Baldinotti – Famiglia (Secc. XVII-XVIII)

Di origine pistoiese, un ramo fiorì a Roma nei secc. XVII-XVIII, con ascrizione per qualche tempo al patriziato romano.  E’ qui ricordata per la sua presenza nel Lazio. Il primo a stabilirsi a Roma fu il finanziere Zanobi, che come appaltato­re delle dogane pontificie si arricchì molto. Fu anche appaltatore dei rifornimenti di neve e ghiaccio, che prelevava sui monti sopra Rocca Priora; perciò ivi eresse nel 1660 la piccola chiesa intitolata alla Ma­donna della Neve, apponendovi un’iscrizione con il proprio stemma (la chiesa sarà in seguito rifatta). Il figlio Cesare (1630-1728), oltre a succedere a Za­nobi come titolare dell’appalto delle dogane, fu am­messo a cariche riservate alla nobiltà cittadina (guar­diano dell’Ospedale della Consolazione, Conserva­tore del Comune) e si nobilitò anche sposando Mar­ta Ghezzi di Otranto dei duchi di Carpineto. Per ac­cedere a un titolo nobiliare, acquistò dal duca di Bracciano Flavio Orsini la vasta tenuta di Rota (5 ott. 1664). Per valorizzare quel piccolo castello, sito non lontano da Tolfa, non esitò a investirvi ingenti somme tratte dal suo banco romano: Rota si arricchì di edifici, divenendo un borgo agricolo ben pianifi­cato accanto al palazzo già ivi eretto dai Santacroce.

L’ascesa al soglio pontificio del pistoiese Clemente IX favorì le aspettative di Cesare, che ottenne il tito­lo di marchese di Rota (14 ag. 1668). Da quel momento adottò un tenore di vita aristocratico, fre­quentando le rappresentazioni teatrali, acquistando manoscritti e libri rari, sostenendo con generosi con­tributi le attività dell’Arciconfraternita dei Fiorenti­ni cui apparteneva, in particolare la stagione oratoriale dell’anno santo 1675. Questa liberalità peral­tro contrastava con la singolare avidità con cui conduceva gli affari (come appaltatore delle dogane pre­tese denaro anche per far entrare in Roma il cada­vere del cardinal Antonio Barberini, morto a Nemi). Per Rota, nonostante l’esiguità di quel centro abita­to, volle promulgare una sorta di statuto, pubblicato con il suo stemma sul frontespizio (Ordinationi che si doveranno osservare nel castello di Rota, Brac­ciano 1669; opuscolo di 19 pagine: un esemplare le­gato in pergamena con fregi dorati nella Biblioteca della Fondazione Besso).

Subito fuori delle mura di Roma ebbe anche una vigna con casino (poi osteria) al distacco della Tuscolana dall’Appia Nuova, di­strutta nel 1925 per l’edificazione moderna. Nel 1693 acquistò un edificio sul Corso presso S. Silve­stro in Capite, adibendolo a residenza di famiglia e vivendoci con numerosa servitù. Ma di lì a poco so­pravvenne un crack finanziario e Cesare finì in fal­limento. Costretto a vendere il marchesato di Rota al ricchissimo Francesco Grillo (17 dic. 1698) ed a su­bire la vendita all’asta di tutti i suoi beni (1701), si rifugiò presso il conte Francesco Maria Carpegna, marito di sua figlia Ginevra; ivi morì molti anni dopo e fu sepolto in S. Eustachio. Con Ginevra, ere­de dei suoi debiti e rimasta vedova nel 1749, si estinse la famiglia.

Arme: alla banda caricata da tre co­rone d’alloro, accompagnata in capo e in punta da due stelle; gli smalti non sono noti.

BIBL. e FONTI – AVR, Parr. di S. Eustachio, Morti, III, ad diem 9.3.1728; Parr. di S. Maria in Via, Stato delle Anime 1696, f. 136. «Fasti Capitolini» (tabula 1668).  Marchesi 1735, vol. II; Tomassetti, I, p. 182, II, p. 332, III, p. 332, IV, pp. 51, 61, 538, 564; Silvestrelli, pp. 591-592; Fiorani 1985, p. 350; Franchi 1988, pp. 371, 374; Rostirolla 1988, p. 586; Lepri – Mazzocchi 1997; Lalli 2003, n. 59.

[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus]