Adriano IV (Nicholas Breakspear) – Papa (Abbot’s Langley, 1110/1120 – Anagni, 1° sett. 1159).
Nacque in un piccolo castello dell’Hertfordshire e la sua vita, prima del papato, ebbe un tono particolarmente romanzesco: secondo taluni fu figlio di un povero ecclesiastico che, entrato come monaco nella vicina abbazia di S. Albano, aveva affidato il mantenimento del figlio ai suoi frati, i quali accettarono a patto che esso avvenisse fuori dal convento. Tale stato di abbandono lo indusse, ancora ragazzo, a emigrare a Parigi per studiare e, grazie alle sue doti oratorie, nel 1135 divenne abate della canonica agostiniana di S. Rufo ad Avignone.
Animato da un sincero e totale spirito riformatore, si scontrò con alcuni confratelli, che lo obbligarono a recarsi, nel 1149, a Roma dal papa Eugenio III, il quale invece ne apprezzò i meriti nominandolo, l’anno successivo, cardinale-vescovo di Albano. Dopo aver svolto con successo diversi incarichi di legazioni nel Nord Europa per conto di Anastasio IV, deceduto questi il 3 dic. 1154, il giorno dopo gli successe col nome di A., unico inglese a capo della Chiesa cattolica. Personalità di grande spicco nel collegio cardinalizio del tempo, la sua nomina incontrò il favore unanime dei cardinali, consci di dover puntare su un uomo con le doti di fermezza e abilità, che Nicola aveva dimostrato di avere, a differenza del debole e troppo accondiscendente papa precedente, per far fronte a un sovrano come Federico I Barbarossa, già sulla via dell’incoronazione, secondo quanto stabilito nel concilio di Costanza.
La prima mossa ne dimostrò subito la tempra: approfittando dell’assalto e ferimento del cardinale Gherardo che si recava a trovarlo in Vaticano, da parte di un seguace di Arnaldo da Brescia, pose l’interdetto su Roma: vennero chiuse le chiese e interrotti i riti; tale disposizione, che comportava la rinuncia ai proventi dell’intenso turismo religioso, quale era quello pre-pasquale, convinse i Romani a espellere Arnaldo e i suoi collaboratori da Roma, in cambio della revoca dell’interdetto, avvenuta il 23 marzo. Sistemata la questione romana, il papa si rivolse verso la «questione meridionale» scomunicando Guglielmo I di Sicilia, che, succeduto al padre Ruggero, dopo aver inutilmente tentato di farsi riconoscere re dal nuovo papa, aveva fatto incursioni nel Beneventano e incoraggiato sconfinamenti armati anche nella Campagna Romana. Ottenuto da Federico I il giuramento di fedeltà, gli chiese anche di consegnargli vivo Arnaldo, il quale, rifugiatosi presso i visconti di Campagnatico, costituiva ancora una minaccia. Una volta catturato, all’inizio dell’estate 1155, la crudele vendetta del papa si abbatté su di lui: fu impiccato, arso e, per sottrarlo alla venerazione del populus furens, le sue ceneri vennero sparse nel Tevere.
Tuttavia ciò non migliorò la situazione a Roma e anche i rapporti con l’impero divennero tesi: disceso in Italia per l’incoronazione, il primo incontro tra Federico e il papa, svoltosi il 4 giugno 1155 nei pressi di Sutri, vicino il piccolo borgo di Monterosi, fu caratterizzato da un incidente diplomatico: l’imperatore si rifiutò di prestargli l’ufficio di staffiere, secondo la prassi, ovvero di prendere per la briglia il cavallo del papa e tenergli la staffa per facilitargli la discesa; il papa a sua volta gli negò il bacio della pace. La corte a seguito del papa si rifugiò quindi nella vicina Civita Castellana. Solo dopo lunghe e difficili trattative l’incidente venne risolto e Federico giunse a Roma per essere incoronato a San Pietro la domenica del 18 giugno, secondo il cerimoniale tradizionale stabilito nell’Ordo Romanus, nel timore costante dei possibili attacchi da parte dei Romani. Subito dopo l’incoronazione, tuttavia, entrambi dovettero scappare della città per l’insorgere della popolazione. Durante tale ritirata l’imperatore distrusse alcuni castelli dei nobili situati intorno a Roma. Rifugiatisi a Tivoli, si accamparono con gli eserciti presso il ponte Lucano, dove sarebbe sorta in ricordo dell’incontro dell’imperatore con il papa una cappella dedicata ai santi Ermete, Alessandro e Lorenzo. Qui scesero i messi comunali di Tivoli per consegnare le chiavi della città all’imperatore e per fargli atto di sudditanza: in questo caso il Barbarossa mostrò, almeno formalmente, la sua dedizione al papa, rifiutando l’offerta dei Tiburtini e incitandoli a rimanere fedeli al pontefice, sebbene Anna Maria Zappi riporti un documento, datato al 1154, nel quale si dice che l’imperatore «fece donativo della città di Tivoli alla S. Sede Apostolica nel tempo del pontificato di papa Adriano IV» (Zappi 1920, p. 17).
Il 29 giugno nella stessa cittadina venne celebrata la festa dei santi apostoli Pietro e Paolo. Il diploma imperiale, nel quale veniva sancita la doppia protezione di Tivoli, sia da parte del papato che dell’impero, fu confermata quando in un nuovo incontro di Adriano IV con Federico, avvenuto a Quintiliolo, intorno al 15 luglio del 1155 si decise di fortificare la città con una nuova più ampia cinta muraria, della quale rimangono varie testimonianze. In seguito il papa preferì non tornare a Roma ma recarsi di nuovo a Civita Castellana, dove fu raggiunto dagli ambasciatori dei ribelli del regno normanno contro il quale creò una coalizione. Ancora una volta, tuttavia, la politica papale di contrastare la creazione di un grande Stato unitario nell’Italia meridionale venne sconfitta dalla vittoria di Guglielmo che venne dal papa riconosciuto re della Sicilia. Ciò portò anche a un raffreddamento dei rapporti con Federico che considerò il concordato di Benevento, stipulato con il re normanno, una rottura del trattato di Costanza.
Con l’avvenuta restaurazione dello Stato della Chiesa, il papa poté rientrare a Roma nel 1156, dedicandosi al rafforzamento della sua autorità nelle province, sia mediante opere di fortificazione sia mediante compromessi con i singoli comuni, operazione già iniziata l’anno precedente quando affidò a Gregorio di Valmontone il paese omonimo. Fu il primo a soggiornare con la sua curia a Orvieto, cinse di mura e torri Radicofani e comprò dai Conti il ducato di Castro con diversi possedimenti intorno al lago di Bolsena. Si occupò anche del restauro della rocca di Proceno, vicino Viterbo, facente parte delle donazioni fatte alla Chiesa da Matilde di Canossa. Il papa soggiornò spesso a Viterbo, sia per villeggiatura, come dimostrano diverse bolle da lui sottoscritte a Viterbo datate al 12 agosto e all’ 11 settembre, sia di passaggio nei suoi frequenti viaggi. Nel culmine della disputa fra regnum e sacerdotium nella quale il papa rivendicava l’autorità di conferire l’impero, all’indomani della venuta dei legati lombardi nell’ago. 1159 ad Anagni, dove il pontefice risiedeva da tempo perché meglio protetto dai Normanni contro l’imperatore, egli si spense, dopo un governo di quattro anni, otto mesi e ventisette giorni, per un’angina e non per aver inghiottito una mosca come affermato da Ambrosi De Magistris, addirittura indicando la Fontana della noce come il luogo dell’accaduto, mentre si riposava da una passeggiata. Quattro giorni dopo fu portato a Roma e sepolto nelle Grotte vaticane della basilica di S. Pietro, accanto al predecessore Eugenio III; durante la traslazione della sua salma, avvenuta nel 1607, sempre all’interno delle grotte si scoprì che il corpo era ancora incorrotto. Suo biografo fu il cardinale Bosone che ne esaltò il coraggio e la cultura (Liber Pontificalis).
BIBL: M. C. Romano, voce Adriano IV, in Regione Lazio, Dizionario storico biografico del Lazio, Vol. I, Roma 2009, pp.17-18; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Vol. I, Viterbo 1907, pp. 128-129; P. Lamma, voce Adriano IV in Dizionario biografico degli italiani, Vol. I, Roma 1960, pp. 330-335.
[Revisione di Luciano Osbat – Cersal]