Lunensi – Famiglia (Secc. XV-XVII)
Originaria di Fivizzano, in Lunigiana, si stabilì a Viterbo nei primi anni del XV secolo. Il capostipite del ramo viterbese fu Giovanni Putomorsi de Lunensi, che ottenne la cittadinanza nel 1417. I discendenti, che abbandonarono il cognome originario e furono detti L. cioè provenienti dalla zona di Luni, ebbero cariche civiche e magnifico palazzo in parrocchia di S. Quirico, costruito dal famoso architetto Bernardo Rossellino in pure linee rinascimentali, tuttora esistente in via del Giglio.
Pietro, figlio di Giovanni, fu cancelliere comunale (dal 14 maggio 1440) ed ebbe grande autorità su Viterbo e sulla provincia del Patrimonio, in quanto uomo di fiducia del cardinal Giovanni Vitelleschi, del quale era stato segretario fin dal 1435. Fece carriera nella Curia pontificia a partire dal pontificato di Eugenio IV; Nicolò V lo ascrisse con motu proprio fra gli scrittori apostolici (26 ott. 1448) e lo confermò cancelliere a vita del Comune di Viterbo. Sotto Callisto III fu dapprima mantenuto negli incarichi, ma cadde in disgrazia nel 1456; riottenne il posto di scrittore dal nuovo papa Pio II, con la facoltà di poterlo trasmettere al figlio Battista (22 sett. 1459). Pietro brillò per cultura nella Viterbo quattrocentesca, conobbe il greco e fu stimato oratore. Mantenne rapporti epistolari con i famosi umanisti Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini e Antonio Beccadelli detto il Panormita. Oltre a dotare la cappella di San Gregorio nella propria chiesa parrocchiale di S. Quirico, costruì un sepolcro di famiglia nella chiesa di S. Francesco (1451); ivi fu sepolto.
Il figlio Battista, laureato in legge a Perugia, subentrò al padre come scrittore apostolico (1459); coltivò le lettere; morì prima del 1489. Alla fine della vita Battista vendette il bel palazzo in via del Giglio al cardinal Alfonso Petrucci di Siena (18 dic. 1515).
Dottore in legge fu anche suo figlio Pietro, dal 1523 castellano della rocca di Viterbo. La stirpe si estinse due generazioni dopo, con Girolamo, figlio di un altro Battista. Girolamo fu dottore in legge ed esercitò la professione di notaio dal 1564 al 1600. Nel 1569 era podestà di Bagnaia. Nonostante tre consecutivi matrimoni, non ebbe figli superstiti. Il 20 nov. 1604 fece testamento; morì poco tempo dopo e comunque prima del 1609, quando la vedova Laura Carci era già risposata con Paride Martelli. Come i suoi avi, Girolamo coltivò l’attività letteraria.
Resta di lui un’opera a stampa intitolata Principessa, definita sul frontespizio «tragicomedia composta per M. Jeronimo Lunensi citadino viterbese». L’edizione reca il luogo «in Viterbo» ma è priva di data e di nome dello stampatore. La dedicatoria dell’autore, rivolta a monsignor Orazio Celsi vicelegato di Viterbo, è datata «Viterbo 1585». L’opera è interessante per la definizione di «tragicomedia» in un’epoca e in un ambito geografico in cui il concetto non era usato, come sottolinea lo stesso autore nella dedicatoria («delle tragicomedie non ho mai in nessun luogo vistone rappresentare; ne tampoco lettone libro nessuno»). Quando scrisse quest’opera, Girolamo faceva parte dell’Accademia degli Ostinati, dove era detto «il Tragico».
Arme: d’oro alla croce di S. Andrea d’azzurro (Signorelli), oppure d’azzurro allo scaglione rovesciato d’oro, caricato di tre rose e accompagnato in capo da un crescente d’argento (Scriattoli).
BIBL. – Allacci 1755, col. 640; Scriattoli 1915-20, p. 358; Signorelli 1968, pp. 142-143, 189 (con rif. alle fonti d’archivio); Carosi 1988a, passim; Franchi 1994, p. 167; Angeli 2003, pp. 282-283, 741 (con albero genealogico e altri rif. alle fonti d’archivio).