Mazzariggi  Francesco – Patriota (Cellere, 1° mag. 1823 – ivi, 29 dic. 1900).

Figlio di Nicola, che nel 1836 fu priore e poi consigliere nel governo locale, e di Camilla Mariani, ap­parteneva ad una famiglia di ricchi mercanti. Compì gli studi in Seminario  e suc­cessivamente, fino al 1848, studiò diritto alla Sapienza di Roma. Di idee liberali, consigliere del­l’Associazione castrense composta da cittadini d’orientamento liberale delle quattordici comunità che anticamente avevano fatto parte del ducato di Castro e che perseguiva l’ «Indipendenza, ed unità nazionale, sviluppo progressivo della libertà, miglioramento intellettuale, morale e materiale del po­polo», fu nominato capitano della guardia civica del territorio castrense. Nel registro degli individui «compromessi» (AS Viterbo, Direzione di Polizia, anno 1849) lo si definiva «temibile demagogo», in rapporti sediziosi col chirurgo Cozzolini e convinto assertore delle idee libertarie.

Nonostante questo, nel 1851 con la carica di cavaliere entrò a far parte del Consiglio comunale di Cellere. Proseguì comunque nell’attività cospirativa, partecipando ad un piano d’insurrezione a Valentano, fallito nel 1857. Al 1860 le fonti fanno risalire una corrispondenza con il Cavour, momento più significativo della evoluzione ideologico-politica del M. La notte del 13 gen. 1867, durante una perquisizione nella sua casa, la polizia pontificia sequestrò numerose lettere dei capi del Comitato d’emigrazione d’Orvieto, un proclama patriottico a loro indirizzato oltre che armi e alcuni numeri de «La Nazione» di Firenze a cui M. era abbonato da sei anni. Arrestato, M. fu tradotto nelle carceri viterbesi dove un mese dopo lo raggiunse il fratello minore Tommaso.

A carico dei due Mazzariggi il giudice Giuseppe Maggi, incaricato della causa viterbese di lesa maestà, indagò per «cospirazione e corrispondenza epistolare antipolitica all’effetto di turbare l’ordine pubblico»; allo stesso capo d’imputazione fu assimilato anche il conte Giovanni Pagliacci Sacchi, tra gli animatori del centro d’emigrazione d’Orvieto e colpevole del tentativo d’insurrezione nel Viterbese del 1866. I tre imputati vennero trasferiti alle carceri addizionali politiche di Roma in via Giulia; nei confronti di Tommaso, sofferente d’epilessia, fu applicato un regime carcerario meno rigido ma, essendo stato segnalato che egli manteneva contatti con un altro imputato del processo, si procedette ad un suo ulteriore trasferimento al San Michele.

Qui, il 13 apr. 1868, Tommaso venne ucciso da un colpo di fucile sparato da una sentinella mentre si affacciava ad una finestra della cella; l’omicidio fu giustificato per legittima difesa dal direttore del carcere tenente Agostinelli, che scagionò il gendarme Valeri nonostante le testimonianze dei detenuti che lo avevano visto aprire deliberatamente il fuoco contro il detenuto inerme. Ad evitare possibili sommosse, la salma di Tommaso non fu riportata a Cellere. Il 29 maggio 1868 la corte condannava Francesco a cinque anni di carcere. Successivamente liberato e esiliato in Toscana, egli tentò di raggiungere Garibaldi rischiando nuovamente l’arresto. Dopo l’unificazione si ritirò a Roma a vita privata, ma dopo solleciti e insistenze dei concittadini fece ritorno a Cellere; con regio decreto del 18 nov. 1870 ne fu nominato sindaco. Riconfermato negli anni successivi, mantenne la carica di sindaco e consigliere anziano fino alla morte; per volontà testamentaria, parte dei suoi beni andarono ad opere di assistenza per gli indigenti di Cellere.

BIBL. – Spaccacerri 1912; Fonterossi 1962, pp. 23-29 (con rif. alle fonti d’archivio e bibl.); Carosi 1967, p. 26; San Martini Barrovecchio 1992, p. 370 (con rif. alle fonti d’archivio); De Rocchi 2000, pp. 89-94 (con rif. alle fonti d’archivio).

[Scheda di M. Giuseppina Cerri – Isri]