Marescotti Galeazzo – Cardinale (Vignanello, 1° ott. 1627 – Roma, 3 lug. 1726).

Figlio di Sfor­za Vicino e di Vittoria Ruspoli, pur essendo il pri­mogenito fu avviato alla carriera ecclesiastica. Lau­reato in diritto civile e canonico, fu subito fatto protonotario apostolico (13 marzo 1650) e poco dopo ebbe il primo incarico come prelato (Referendario di Segnatura). Aveva intanto ricevuti gli ordini mi­nori (6 luglio 1653). Fu inviato ad Ascoli Piceno come governatore nel 1661-1662; poi a Malta come inquisitore (1664-1666), ufficio esercitato con lode, per cui ottenne la nomina ad assessore della Con­gregazione del S. Uffizio (26 maggio 1666). Fin dal 29 sett. 1662 era stato ordinato sacerdote.

Ritenuto idoneo a incarichi diplomatici, fu prima rivestito della dignità episcopale con la nomina ad arcive­scovo di Corinto in partibus (27 feb. 1668, con­sacrato il 4 marzo dal cardinal Pietro Vidoni nella chiesa romana dei SS. Domenico e Sisto) e assistente al soglio pontificio, quindi fu inviato come nunzio apostolico alla corte polacca (17 maggio 1668). Mentre si trovava in Polonia ebbe anche l’incarico di nunzio straordinario all’imperatore Leopoldo I per recare le «fasce» benedette al neo­nato figlio Giuseppe. L’incarico in Polonia durò fino al giugno 1670, ma M. si trattenne ancora alla corte imperiale. Intanto da Roma aveva avuto la no­mina di nunzio a Madrid (13 ag. 1670), dove giun­se il successivo 30 settembre, rimanendovi più di cinque anni. Tra gli affari da lui trattati, molto spi­nosa era la questione relativa a conflitti giurisdi­zionali con i funzionari spagnoli a Napoli e a Mila­no, per la quale M. presentò invano al governo spa­gnolo le proposte elaborate da una speciale com­missione cardinalizia (1671-1672). Tuttavia la sua missione risultò alla fine positiva. Si trovava anco­ra alla corte spagnola quando Clemente X lo fece cardinale nel concistoro del 27 maggio 1675.

Nel­la nuova e più autorevole veste, concluse gli affari in corso a Madrid nel successivo ottobre; quindi ri­partì per l’Italia. Giunto a Roma, ricevette dal papa il «cappello» cardinalizio insieme al titolo di S. Bernardo alle Terme e alla nomina a legato di Ferrara (23 marzo 1676). Giunse a Ferrara alla fine di maggio e vi rimase fino all’inizio del 1679, gover­nando poi la città tramite il vicelegato Giuseppe Ferdinando Paulucci (la sua dignità di legato durò fino al maggio 1680).

Intanto era divenuto vescovo di Tivoli (4 sett. 1679); come tale consacrò nel 1683 la cappella rupestre di S. Benedetto nel monastero di S. Cosimato presso Vicovaro. A Tivoli fondò un monastero per le monache di santa Elisabetta. Nel nov. 1685 rinunziò al vescovato, pur rimanendo no­minalmente titolare fino alla fine del 1689. Motivo della rinuncia era il cumulo sempre maggiore di im­pegni religiosi e politici nella corte di Roma, tra cui gli incarichi di camerlengo del Sacro Collegio (marzo 1687 – maggio 1688), prefetto della Con­gregazione del concilio (maggio 1692 – dic. 1695), pro-camerlengo di Santa Romana Chiesa (luglio – nov. 1698). Lasciato il titolo di S. Quirico, datogli nel set. 1681, ebbe quello di S. Prassede (21 giu­gno 1700) e per molti anni a partire dal 1700 fu ma­gna pars nella Congregazione dell’Inquisizione.

Per la forte esperienza accumulata e per una perso­nalità di spicco (era detto «agro, forte e di petto»), fu tra i papabili nel conclave dell’ott. – nov. 1700, sostenuto con forza dagli «zelanti», liberi dai con­dizionamenti esercitati dalle potenze politiche e de­siderosi di un papa che fosse, come M., pio ed in­sieme energico e deciso a rappresentare un polo at­tivo sulla scena europea (fin dal 1676 una inedita Scrittura politica, conservata manoscritta a Vien­na, lo giudicava «un petto di bronzo» per la difesa del papato). Proprio per queste caratteristiche M. risultò poco gradito alla Francia, che desiderava un papa il più debole possibile. I suoi sostenitori chie­sero perciò a M. di rilasciare una dichiarazione che gli conciliasse i voti del partito filoborbonico, ma orgogliosamente il cardinale rispose di essere ve­nuto in conclave per eleggere un papa, e non per diventarlo, ambizione che non aveva mai nutrito. Ciononostante il 13 ottobre era vicino all’elezione, ma fu in tutti i modi ostacolato dal cardinal Bichi. L’odio di quest’ultimo era legato ad affari privati: M. sosteneva il nipote Francesco Maria come ere­de del nome e patrimonio Ruspoli, che Bichi vole­va per la propria famiglia. Bichi, legato alla politi­ca francese, riusci a ottenere da quella potenza un formale veto contro M.

Nei primi anni di governo del nuovo papa Clemente XI, M. non ebbe una po­sizione di rilievo (fu dal 3 feb. 1701 prefetto del­la nuova Congregazione della Grascia e dell’An­nona, dirigendola con severi criteri di indagine am­ministrativa che portarono a liti e contrasti), ma ne­gli anni 1706-1709, cioè nella fase più dura dello scontro con l’imperatore Giuseppe I, assunse un ruolo decisivo per il superamento della crisi. L’essersi lealmente schierato a difesa degli interessi pontifici gli procurò la grande gratitudine di Cle­mente XI e di tutta la Curia; il beneficiario della nuova situazione fu suo nipote Francesco Maria, ri­conosciuto titolare del nome, dei feudi e del patri­monio Ruspoli ed innalzato al grado di principe di Cerveteri (1708). Nello stesso anno ebbe il nuovo titolo cardinalizio di S. Lorenzo in Lucina (30 apr. 1708), basilica da lui beneficata con molti doni e rimasta legata fino ai nostri giorni alla famiglia del nipote Ruspoli. Anche negli anni successivi eserci­tò rilevante influenza politica, fino al termine della Guerra di successione spagnola, moderando gli ec­cessi del governo di Clemente XI.

Dal maggio 1715 rinunziò a tutti i benefici e pensioni, appartandosi in un ritiro in cui visse fin quasi a 100 anni d’età. Non prese parte ai conclavi del 1721 e 1724. Per tutta la vita sostenne la memoria di sua zia Giacinta Marescotti, ricevendo in dedica opere su di lei e riu­scendo ad ottenere l’avvio del processo per la sua beatificazione (1696), il cui esito felice apprese in­fine pochi giorni prima della morte. Deceduto nel palazzo di famiglia in via di Campo Marzio, ebbe solenni funerali al Gesù alla presenza del papa il 5 luglio 1726; ivi fu sepolto nella tomba di famiglia con iscrizione onorifica, rimpianto dai poveri come uomo caritatevole (sosteneva con i propri averi molta povera gente) e dalla Curia come «signore di gran prudenza» (Valesio). Nuovi solenni funerali con apparato e «musica di palazzo» gli furono fat­ti fare il 10 luglio dal nipote principe Ruspoli in S. Lorenzo.

Uomo colto, ebbe gran parte nel riordina­mento dei documenti politici dell’Archivio Segre­to Vaticano (1704). Dal 1721 era protettore dell’Arciconfraternita degli Angeli Custodi, cui ap­partenne fin da giovane. Era anche protettore dei Camerinesi viventi a Roma. Restano suoi ritratti in­cisi da Albert Clouet e da Giovanni Battista Gaulli, nonché un busto di marmo nel palazzo Ruspoli di Roma.

BIBL. – Valesio, ad indices, in particolare I, p. 80, II, p. 27, IV, pp. 337, 593, 668; Moroni, XLII, pp. 291-292; Forcella, X, p. 486; Pastor, XIV/1, XIV/2, xv, ad indices; Bittner – Gross 1936, pp. 381, 384, 387; HC, V, pp. 9, 173, 380; Del Re 1964, pp. 122-123; Weber 1994, pp. 124, 253, 760-761; Crielesi 1995a, p. 125; Franchi 2004, pp. 282, 288; Miranda 2008, ad nomen.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus]