Colombini, Giovanni – Beato (Siena, 1304 – Acquapendente, 31 luglio 1367).
Nacque da nobile famiglia, che aveva assunto il cognome agli inizi del sec. XIII in sostituzione di Strozzavacchae. Nei primi anni, seguendo la tradizione familiare, si dedicò al commercio, riuscendo con successo grazie allo spirito di iniziativa che lo contraddistinguerà per tutto il corso della vita. Dopo essersi sposato nel 1343 con Biagia Cerretani, dalla quale avrà due figli, si dedicò alla vita pubblica, diventando membro del Consiglio del popolo e priore della città fino alla sua conversione, avvenuta nel 1355 in seguito alla lettura della vita di santa Maria Egiziaca. Dopo la verifica della provenienza dei propri beni, in seguito alla quale restituì il frutto dei guadagni illeciti, e dopo essersi dedicato alla beneficenza, il C. fece voto di castità con l’assenso della moglie. L’evoluzione ultima della sua conversione fu data dall’incontro con il certosino Pietro de Petroni, che lo portò a donare tutti i beni all’ospedale della Scala, al monastero di S. Bionda e alla Congregazione di Maria Vergine, lasciando una rendita annua alla moglie e affidando la figlia tredicenne alle Benedettine di S. Bionda, dove essa morì l’anno successivo. Tale repentina quanto totale conversione sfiorò a volte forme teatrali per le quali si sottopose a dure mortificazioni rese anch’esse pubbliche: per due mesi servì come sguattero nel palazzo comunale gratuitamente, si fece trascinare ignudo e con un cappio, tra i suoi possessi. Tale carattere penitenziale fu adottato anche per la cerimonia di ammissione che i suoi seguaci dovevano compiere per unirsi a lui: il candidato, spesso di estrazione nobile o borghese, veniva spogliato in piazza del Campo e condotto per le strade oggetto di scherno.
Tali manifestazioni, con il conseguente turbamento dell’ordine pubblico che comportavano, suscitarono l’ostilità delle autorità comunali, che, prestando ascolto anche alle dicerie su presunti illeciti rapporti con le Benedettine del monastero di S. Bionda, deliberarono nel 1363 l’esilio del gruppo di venticinque gesuati, come saranno nominati per il loro continuo riferimento a Gesù. Iniziò così l’apostolato itinerante di C. e del suo gruppo per la Toscana e l’Umbria che portò alla diffusione del messaggio e a una crescente ostilità da parte dei Francescani e Domenicani, posti in concorrenza, che fecero sentire al C. più urgente la necessità di un riconoscimento ufficiale del movimento costituito da una sessantina di seguaci. Dopo aver tentato inutilmente di andare incontro al papa Urbano V sbarcato a Corneto di ritorno da Avignone, malato, riuscì in un secondo momento ad accedere a corte, dove fu oggetto di un’inquisizione papale che vedeva con sospetto la povertà predicata. Tuttavia tale movimento fu usato dalla Chiesa per rispondere alle inquietudini pauperistiche allora in voga. Non approvando l’estrema povertà il pontefice stesso acquistò loro la divisa costituita da un talare e con cappuccio bianchi e sandali di legno.
Ottenuta l’approvazione e l’ufficializzazione dell’Ordine, il C. decise di trattenersi a Viterbo dove procedette a un riordinamento della Congregazione per adattarla alle direttive papali. In quell’occasione proprio l’amministrazione da parte di questo Ordine fu oggetto di discussioni per la difficoltà di inquadrare laici all’interno dell’amministrazione della Chiesa, alla quale essi non volevano rendere conto. Ottenuto il consenso papale C. lasciò Viterbo per fare ritorno a Siena, ma la malattia da cui era afflitto si aggravò, costringendolo a una sosta ad Acquapendente che risultò quella definitiva. Qui il 26 luglio, in atteggiamento penitenziale, dettò a Benedetto di ser Pace, notaio, fra i suoi primi seguaci, il testamento spirituale, desideroso di lasciare ai compagni un indirizzo che li salvaguardasse da future deviazioni. Si spense pochi giorni dopo presso la badia di S. Salvatore. Il suo corpo fu portato a Siena e sepolto al monastero di S. Bionda, al quale era stato particolarmente legato. Sebbene non fosse mai ufficialmente beatificato, Gregorio XIII lo volle inserito nel Martirologio Romano. Una sua immagine è conservata nella Chiesa de la Calza a Firenze.
BIBL. – Bartoli 1856; Ciampi 1872, p. 93;Tonelli 1921; Bartoli 1923; Cherubelli 1950; Petrocchi 1957, pp. 6, 147-176; Ambrogio Maria Piazzoni in DBI, 27, pp. 149-153; ABI, l, 308, pp. 249-256 II, 22, p. 346 n, 151, pp. 166-170.
[Scheda di Maria Cristina Romano – Srsp]