Colonna – Famiglia (Roma, secc.XI-XX)
Famiglia patrizia, documentata dalla fine del sec. XI e in alcuni rami ancora esistente, fondamentale nella storia di Roma e del Lazio, famosa per «nobiltà, antichità, grandezza di Stato, numero dei vassalli e splendore delle persone» (Amayden). Il nucleo originario dei domini della stirpe può essere indicato nell’area al margine settentrionale dei Colli Albani centrata su Colonna (da cui secondo molti il nome della famiglia) con la vicina Monte Porzio (oggi Monte Porzio Catone) da un lato e, dall’altro, con Zagarolo e Gallicano, terre tutte che già appaiono in possesso del capostipite Pietro (Petrus de Columna), vissuto a cavallo tra i secc. XI e XII, ritenuto dai genealogisti figlio minore di Gregorio III conte di Tuscolo e patrizio di Roma. Mercè le nozze con Elena, nipote di papa Pasquale II, Pietro aggiunse ai suoi domini anche la signoria su Palestrina. A questo nucleo originario fu ben presto annessa Genazzano, quindi, nel corso del sec. XIII, un gruppo di castelli sui Monti Prenestini (Capranica Prenestina, Olevano, San Vito, Pisciano
La linea principale dei C. imperniò i suoi possessi su Genazzano e sui castelli dei Monti Prenestini, trasmessi da padre in figlio fino a Lorenzo Onofrio (m. 1423), che fu gran camerlengo del Regno di Napoli, generale per gli Aragonesi e conte d’Alba. Con l’esaltazione al soglio pontificio di Oddone Colonna, avvenuta al Concilio di Costanza l’11 nov. 1417, dove assunse il nome di Martino V, la definitiva fortuna dei C., e in particolare del ramo principale, fu assicurata.
Morto nel 1423, in un incendio, Lorenzo Onofrio, il patrimonio toccherà ai figli di Lorenzo, Antonio e Odoardo; da Antonio (1408-1471) discesero le linee dei C. di Fondi e dei C. di Zagarolo; da Odoardo (m. 1485) la linea di Paliano. Odoardo ebbe la signoria di vasti possessi nel Lazio (Marino, Rocca di Papa, Nemi, Genazzano, Cave, Trivigliano, Collepardo, Ripi, Castro dei Volsci, Santo Stefano [oggi Villa Santo Stefano], Giuliano, Ardea, nonché Anticoli Corrado, Roviano e Vallinfreda nella valle dell’Aniene), oltre al ducato dei Marsi in Abruzzo, tutti toccati, dopo brevi vicende, a uno solo dei suoi figli, il gran condottiero Fabrizio (ca. 1460-1520), dal 1515 insignito del titolo di gran contestabile del Regno di Napoli. Fabrizio, comandante generale delle milizie papali, ebbe in sua mano la maggior parte della provincia di Campagna, aggiungendo ai feudi già nominati quelli di Amara, Falvaterra, Morolo, Supino, Vico, Vallecorsa, Piglio, Pofi, Sgurgola e Serrone. A questo complesso territoriale mancava Paliano, in possesso dei C. di Fondi e già all’epoca considerato castello principale della zona per la sua posizione chiave a capo della valle del Sacco.
Ascanio, figlio ed erede di Fabrizio intervenne prontamente alla morte del conte di Fondi e signore di Paliano Vespasiano ( 1528), tornando da Genova e aprendo la lotta per Paliano e gli altri feudi colonnesi di Campagna. Legatissimo alla Spagna, riuscì vittorioso nella contesa, occupando Paliano, Genazzano, Olevano, San Vito, Pisciano, Ciciliano, Civita Lavinia (oggi Lanuvio), Ardea, Nettuno, Ceccano, Giuliano, Sonnino e financo Vallecorsa, a breve distanza da Fondi; nel 1534 papa Paolo III gli confermò tutti i feudi da lui posseduti nello Stato della Chiesa.
La sua indole energica e collerica, animata da una feroce determinazione (fu addirittura sospettato di essere uno stregone), portò dunque all’unità di un vero «Stato» colonnese della Campagna, che durerà fino alla caduta del feudalesimo. Tra il 1554 e il 1584 il complesso di domini colonnesi di Campagna fu del membro più famoso dei C. di Paliano, Marcantonio (v.), il grande capitano di Lepanto. In seguito alla bolla di Pio IV del 17 luglio 1562, con la quale diciotto terre e castelli della Campagna furono riuniti nel principato di Paliano (con diritto di Marcantonio e successori a portare il titolo di duca e con gli onori e privilegi dei «principi massimi e antichissimi»), nacque ufficialmente lo «Stato» colonnese di Campagna, comprensivo di San Lorenzo (oggi Amaseno) e di Anticoli di Campagna (oggi Fiuggi).
I feudi colonnesi nel Lazio furono in seguito governati da Girolamo (n. 1603), che fu duca di Paliano e di Marino quantunque fin dal 1628 fosse divenuto cardinale; morto Federico, divenne signore anche dei feudi colonnesi nel Regno, che affidò al fratello minore Marcantonio V (m. 1659). Fu inoltre vescovo suburbicario di Frascati (dal 21 nov. 1661) e a favore di quella chiesa dispose un generoso lascito nel suo testamento del 15 ott. 1664.
L’ultimo C. di Paliano a godere di pieni diritti feudali sui suoi «Stati» fu Filippo Giuseppe (1760-1818), uomo colto, che con lungimiranza riordinò le norme giuridiche vigenti nei suoi feudi, adeguandole alla legislazione pontificia. Nel 1796-1798 si mostrò fedele al papato contro l’invasione francese; i governanti della Repubblica romana lo multarono di 80.000 scudi ed espugnarono dopo breve assedio la fortezza di Paliano, bruciandone l’archivio e impossessandosi d’ogni cosa di valore. Caduta la Repubblica, Filippo Giuseppe rioccupò i suoi «Stati», dove istituì due tribunali civili in quello di Genazzano (a Marino e a Genazzano) e tre in quello di Pofi (Ceccano, San Lorenzo e Supino). Restaurato il potere pontificio dopo il periodo napoleonico, Filippo Giuseppe, a fronte del motu proprio di Pio VII che gravava i privilegi feudali di oneri fiscali molto pesanti, rinunziò a tutti i diritti feudali su città, terre e castelli nello Stato della Chiesa. Il puro titolo di duca e principe di Paliano fu portato dai successori, a partire dal nipote di Filippo Giuseppe, Aspreno (1787-1847). Il ramo dei C. di Paliano è tuttora fiorente.
Al sec. XIV risale l’origine dei Colonna di Palestrina. Capostipite ne fu Stefano il Vecchio (m. 1349), che dal padre Giovanni ebbe Palestrina con le terre circonvicine. Grande e magnifico signore, più volte senatore di Roma, sostenne lotte terribili con Bonifacio VIII e con i Caetani ed ebbe anche altri feudi: un importante castello sulla via Flaminia, Castelnuovo di Porto, due sulla via Tiburtina (Roviano e Anticoli Corrado) e uno in Sabina (Pozzaglia, passata agli Orsini verso il 1400). Dalla moglie Sancia Caetani dei conti di Fondi ebbe i figli Giovanni (m. 1413) e Nicolò (v.), entrambi famosi condottieri, scomunicati nel 1389 e graziati nel 1401. Poiché Giovanni ebbe solo il figlio naturale Ludovico (v.), la linea di discendenza prosegui con i figli di Nicolò, Giacomo e Stefano IV. Quest’ultimo, marito di Sveva Orsini, riuscì ad accentrare nelle sue mani il dominio sui feudi e patrimonio di famiglia e per questo fu assassinato dal nipote Salvatore, figlio di Giacomo (Genazzano, 17 apr. 1433). Postumo gli nacque un figlio maschio (Castelnuovo di Porto, maggio 1433), che Sveva battezzò con il nome del defunto marito. Stefano, quinto di questo nome tra i C. di Palestrina, fu signore di Palestrina, Castelnuovo, Roviano e Anticoli Corrado, nonché del castello di Algido sui Colli Albani, con la tenuta detta Mezzaselva, e della tenuta con il villaggio di Corcolle sull’Aniene a sud di Tivoli. Castelnuovo di Porto gli fu tolto da Eugenio IV nel 1434 e due anni dopo il cardinal Vitelleschi, legato di quel papa, distrusse Palestrina; ma nel 1447 Nicolò V restituì tutti i beni ai C., dei quali era amico; Palestrina risorse nel 1448.
Il figlio di Stefano, Francesco (m. 1538), dovette subire da Alessandro VI una nuova espropriazione, recuperando il patrimonio alla morte di quel papa. I due figli di Francesco, Stefano e Alessandro, si divisero il patrimonio alla morte del padre: al primo andò Palestrina con l’Algido e Corcolle, nonché Roviano e Anticoli Corrado, al secondo Castelnuovo e alcuni diritti su Gallicano e sul castello di Passerano. Di Castelnuovo ebbe cura il figlio di Alessandro, Sciarra (m. ante 1580), che promulgò lo statuto della comunità (10 dic. 1548) e trasformò il vecchio castello del sec. XIII in palazzo baronale, facendone affrescare la «loggia pinta» a Taddeo Zuccari, con scene rievocanti le norme dello statuto (1557). Morto Sciarra senza figli maschi, Gregorio XIII dispose che Castelnuovo di Porto tornasse alla Camera Apostolica, i cui ufficiali ne presero possesso nell’ago. 1581. Giulia (m. Zagarolo 1612), unica figlia di Sciarra, sposò Marzio C. di Zagarolo, cui restarono i soli diritti su Gallicano. Stefano VI, figlio primogenito di Francesco, fu valoroso condottiero al servizio dell’imperatore, del papa, del re di Francia, della Repubblica di Firenze e di quella di Venezia. Morì di febbri a Pisa nel 1548.
Dalle nozze con Elena Franciotti della Rovere aveva avuto il figlio Giulio Cesare, con il quale i C. di Palestrina, schieratisi nettamente a favore della Spagna, giunsero a maggior splendore. Da Pio V fu insignito del titolo di principe di Palestrina (22 maggio 1571), dalla madre ereditò nel 1577 i feudi di Carbognano e Bassanello (oggi Vasanello), da Filippo II fu fatto cavaliere del Toson d’Oro. Invano invece tentò di recuperare il feudo di Castelnuovo del defunto cugino Sciarra. Uomo colto, fondò a Bologna l’Accademia dei Confusi; nel suo palazzo romano fu patrono di Giovanni Pierluigi da Palestrina, che gli dedicò un libro di madrigali (1586). A Palestrina fece restaurare e ingrandire la fontana pubblica (1581, iscrizione ivi). Morì nel 1593. Gli successe il figlio Francesco, nato nel 1571 circa, militare in Fiandra nell’armata spagnola, poi in Romagna per il papa. Fu l’ultimo C. signore di Palestrina, dove diede impulso alla fiera di sant’Agapito (18 ago. 1592) e aprì la strada carrabile da S. Lucia a piazza della Cortina, costruendo la Porta S. Croce (1593).
Oppresso dai debiti, messo in difficoltà dal francofilo pontificato di Urbano VIII, fu costretto a vendere il principato di Palestrina (con Castel San Pietro Romano, Corcolle, Algido e la tenuta di Mezzaselva) a Carlo Barberini fratello del papa (atti dei not. Fonthia e Nucola del 16 gen. 1630) al prezzo di quattro milioni di franchi, più alcuni diritti su Roviano e Anticoli Corrado, già ottenuti dal Barberini negli anni 1625-1627 da altri rami dei Colonna. Il contratto, che ovviamente aveva l’approvazione papale, comportava che Francesco conservasse il titolo di principe, trasferito sul feudo di Carbognano (15 feb. 1630), con l’aggiunta di quello di duca di Bassanello. Prima di consegnare Palestrina ai Barberini, egli fece traslare le ossa dei suoi antenati nella basilica romana di S. Maria Maggiore. Morì nel suo palazzo di Roma l’11 dic. 1636. I suoi discendenti costituirono perciò la linea dei Colonna di Carbognano, detti anche Sciarra Colonna. Mentre personaggi di scarso rilievo furono Giulio Cesare II (1602-1681), Egidio (m. 1686) e Francesco III (1684-1750), maggiore importanza ebbe Giulio Cesare III (1702-1787), il quale, sposando nel 1728 Cornelia Costanza ultima dei Barberini ottenne che i C. tornassero padroni di Palestrina. Le nozze, che per contratto prevedevano l’assunzione del cognome Barberini da parte del futuro secondogenito maschio, suscitarono un vespaio politico, ma essendo approvate dal papa Benedetto XIII non potevano essere messe in discussione. I due maschi attesi dai patti nacquero nel 1733 (Urbano) e nel 1735 (Carlo); entrambi assunsero il doppio cognome Barberini Colonna di Sciarra.
Arme: di rosso alla colonna d’argento; il ramo di Paliano aggiunse una corona d’oro posta al vertice della colonna. Il cimiero è una sirena a doppia coda, con nastro e motto contendit tuta procellas.
BIBL. e FONTI – Subiaco, Monastero di S. Scolastica, Archivio Colonna di Paliano; ASV, Fondo Colonna; Amayden, I, pp. 319-322; Mugnos 1658; De Sanctis 1675; Valesio, I-VI, ad indices; Imhoff 1710, pp. 220-236; Cecconi 1756, passim; Petrini 1795, passim; Litta, Colonna; Marocco, V, p. 90, VII, pp. 37-38, 49, 55-56, 83, VIII, pp. 162, 170, 178, 183-187, IX, pp. 24-25, 61, 66, 159-163, 169, 171, 173, 176-177, X, pp. 131-132; Moroni, ad indicem; Coppi 1855; Jannuccelli 1856, pp. 238-241; Ciampi 1872, p. 119; Berti 1882, p. 135; Consorti 1909; Presutti 1909; Presutti 1910; Tomassetti, II, pp. 125-126, 167, 254, 275, 288, 332, 334, 454, III, pp. 221, 292, 410, 418, 429-431, 439, 495-496, 502, 520, 533, 544, 550-553, 558, IV, pp. 156, 220-223, 225-228, 230-234, 242-245, 248-249, 254-257, 270-271, 310, 415, 440, 486-490, 496-498, 502, 513, v, 455-456, 459-460; Pastor, I.-XVI, ad indices; Presutti 1912, pp. 102,127; Silvestrelli, pp. 30-31,42-44, 91-97, 140, 146-149, 165, 176, 179-182, 184, 188-192, 194, 202-203, 205-208, 275-280, 295-312, 342-344, 358-366, 530, 589, 616-619, 684, 706; Spreti, II, pp. 510-511; Colonna 1927; Guicciardini 1929, V, pp. 79, 105, 108, 258, 264, 290-296; Valentini 1929, p. 313; Tucci Savo – Giovannoni 1933, pp. 63-72, 98, 112 e passim; Oliger 1935; Dupré Theseider 1952, ad indicem; Paschini 1955; Celletti 1957, passim; Celletti 1960; Waley 1961, passim; Ilari 1965, pp. 35-39, 212; Esch 1969, pp. 249, 292-293, 296, 305, 316-319, 325, 335, 446, 484; Colonna 1977-82, p. 16; Floridi 1979; Belli Barsali – Branchetti 1981, pp. 66-76, 96-103, 283, 298-301, 309-310; DBI, 27, ad voces Colonna (con rif. alle fonti e altra bibl.); Mariano – Panepuccia 1985, passim; Panepuccia – Clementi 1990, pp. 23-25, 32, 36-39; Bandiera 1991; Floridi 1991; Weber 1994, pp. 587-590; Minasi 1997; Tamburini 1997; Bazzano 2003; Rendina 2004, pp. 249-261; Genealogie, Colonna.
[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus; riduzione di Luciano Osbat – Cersal]