate con fra Simone di Filippo da Spoleto, dal momento che quest’ultimo fu eletto inquisitore solo il 1° giugno 1333. Tra il 1300 e il 1302 fu impegnato in un’inchiesta per eresia nei confronti dell’abate di S. Paolo fuori le mura di Roma. Nel 1301 vendette per 1000 fiorini al procuratore di Pietro Caetani i beni vistosissimi, situati dentro e fuori Roma, appartenenti a Federigozzo di Giacomo Frederici, colpevole di essere stato partigiano dei Colonna. Il 1° marzo 1304 venne invitato da Benedetto XI a riprendere in esame i processi celebrati dai suoi predecessori, Angelo da Rieti e Angelo da Collevecchio, al fine di reintegrare nei loro uffici, benefici e averi i laici e i chierici che fossero stati condannati iniquamente. Vi erano infatti stati dei ricorsi da parte di persone che si ritenevano vittime di sentenze «ingiuste» o «eccessivamente dure» (Benedetto XI, Et si contra haereticos, marzo 1304, in Bullarium franciscanum, V, Romae 1898, p. 15) e già in precedenza vi erano stati casi di annullamento di alcune sentenze emesse da questi due inquisitori sabini per il loro comportamento senza troppi scrupoli. Il 21 gen. 1304 venne affidato a S. un nuovo incarico con lettera del camerario Giovanni a nome di Benedetto XI, affinché indagasse insieme a Consiglio, religioso domenicano esponente della potente famiglia viterbese dei Gatti, su un procedimento giudiziario per eresia a carico di 500 Viterbesi, istituito da fra Angelo da Rieti sulla base di sole voci accreditate da falsi testimoni (D’Alatri 1986, pp. 323-325). Questi incarichi rivelano lo stato di salute dell’istituto inquisitoriale all’inizio del Trecento, mettendo in evidenza la facilità con cui gli inquisitori commettevano abusi di potere ed estendevano la competenza del Tribunale della fede a questioni che andavano ben oltre la fede. S. ricoprì il suo ufficio per un periodo assai lungo rispetto alla legislazione interna dell’Ordine francescano, cosa che dovette destare dei reclami, come sottintende una lettera di Giovanni XXII, ove il frate venne rassicurato che nessuno avrebbe potuto rimuoverlo da tale carica, esercitata «solerter, prudenter ac fideliter», senza il consenso pontificio. Nonostante l’interessamento del papa, l’8 maggio 1332 il ministro generale Geraldo Oddone aveva rimosso il frate dall’ufficio (Bullarium franciscanum, V, pp. 509, 526).

BIBL. – Bullarium franciscanum, V, pp. 15, 509, 526; Caetani 1922-32, I, pp. 110-111, 221-222; Mariano d’Alatri 1953, pp. 123, 161; Mariano d’Alatri 1986, pp. 313-314, n. 8; Vendittelli 1989, p. 268, n. 268; Coste 1995, p. 521; Boespflug 2005, pp. 412-413, n. 1055.

[Scheda di Silvia Panti – Srsp]