Tronsarelli Ottavio – Letterato (Gallese, ca. 1586 – Roma, 1646)

La famiglia T., d’origine fran­cese, fu nei secc. XVI e XVII tra le principali di Gal­lese; ebbe casa anche a Roma, in piazza S. Panta­leo. Figlio del magnifìcus dominus Antonio (m. 1601), importante collezionista di disegni e inci­sioni, e di Chiara Diaz Radice, T. studiò al Semi­nario Romano, si laureò in utroque iure ed esercitò la professione legale. Fin da adolescente coltivò le lettere; nel Seminario Romano fu Accademico Partenio, poi appartenne alle accademie degli Umori­sti (ca. 1613), degli Sterili (tra i fondatori) e degli Ordinati; in particolare fu attivo in quest’ultimo so­dalizio, che si riuniva presso il cardinal Giovanni Battista Deti ed era dedito alla cultura erudita e alla musica.

L’at­tività letteraria di T. fu agevolata dai legami di stret­ta amicizia che il cardinal Deti ebbe con gli Aldobrandini. Già durante il pontificato di Clemente VIII T. era infatti dedito alla poesia (un suo distico lati­no per l’inondazione del Tevere del 1599 fu inciso in un’iscrizione nella piazzetta della Chiavica pres­so S. Giovanni dei Fiorentini); probabilmente nei primi anni del Seicento conobbe Giambattista Ma­rino, che viveva presso il cardinal Pietro Aldobrandini; a Marino e al suo stile rimase legato nel cor­so della sua vita. Molto significativa al riguardo fu perciò l’amicizia tra i due poeti, confermata nel soggiorno di Marino a Roma negli anni 1623-1624 e rimasta salda nonostante il clima antimariniano che spirava dalla corte pontificia di Urbano VIII e che rendeva prudenti anche gli amici.

Mentre Marino, profondamente deluso dalla ripulsa del papa, finiva i suoi giorni a Napoli, da dove manteneva contatti epistolari con T., a Roma gli Aldobrandini intendevano onorarlo con un melodramma (La catena d’Adone) direttamente ispirato al suo celebre poema e ne affidarono la ste­sura poetica a T.

La scelta di T. nel momento della disgrazia di Marino (l’Adone era allora esaminato dal Sant’Uffizio, che nel 1627 lo pose all’Indice dei libri proibiti) appare perciò significativa, quasi si volesse fare del melodramma un manifesto artisti­co ed ideologico in onore di Marino, morto nel 1625. La musica fu composta da Domenico Maz­zocchi, ch’era al diretto servizio del Cardinal Ippo­lito, e fu a sua volta innovativa, introducendo «mezz’arie» per rompere «il tedio del recitativo», come scriverà lo stesso Mazzocchi nell’edizione a stampa della partitura (Venezia, appresso Alessan­dro Vincenti, 1626): si avviò così un deciso distac­co dal modello dell’opera fiorentina. Significative novità presentò anche l’allestimento scenico, diret­to da Giuseppe Cesari, il «Cavalier d’Arpino», con l’introduzione a Roma dell’uso di periaktoi per le mutazioni di scena a vista.

Forse per i tanti travagli attraversati, T. si ammalò seriamente, per cui il 2 settembre dello stesso 1626 giunse a far testamento; nel documento (poi reso vano da una rapida guarigione) stabiliva di essere sepolto nella sua chiesa parrocchiale (S. Stefano in Piscinula), nominava sua erede universale la madre, che vive­va con lui presso la Chiesa Nuova, disponeva la­sciti a favore dell’Arciconfratemita del Gonfalone e di alcuni amici (tra cui il poeta oratoriano Nicolò Balducci), nonché remissione di debiti a librai-edi­tori romani (Filippo de Rossi, Domenico e Loren­zo Sforzini, Giovanni Manelfi); tutti i suoi beni di Gallese erano lasciati al nipote Giovanni Giacomo.

Il testamento conferma che T. era benestante, non era sposato e non lavorava al diretto servizio di al­cun padrone, condizione che gli consentì di pubbli­care le proprie opere sotto il patrocinio di diversi signori e talvolta senza alcun patrocinio. Se il rapporto con gli Aldobrandini fu importante, altrettan­to si può dire per quello con il cardinal Maurizio di Savoia, per il quale T. scrisse numerosi componi­menti poetici e drammatici, nonché il discorso L’honestà del poema heroico, probabilmente reci­tato nell’Accademia dei Desiosi, fondata e patroci­nata da quel porporato. Pure dedicata a Maurizio di Savoia fu la bella raccolta di Favole in versi sciol­ti, pubblicata in elegante edizione con incisioni di Luca Ciamberlani (1626). Guarito dopo aver fatto testamento, T. approfittò delle nozze di don Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII (ott. 1627), per de­dicargli la cantata La sirena, alludente a un emble­ma gentilizio della sposa Anna Colonna, ma non sembra che l’omaggio lo abbia fatto accogliere nel novero dei poeti favoriti dai Barberini.

Poiché il cardinal Maurizio era tornato a Torino, T. tornò a scrivere per gli Aldobrandini (la cantata Belvedere fu eseguita nel marzo 1628, probabilmente con mu­sica di Domenico Mazzocchi, nella Villa Aldo­brandini di Frascati in occasione della visita di Fer­dinando III granduca di Toscana), mentre due suoi drammi sacri furono rappresentati nella chiesa dell’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte. Per  il cardinal Barberini scrisse la can­tata Preneste, il cui argomento è legato all’acquisto del principato di Palestrina, già dei Colonna, da par­te dei Barberini (1630). Ma il rapporto con i Bar­berini non durò e T. dedicò pochi altri lavori a ca­sate principesche (Savelli, Peretti, Borghese) con le quali era già in relazione da tempo, mentre sempre più spesso le sue raccolte poetiche venivano pub­blicate senza dedica alcuna e tuttavia ornate da bel­le antiporte incise.

Accanto alla produzione lirica (Rime, 1627; La gara delle tre dee, 1632) ed epica (i poemi II Costantino, 1629, e La vittoria navale, 1633), spicca quella per musica, che nella silloge del 1631 (Drammi musicali) raccoglie ben 32 com­ponimenti: melodrammi, cantate, intermedi. Anche L’Apollo (1634) contiene, accanto a liriche non de­stinate alla musica, due cantate e un piccolo melo­dramma. Ultimo lavoro del genere di T. fu un dram­ma agiografico sui santi patroni di Civita Castella­na, scritto a richiesta dell’amico Domenico Maz­zocchi, che lo fece rappresentare nel 1641.

Di qual­che rilievo appare anche l’attività di T. come pro­satore in campo storico: curò il Ristretto dell ’historie del mondo pubblicato dal libraio-editore Pom­pilio Totti e vi aggiunse di suo Le grandezze di Roma (1634); curò il Ristretto delle grandezze di Roma edito dallo stesso Totti (1637), aggiungendo­vi la volgarizzazione di un saggio di Giusto Lipsio; curò la riedizione del Ritratto di Roma antica del Totti, aggiungendovi il trattato Delle grandezze del­l’impero romano (1645); scrisse molte voci per i Ri­tratti et elogi di capitani illustri editi da Filippo de Rossi (1645). In quegli anni abitava «in cima al Corso», in parrocchia di S. Maria del Popolo, ed aveva «dotta & honorevole libreria d’ogni sorte di scienza» (Totti) ed era a volte incaricato di esami­nare libri di storia e libretti teatrali per la conces­sione dell’imprimatur su incarico del maestro del Sacro Palazzo Nicolò Riccardi. I pittori erano inte­ressati alle allegorie mitologiche dei suoi lavori poetici, note anche a Nicolas Poussin, che secondo i critici moderni ne tenne conto nella sua attività pittorica. In particolare, T. fu in amicizia con il pit­tore e saggista Giovanni Baglione, che gli donò il quadro raffigurante Ercole al bivio (1642); su ri­chiesta di T. il critico d’arte Giovanni Pietro Bello­ri scrisse il componimento Alla pittura posto ad apertura delle Vite de’ pittori del Baglione. Nel 1643 fu pubblicato il romanzo satirico Le guerre di Parnaso del letterato marinista Scipione Errico, in cui T. figura tra i personaggi. Nonostante la gene­rale stima che lo circondava, T. rimase nell’ombra durante tutto il pontificato di Urbano VIII, perciò il nuovo papa Innocenzo X fu da lui elogiato in un componimento poetico latino (1644); nel genere aveva già pubblicato un’intera raccolta di versi la­tini (1639).

Alla sua morte T. lasciò inedite varie opere in poesia e in prosa. Postuma fu pubblicata la «favoletta pastorale e tragica» Echo e Narciso, rappresentata a Pesaro nel carnevale 1651, scritta molti anni prima. Ai suoi funerali, che furono solenni, gli tessé un elogio il sacerdote scolopio Francesco Bal­di in un’orazione rimasta inedita. Un vivo ritratto di T. tracciò nel 1648 l’Eritreo (Giovanni Vittorio Rossi): T., amante della caccia e dei campi, aveva acquistato una vigna fuori città, e la lavorava con gioia. Mezzo secolo dopo il suo ricordo era ancora degno di lode: «Magni nominis poeta equidem gra­vis, munificus, summus, iuris civilis et philosophiae cultor eximius, optimis moribus aeque praeditus» (Mandosio). A Gallese gli è intitolato un largo.

BIBL. e FONTI. – AVR, Parr. di S. Stefano in Piscinula, Matr., I, ad diem 25.1.1572; Parr. di S. Lorenzo in Damaso, Morti, II, ad dies 28.9.1596, 5.3.1601; Stati delle Anime 1599, 1603­-05 (palazzetto Barzi a S. Pantaleo). AC, 30 Notai Capitolini, not. Giulio Grappolini, sez. 46, prot. 27, testam. del 2.9.1626. ASR, fondo Cartari-Febei, b. 117, c. 23. Allacci 1633, pp. 206-207; Totti 1645, pp. 244, 344; Erythraeus 1648, pp. 147­-152; Mandosio 1682-92, II, pp. 27, 245-246; Quadrio, I, p. 98, II, p. 302; Amati 1880, pp. 235-236; Vinas 1908-11, I, ad vocem Baldi; AIS, nn. 955, 960, 971, 1492,  2349, 2405, 2530, 2560, 2672, 2858, 3155, 3516, 4325, 4422, 4423, 4937, 5018; Witzenmann 1970, pp. 12-17, 30, 220-221, 244; Fran­chi 1988, pp. 144-145, 176-180, 204, 205-206, 240, 246; Hammond 1994, ad indicem; Ceresa 2000, ad indicem; Mat­teo Lafranconi in Collecting prints and drawings in Europe, c. 1500-1750, a cura di Christopher Baker et al., Aldershot, Ashgate, 2003, pp. 55-78; Daolmi 2006, passim; Franchi 2006, pp, 652, 758, 799, 801, 818; Gian Guido Grassi, Fa­vole di Ottavio Tronsarelli: preliminari a un’edizione, tesi di laurea in Letteratura italiana (relatrice Maria Luisa Doglio), Università di Torino, a.a. 2005-06; Tamburini 2009, passim.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]