Donzellini Alessandro – Letterato (Bolsena, 1542/45 – ivi, 1613).
Figlio di Bernardino detto Bonte e di Antonia di Latino, appartenne a un’antica famiglia, attestata a Bolsena dai primi anni del XV secolo alla prima metà del XVII. Sposatosi nel 1568 con Celia di Felice Angelo Ronzinetti, dalla quale ebbe il figlio Giovanni Battista, visse nella cittadina natale in una casa presso la piazza del Comune, nell’attuale via Piave. D. fu figura di spicco nella Bolsena del tardo Cinquecento, esercitandovi ruoli e attività diversi: notaio (nominato nel 1561 dal cardinal Tiberio Crispi governatore perpetuo di Bolsena, attività proseguita fino al 1612), giudice, maestro della scuola pubblica (1568-1569, 1575), cancelliere (1572-1573), consigliere (1577) e priore del Comune (1610), nonché storico, poeta, autore drammatico; infine, rimasto vedovo, canonico della collegiata di S. Cristina (21 sett. 1612); ebbe inoltre incarichi notarili e amministrativi in altri centri della zona volsenese e orvietana (Vasanello, Ronciglione, Viterbo, Bagnoregio, Acquapendente) e anche in città più lontane (a Roma, a Napoli, nel Sannio, a Bevagna in Umbria, a Orbetello e Porto Ercole), non di rado al servizio di casa Farnese o dei principi romani Camillo Conti e Francesco Colonna. Ma sulla cura degli affari pubblici prevalse in lui l’amore per le lettere, tanto da causare un contenzioso con il Comune di Bolsena.
Appartenne all’Accademia degli Intronati di Siena, tra i quali fu detto «il Tardo». Lasciò opere storiche, drammi agiografici, versi. Questa produzione letteraria, a lungo marginalizzata (come autore drammatico D. era valutato come un esempio provinciale di cultura attardata, e nel complesso lo storico di Bolsena Consalvo Dottarelli lo giudicò «mediocre ingegno e superficiale»), è stata di recente esaminata con maggiore attenzione all’interno di una giornata di studio dedicatagli nel 1993. I suoi Discorsi historici, rimasti inediti, pur nei limiti del raccordo tra le generiche linee umanistiche tradizionali e le più vive, seppure anguste, istanze delle cronache locali, si mostrano come esempio storiografico non spregevole, animato da un sincero amore per le realtà all’autore più vicine e care (notevole l’attenzione per le iscrizioni etrusche). Un paragone si può condurre con i coevi Comentari historici di Monaldo Monaldeschi della Cervara, scritti nel 1584 nella vicina Acquapendente.
L’amor patrio (il miracolo del 1263 era l’evento storico più importante di Bolsena), insieme all’ ortodossia controriformistica, è pure alla base del saggio sull’origine e significato della festa del Corpus Domini, proclamata nel 1264 da papa Urbano IV dopo il prodigioso evento bolsenese dell’anno prima. Dell’opera D. diede anche una versione in latino. Nei testi drammatici di soggetto agiografìco egli si mosse tenendo presenti sia la tradizione della sacra rappresentazione sia il modello classicistico della tragedia «regolare» (prologo e cinque atti in versi sciolti, con cori in fine d’atto). Molti di questi lavori devono essere andati perduti: infatti la Tiria, che fu la prima ad essere stampata (1583), è detta dall’autore «la decima delle mie rozze et incolte fatiche». L’opera, in forma di tragedia «regolare», è detta Tiria per seguire la tradizione che voleva santa Cristina, patrona di Bolsena, originaria di Tiro; ha dunque anch’essa una motivazione «civica» e D. la dedicò al cardinal Girolamo Rusticucci, all’epoca governatore di Bolsena.
Al martirio di santa Cristina D. tornò in una più popolare rappresentazione, scritta per la festa patronale del 1594 e recitata nella chiesa di quella Santa; il manoscritto rimase a Bolsena: alla metà del Settecento era in possesso della famiglia Adami, che lo fece leggere al tragediografo francescano Giovanni Antonio Bianchi. Secondo una tradizione orale, i modelli dei costumi e degli arredi ancora oggi usati nella festa patronale risalgono all’allestimento del 1594. Vicina al tipo della sacra rappresentazione è pure la Santa Caterina (1610), mentre maggiori motivi d’interesse offre il San Bartolomeo apostolo, che fu rappresentato a Ronciglione nel 1604 per il Cardinal Odoardo Farnese e che, rimasto inedito per secoli, è stato di recente pubblicato a cura di Quirino Galli (Ronciglione, Grafica 2000, 2004). Il testo era rimasto manoscritto nel fondo Farnese della Biblioteca Nazionale di Napoli insieme a un Discorso e ragguaglio degli habbiti ed attioni […] fatti nell’opera di S. Bartolomeo, pure del Donzellini.
Delle due commedie pubblicate in vita da D., la prima (Gli oltraggi d’amore e di fortuna, 1585) porta in campo il contrasto tra l’amore e la fortuna, caro alla cultura dell’epoca; entrambe furono apprezzate (e probabilmente più volte recitate) a Roma e a Firenze.
BIBL. – Le maggiori notizie in Alessandro Donzellini 1994; ivi in particolare i saggi di Fabiano T. Fagliari Zeni Buchicchio (Alessandro Donzellini e la sua famiglia: note e documenti, con albero genealogico e ampi rif. alle fonti d’archivio), Massimo Miglio (Premesse ad una lettura dei Discorsi historici), Quirino Galli (La produzione teatrale dì Alessandro Donzellini) e Attilio Carosi (Opere a stampa di Alessandro Donzellini). Inoltre: Bianchi 1753, p. 190; Dottarelli 1928, pp. 459-462; Carosi 1962, pp. 45, 64, 73; Tammaro Conti 1977, ad indicem; Luzi 1984, pp. 64, 67-68; Franchi 1988, pp. 34, 42, 59; recensione a Donzellini 1994 in «Biblioteca e Società», XIII, 2, 1994, pp. 31-32.
[Scheda di Saverio Franchi-Ibimus; riduzione di Luciano Osbat-Cersal]