Egidio da Viterbo, o.e.s.a. (al secolo Egidio An­tonini) – Cardinale, teologo (Viterbo est./aut. 1469 – Roma 11/12 nov. 1532).

Figlio di Lorenzo Anto­nini, originario di Viterbo, e di Maria Del Testa, di Canino, entrambi non abbienti, ebbe due sorelle: Pacifica, sposata con Pietro Paolo De Ciuffoli di Canino, e Porzia, moglie di Domenico Busini. Nel giugno 1488 entrò nell’Ordine agostiniano, colpito dall’arte oratoria di Mariano da Genazzano, autore di alcuni sermoni a Viterbo. Insegnò filosofia ad Amelia nel locale convento dell’Ordine. Nell’au­tunno 1490 si recò a Padova per motivi di studio, e qui maturò la sua posizione negativa nei confronti della filosofia aristotelica. Nel sett. 1493 furono pubblicate le Questiones de materia coeli e De intellectu possibili contro Averroim e poi i Commen­tario in vili libros Physicorum Aristotelis. Insegnò filosofia a Capodistria, nel 1496 si laureò in teolo­gia a Roma e fu designato maestro nel convento di S. Spirito a Firenze. Nel 1497 fu a Roma, nel 1498 accompagnò Mariano da Genazzano nella visita dei conventi della Provincia. Rimase a Napoli fino al 1451, dove fu membro dell’Accademia Pontoniana. Scrisse alcuni componimenti poetici, tra cui al­cuni dedicati a Vittoria Colonna. Nel giugno 1501 si ritirò vicino a Siena, nel convento di S. Salvato­re della Congregazione degli Osservanti di Lecceto, dove erano presenti fermenti riformistici nel­l’ambito dell’Ordine Agostiniano. In seguito si recò nel convento degli Osservanti di S. Giovanni in Carbonara e poi nell’Isola Martana e nei boschi del monte Cimino. Entusiasta del centro di Lecceto, compose due opere, De Ilicetana familia e Panegyricus pro coenobio Ilicetano, che lo lodavano ampiamente. Fu un abile predicatore nell’Italia set­tentrionale e centrale (Viterbo, Orvieto, Bagnore­gio, Toscana, Bologna), molto apprezzato per la sua eloquenza. Nel giugno 1506 accettò la direzione dell’Ordine di appartenenza in attesa del capitolo e in qualità di vicario apostolico, con nomina del 27 ag. 1506, accompagnò il papa Giulio II in varie mis­sioni. Nella primavera del 1507 il capitolo genera­le degli Agostiniani, svoltosi a Napoli, lo elesse per acclamazione priore generale; la cerimonia di in­vestitura si ebbe il 23 maggio; fu rieletto nel 1511 e nel 1515. Cercò di riformare l’Ordine, ristampò la regola agostiniana, emanò alcune severe prescri­zioni in campo liturgico e disciplinare, ordinò una serie di rigidi controlli dei conventi, richiamò tutti i membri all’obbedienza. Continuò inoltre i suoi studi:  il  21  dic.  1506  pronunciò  un’orazione  nella  basilica  di  S.  Pietro  a Roma, pubblicata nel libello De aurea aetate, e scrisse anche un’opera di carat­tere generale di carattere storico-religioso, Historia vigenti saeculorum, conservata in quattro codici, dove la storia dell’umanità viene divisa in venti epoche, dieci prima dell’avvento di Cristo e dieci dopo. La sua opera più ambiziosa, di carattere teo­logico e filosofico, Sententiae ad mentem Platonis, rimase incompiuta. Ebbe come allievo Girolamo Seripando, teologo del Concilio di Trento, agosti­niano e cardinale; ricopri la carica di priore al tem­po di Lutero, che conobbe. Il 1° luglio 1517 fu no­minato cardinale e rinunciò alla carica di generale dell’Ordine. Nel nov. 1523 fu nominato da Cle­mente vii vescovo di Viterbo-Tuscania. E. non brilla per la sua attiva presenza negli affari viterbesi: in tutte le riunioni del Consiglio generale di Viterbo tra il 1523 e il 1526 il suo nome viene fatto una volta sola quando, nel conflitto che opponeva Viterbesi e Canepinesi per i pascoli, il Consiglio gli propone di cedere la Tenuta della Palanzana, di proprietà della Mensa vescovile, in modo che il Comune possa guardare meglio il confine con Canepina.

Sembra più presente a Roma, per dare inascoltati consigli al Papa, che a Viterbo in mezzo alle questioni che erano suscitate di continuo dal Capitolo della Cattedrale, da quelli delle chiese collegiate, dall’Associazione del Clero.

II lavoro di ricerca che G. Signorelli ha fatto intorno alla figura dell’Antonini, quando arriva al periodo del suo episcopato a Viterbo, esprime queste valutazioni complessive: i suoi impegni a Roma non gli impedirono di occuparsi “con la massima diligenza” del governo della chiesa viterbese. E’ riprova di questa impegno la sua azione “per il ristabilimento della disciplina del clero viterbese”, le sue disposizioni perché i beneficiati “avessero continua residenza” nel luogo del beneficio, i suoi interventi per il restauro delle chiese fatiscenti, i suoi ordini per un’adeguata attenzione alla conservazione e alla venerazione delle reliquie nelle chiese, il suo impegno per la pacificazione dei cittadini, infine i suoi interventi per alleviare le condizioni di vita dei cittadini tartassati dalle imposizioni fiscali e dalle minacce che derivavano dai contrasti con i comuni vicini.  Le sue fonti sono i registri delle “Riforme” dell’Archivio storico comunale, i protocolli notarili di una decina di notai che rogano atti in quegli anni, gli storici e i cronisti viterbesi. Si tratta in alcuni casi di documentazione d’archivio che oggi è difficile ritrovare (per i cambi di segnatura) o in parte perduta per le vicende della guerra e per i trasferimenti subiti da quelle carte. E certo però che sulla base della documentazione superstite è difficile  sostenere l’immagine del vescovo sollecito della sua Chiesa quale emerge dalle pagine del Signorelli e che è necessario ripensare e ricostruire meglio il contesto nel quale si era trovato ad operare per capire quale sia stato il suo apporto alla vita della Diocesi e alla vita della Città in quel decennio.

Quando si stanno avvicinando minacciose le truppe imperiali che sanno ormai di non avere ostacoli sulla via di Roma, nel marzo 1527, E. è a Viterbo a presiedere il Capitolo generale dell’Ordine Gerosolomitano che sta decidendo sulla sua futura destinazione. Poi si sposta nelle Marche, a Cingoli, al Governo di quella Città che gli era stata affidata nel 1523. Così che quando l’esercito dei lanzichenecchi è alle porte di Viterbo, nei primi giorni di maggio 1527, in Città non c’era né il Legato (che era a Firenze) né il Vescovo (che era a Cingoli). Da lì fece un tentativo di portare aiuto al Papa ormai assediato ma vi dovette rinunciare. All’inizio di giugno 1527 si era ritirato nell’eremo di Soriano, a luglio era a Venezia dove rimase sino alla fine del 1528. E quando fu di ritorno nuovamente, soggiornò più spesso a Roma che a Viterbo pur cominciando a seguire più da vicino le sorti della Città e della Diocesi di quel che aveva fatto in precedenza. Nel 1529 il Comune si rivolse ad E. per chiedere il suo aiuto nelle numerose vertenze che aveva con il Tesoriere del Patrimonio per i debiti contratti negli anni precedenti e che la Città non riusciva a pagare. Nel 1531 era intervenuto in favore del clero viterbese che era angustiato per le tasse non pagate. In quello stesso 1531 era avvenuta una grave sollevazione a Viterbo che era stata sedata a stento dal Legato Ridolfi. In relazione a questo episodio si diede vita ad una nuova magistratura, quella dei Conservatori della pace che fu attiva dal 10 novembre 1531 e che prese gradualmente il posta dei Gonfalonieri.

A Viterbo fece costruire il chiostro della Trinità nel convento dell’Ordine agostiniano. Conoscitore dell’aramaico e del caldeo, negli ultimi anni si dedicò con passione agli studi ebraici e cabalistici. Morì a Roma, e fu sepolto nella navata centrale della chie­sa di S. Agostino, dove venne posta un’iscrizione, mentre un’altra fu collocata nella chiesa di S. Matteo a via Merulana. E. designò come sua erede la sorella Porzia, che fece costruire la cap­pella dei Ss. Pietro e Paolo nella chiesa della SS. Trinità a Soriano del Cimino e lasciò alcuni ogget­ti alla cattedrale di Viterbo. Lo stemma di Egidio, formato da tre croci, è presente dipinto nel palazzo papale di Vi­terbo con la data 1524 e, nella stessa città, scolpito sulla porta del convento della Trinità (1525) e in corso Italia. Due ritratti sono conservati, nella sala regia del Palazzo dei Priori e nella chiesa della Tri­nità di Viterbo, in cui è presente anche la raffigura­zione della sorella, entrambi oranti (1537).

FONTI e BIBL. – BAV, Vat. lat., 4105, f. 286r (epistola del 18 dic. 1511 al grecista Scipione Carteromaco), 6320 (ms. tra­scritto da Nicholas Scotellius, assistente di E., con tre ser­moni in latino dell’8 ott. 1525 a Tuscania, del 15 e 22 ott. 1525 a Bagnaia), 5808 (grammatica ebraica di E., dedicata al Cardinal Giulio de Medici). – Pennazzi 1723a; Trucchi 1847, III, pp. 124-129; Fiorentino 1885; Quintarelli 1887, p. 75; Bergamino 1903; Scriattoli 1915-20; Signorelli 1929 (con appendice di lettere); Enc. Cattolica, v, coll. 141-143; Mar­tin 1960; Martin 1962, pp. 248-253; Martin 1979, pp. 141­-193; Vismara 1980, pp. 325-343; Egidio da Viterbo 1983; Egidio da Viterbo 1990, i-ii; Reeves 1992; Germana Ernst in DBI, 52, pp. 341-353; Vasoli 2000, pp. 73-109; Savattieri 2001, pp. 161-198; Simoncini 2001, pp. 199-266.

[Scheda di Barbara Scanzani – Ibimus; integrazione di Luciano Osbat – Cersal]