Pagliacci Sacchi Giovanni – Patriota (Viterbo, 1823 – S. Martino al Cimino, 24 apr. 1884).

La famiglia Pagliacci, originaria di Arlena di Castro e nobile di Canino dal 1698, fu aggregata alla nobiltà di Viterbo dal 1723; dal matrimonio del nonno Giacomo con Maria Felicia Sacchi ebbe origine il doppio cognome con cui la famiglia è nota. Figlio di Antonio junior (1789-1864), già guardia nobile di Napoleone, e di Francesca Menicozzi, G. seguì sin da giovane il dibattito politico e fu esponente del Circolo popolare di Viterbo (del quale fu consigliere e tribuno), nel 1848 combatté con i volontari romani in Veneto con il grado di tenente e partecipò nel 1849 alla difesa della Repubblica Romana.

Esule a Parigi, rientrò in Italia nel 1859 entrando nell’esercito sardo con il grado di capitano nel 39° reggimento fanteria. Nel 1860 fu aiutante maggiore del colonnello Masi, partecipando con i Cacciatori del Tevere alla liberazione di Orvieto, all’avanzata verso Viterbo e al successivo ripiegamento su Orvieto. Lì per sette anni fu «anima» del comitato degli esuli viterbesi impegnati nella preparazione dell’insurrezione nello Stato Romano e, particolarmente, nella Tuscia. Caposquadra della colonna di volontari che il 30 set. 1867 occupò Acquapendente e resistette a S. Lorenzo allo scontro con le truppe pontificie, assunse il comando nel tentativo di occupazione di Bagnoregio, tentando inutilmente la resi­stenza all’interno del convento di S. Francesco.

Costretto alla resa, il 5 ottobre fu fatto prigioniero e condotto a Roma nelle carceri del San Michele; in base agli atti della capitolazione dei garibaldini arrestati con lui a Bagnoregio, avrebbe dovuto essere rimesso in libertà, ma per la sua attività di cospiratore, la sua posizione fu inserita nella «Causa Viterbese di Lesa Maestà» affidata al giudice Giuseppe Maggi. Il capo d’imputazione nei suoi confronti (come pure dei fratelli Mazzariggi) era «Cospirazione e corrispondenza epistolare antipolitica all’effetto di turbare l’ordine pubblico». In suo favore, forse presso il cardinal Antonelli, l’11 gen. 1868 intercesse la principessa Letizia Bonaparte che si rivolgeva all’eccellenza reverendissima chiedendo che il conte, ammalato e rinchiuso al San Michele, fosse liberato al più presto.

Alla fine di maggio, il processo della causa denominata «Viterbese di Lesa Maestà» si concluse per P. con la condanna alla pena dell’ergastolo, dopo soli quattro giorni commutata su sollecitazione dell’ambasciatore francese in detenzione per venti anni. All’indomani della presa di Roma, il conte era ancora l’unico dei coimputati ad essere ancora detenuto nel carcere di San Michele. Riacquistata la libertà rientrò a Viterbo, dove diede alle stampe Canti del prigioniero. Strenna per l’anno 1871 (Viterbo,Tosoni, 1871).

Quando a Bagnoregio il 6 ott. 1878 fu posta la prima pietra del monumento ai caduti garibaldini, scrisse le parole di un inno che intitolò Carabina e che fu inviato a Garibaldi. Anche se ammalato, non cessò di partecipare alla vita pubblica della sua città, impegnandosi in particolar modo nella tutela e valorizzazione del patrimonio storico-culturale viterbese. Su sua proposta, nel 1874 il Consiglio comunale deliberò l’istituzione di una commissione per l’ordinamento dell’Archivio storico viterbese composta di tre membri originari della città, alla quale sarebbe spettato l’onere di svolgere un ricognizione dei documenti di maggiore rilevanza storica e «d’interesse cittadino» esistenti presso l’Ar­chivio comunale e presso le corporazioni soppresse. La questione, discussa e contestata in seno allo stesso Consiglio comunale, diede luogo nel 1875 alla costituzione della Commissione, della quale P. faceva parte con il professor Raffaele Belli e il canonico Luca Ceccotti. Quest’ultimo lavorò alacremente per tre anni all’ordinamento dell’Archivio, ma non riuscì a terminare quel Compendio di storia patria del quale era stato incaricato.

Dopo il tardivo matrimonio con Annalia Giacci celebrato nel dic. 1875 (dalla quale ebbe un figlio, Antonio), P. si dedicò negli ultimi anni della sua vita ad una prima sistemazione del materiale librario proveniente dalle corporazioni religiose soppresse (per un totale di circa 30.000 volumi) pervenuto alla Biblioteca comunale. Rivestì inoltre la carica d’ispettore scolastico di Viterbo e Civitavecchia. Morì a S. Martino al Cimino in casa di una sua defunta sorella ed ebbe funerali pubblici a Viterbo prima della sepoltura nel cimitero di S. Lazzaro.

BIBL. – Gaetano Badii in DR, IV, p. 759 (in cui è riportato come luogo di nascita Acquapendente); Fonterossi 1962, pp. 24, 28; Carosi 1967, pp. 25, 45 (con rif. alle fonti d’archivio); Signorelli, III/2, pp. 377 n. 11, 409, 418 n. 48, 465-466, 517 n. 47; Di Porto 1970, p. 245; Quattranni 1995a, pp. 18, 19-20; Angeli 2003, pp. 374 (per la famiglia pp. 373-376, 788-789 con rif. alle fonti d’archivio e bibl.). Fonti: Cedido, Archivio della parrocchia di S. Martino al Cimino, Liber mortuorum 1873-1906.

[Scheda di M. Giuseppina Cerri – Isri; integrazione di Luciano Osbat-Cersal]