Celli, Angelo – Igienista (Cagli, 1857 – Monza, 1914).

Conseguì la laurea in medicina e chirurgia presso l’Università di Roma per poi specializzarsi a Monaco in igiene. Fu così che nel 1883 divenne assistente e poi supplente di Corrado Tommasi Crudeli, presso l’Istituto di Igiene di Roma. Insieme a Ettore Marchiafava, dette inizio a una nuova corrente di pensiero nello studio dei parassiti osservati da Alphonse Laveran nel sangue di molti soggetti affetti da malaria. Se negli ambienti scientifici queste osservazioni erano viste con dubbio, i due studiosi italiani attribuirono un nome al Plasmodium malariae e dimostrarono che il microrganismo, accrescendosi nei globuli rossi, non comportava solo alterazioni dei globuli rossi ma era alla base di trasformazioni invasive dell’emoglobina e degli stessi globuli rossi. In particolare C. descrisse i parassiti responsabili della forma estivo-autunnale della malaria, frequente nella Campagna Romana, mettendo in evidenza la gravità di questa forma rispetto alla quartana e alla terzana benigna. Il suo contributo fu soprattutto nel primo approccio sperimentale al problema, impedendo la comparsa di nuovi casi grazie alla protezione delle abitazioni dalle zanzare e all’evitare che gli abitanti uscissero fra il tramonto e l’alba.

Questi studi costituirono la base della sua opera per la redenzione dell’Agro Romano, attraverso la sperimentazione presso la tenuta della Cervelletta. Componente assai rilevante per l’espansione dell’agricoltura italiana, soprattutto a livello di psicologia popolare, la malaria ha vissuto una fase importante della sua storia proprio negli anni nei quali era attivo C. L’opera dello studioso rappresenta una vera e propria svolta perché compendia l’importante risultato ottenuto nel campo della ricerca scientifica con l’altrettanto importante intervento costituito dall’azione legislativa di assistenza profilattica e preventiva. L’azione preventiva procurata dal chinino rappresentò un momento fondamentale nella storia della bonifica in Italia perché solo a partire da allora si ebbe un effettivo progressivo abbassamento della mortalità (fino al 1895 i morti all’anno furono stimati a 15.000). Attivo in molti centri dell’Italia centrale e meridionale, vi fondò istituti antirabbici e società di igiene, continuando ad occuparsi dello studio delle epidemie e della malaria ai quali seguirono importanti acquisizioni di ordine epidemiologico e profilattico. Continuò la sua lotta alla malaria anche all’interno del Parlamento (fu eletto deputato nel 1892 e vi rimase per vent’anni), con l’istituzione dell’Azienda del chinino di Stato, per la diffusione del farmaco e contro la speculazione.

Attraverso l’istruzione scolastica promosse una vasta azione di educazione igienica. Il problema malari­co della Campagna Romana era connesso con le condizioni economico-sociali delle popolazioni re­sidenti nelle zone infestate, motivo per cui C. si soffermò sul problema del latifondo, concepito come causa principale della drammatica condizione igienica e come impedimento alla azione di bonifica agraria e igienica. La sua famosa opera storica sulla malaria nel territorio regionale fu raccolta nei volumi postumi Storia della malaria nell’Agro Romano, (Città di Castello, 1925) e Malaria e colonizzazione nell’Agro Romano dai più antichi tempi ai nostri giorni (Firenze, Vallecchi, 1927) che erano una sintesi sommaria delle decine di relazioni, articoli, volumi che egli aveva scritto su questo argomento a partire dal 1985 e fino alla morte. In proposito scrisse anche un opuscolo sulle miserevoli condizioni dei salariati agricoli dell’Agro Romano, definito «Abissinia di Roma» in polemica con i fautori dell’espansione coloniale dell’Italia in Africa, nel quale egli descriveva lo sfruttamento dei braccianti agricoli stagionali da parte di proprietari, fittavoli e mediatori, braccianti provenienti dalle zone limitrofe e decimati dalla malaria (Come vive il campagnolo nell’Agro Romano. Note ed appunti illustrati con fotografie, Roma, Società editrice nazionale, 1900). Scrisse la prefazione al volume di Ercole Metalli Usi e costumi della Campagna Romana (Roma 1903). Nel 1902 presentò una proposta di legge sulle abitazioni e sulla colonizzazione dei latifondi nelle zone malariche, che imponeva la costruzioni di dimore adeguate, proposta bocciata dalla parte conservatrice. Rivolse poi la sua attenzione alle condizioni igieniche delle zone infestate studiando l’approvvigionamento idrico delle città, l’igiene industriale e l’alimentazione delle classi più povere. Lottò quindi per la diminuzione dell’orario giornaliero di lavoro e per una legge che tutelasse il lavoro minorile, dimostrandone i danni nel periodo della pubertà. Morì a Monza e fu sepolto nel cimitero di Frascati per sua volontà.

Opere sul Lazio (oltre le citate): La nuova profilassi della malaria nel Lazio, Roma, 1900; La scuola romana d’igiene nei secoli 16 e 17 e la profilassi della peste bubbonica nel 1656-1657, Roma, 1897; Gli ultimi disastri e i nuovi successi nella colonizzazione dell’Agro Romano, Roma 1911; Le febbri malariche nella provincia di Roma nel secondo semestre 1888, Roma 1888; La pustola maligna nell’agro romano, Roma 1889; Sull’acqua del Tevere. Studio dal punto di vista dell’igiene, Roma 1880; La malaria dei bovini nella campagna romana, Roma 1887.

BIBL. – In onore 1913; Rossi 1914; Carezzi 1915; Per la memoria 1915; Berlinguer 1957; Gabrielli 1959; Arnaldo Cantani – Marina De Marinis in DBI, 23, pp. 433-437; Odissea 1986; Feligioni 2001.

[Scheda di Susanna Passigli – Msl; integrazione di Luciano Osbat – Cersal]