Maidalchini Francesco (Francesco Maria) – Cardinale (Viterbo, 11 apr. 1631 – Roma, 13 giugno 1700).

Figlio minore di Andrea, fu dalla zia donna Olimpia, divenuta principessa di S. Martino al Ci­mino (1645), nominato abate di quella abbazia, ot­tenendo anche un canonicato nella Basilica Vatica­na. Innocenzo X lo aveva già favorito assegnando­gli, insieme a Camillo Pamphili, i beni del disciol­to Ordine degli Ambrosiani (1o apr. 1645), i priorati di S. Clemente e di S. Pancrazio a Roma, tre mo­nasteri nella diocesi di Tivoli e altri nella Marca di Ancona. Due anni dopo Olimpia, per avere un consanguineo nel Sacro Collegio dopo la rinunzia alla porpora di suo figlio Camillo, ottenne per lui la no­mina a cardinale (7 ott. 1647), con scandalo di mol­ti per la sua giovane età e l’aspetto insignificante che lo faceva apparire ancor più ragazzo.

Gli fu at­tribuito il titolo di S. Adriano (16 dic. 1647), che in seguito cambierà con quello di S. Pancrazio (5 maggio 1653, attribuitogli come diaconia), di S. Maria in Portico (23 marzo 1654), di S. Maria in Via Lata (11 ott. 1666), di S. Maria in Via (19 ott. 1689), di S. Prassede (23 luglio 1691). Fu anche governatore di Capranica dal 1647 al 1657, realiz­zandovi qualche opera di pubblica utilità. Ma in so­stanza le aspettative di donna Olimpia sul nipote andarono deluse: già deriso alla nomina a cardina­le per la sua bruttezza e stupidità, Francesco fu messo da parte anche dalla zia per l’evidente incapacità a giocare un ruolo di potere nella corte pon­tificia. Questo trattamento, che gli parve ingiusto e crudele, lo mise in sospetto contro la zia, alla qua­le professava devozione più per timore che per con­venzione. Volendo tenere un tenore di vita chiara­mente mondano (fu ordinato prete solo nel 1689), mise in vendita dieci conventi del soppresso Ordi­ne ambrosiano, ottenendo 11.000 scudi da Marcan­tonio Bottoni, generale del Terz’Ordine di S. Fran­cesco. Cosi nel successivo carnevale 1649 poté mo­strarsi per il corso in grande apparato.

Nelle ceri­monie del susseguente anno giubilare ottenne tra­mite la zia di aprire la porta santa di S. Maria Mag­giore in luogo del cardinal arciprete assente (24 dic. 1649), dando da dire a molti per non essere prete, anzi litigando con i canonici per essersi imposses­sato di una cassetta con medaglie ivi murata e cor­rendo il rischio di morire schiacciato dalla folla. Queste velleità da «cardinal nipote» furono definitivamente mortificate dall’assunzione di Camillo Astalli in quel ruolo (1650), ma la sua delusione a nulla valse perché «da tutti riputato inhabile, per esser molto ignorante, et incapace del governo, et delli negotii gravi» (Gigli). Donna Olimpia, che al­l’inizio lo aveva tenuto in casa propria, gli assegnò poi il palazzo già Cornaro presso la fontana di Tre­vi da lei acquistato; ma vide il nipote rivoltarlesi contro e offrire la sua amicizia al cardinal Astalli caduto in disgrazia.

Nel conclave del 1655 M. fu apertamente contrario a Olimpia e perciò deriso da­gli altri cardinali che lo sapevano disprezzato dall’odiata zia. Olimpia si espresse in modo lapidario: «voce d’asino non giunge in cielo». Nello stesso modo egli oscillò nelle posizioni politiche, dappri­ma favorevoli agli spagnoli e ai fiorentini, che se­condo donna Olimpia lo avevano corrotto, poi, almeno dal 1663 aperto fautore della Francia, rice­vendone un regolare stipendio. La svolta, avviata alla fine del 1659 e stimolata dalla pace dei Pire­nei, lo portò a sostenere apertamente l’annessione francese di Avignone (estate 1663); nel trattato di Pisa dell’anno successivo Luigi XIV ottenne per lui amnistia e assoluzione dallo sdegnato Alessandro VII. Rimase palesemente francofilo nei successivi conclavi e nei frequenti contatti con gli ambascia­tori francesi, che incontrava anche ai balli e ai fe­stini cui interveniva. Innocenzo XI gli rivolse una dura ammonizione perché conducesse una vita più spirituale (1677); non si trattava di una reprimenda eccessiva da parte del severo pontefice: M. era ap­parso sul Corso mascherato da Pulcinella, rivolgendo «alcune belle botte» a una ragazza. Nono­stante i moniti continuò a trattar donne, a frequen­tare teatri e a offrire ricevimenti. La sua passione per la musica era sincera e fu, accanto ai maggiori mecenati musicali del tempo, una figura non tra­scurabile come committente di oratori nel suo pa­lazzo. Teneva al suo servizio numerosi musici e dal 1689 fu protettore dei cantori della Cappella Ponti­ficia. Ebbe al suo servizio due poeti di buona rino­manza: Giovanni Pietro Monesio come segretario, Carlo Sigismondo Capeci come uditore. A Viterbo ebbe il palazzo di fronte al collegio dei Gesuiti, vendutogli nel 1657 dalla famiglia Mancini. Morì al ritorno da un viaggio a Nettuno e fu sepolto a Vi­terbo in S. Maria in Gradi con iscrizione comme­morativa posta nel 1730 dal nipote Andrea. Accan­to ai suoi limiti di spirito, di cultura e di intelligen­za politica dimostrò peraltro un carattere schietto e un animo generoso (Ciampi).

BIBL. e FONTI – AC, 30 Notai di Campidoglio, not. Simon De Comitibus, sez. 8, testam. dell’8.6.1700. ASV, Segreteria di Stato, Avvisi, 39, c. 60, ad diem 25.2.1667. Adami 1711, p. XLIII; Marocco, XIV, p. 55; Ciampi 1878a, pp. 133-135, 169, 182; Pastor XIV/1, pp. 32, 37, 138,311,389-390, 397, 543, 629, XIV/2, p. 4, 259, 263, 295, 302, 388; HC, IV, pp. 29, 47, 53, 54; Clementi 1938-39, I, pp. 507, 573-74, 594, 603-­604; Gigli 1958, pp. 305, 345, 374, 456; Ciliberti 1986, pp. 171, 216, 236; Staffieri 1990, pp. 90, 92, 103, 106, 110; Crielesi 1995a, pp. 64, 67-69; Tamburini 1997, p. 94, 109, 113, 115; Angeli 2003, p. 294; Miranda 2008, ad nomen.

[Scheda di Saverio Franchi -Ibimus]