Pamphili Camillo – Principe (Napoli, 21 feb. 1622 – Roma, 26 lug. 1666).
Figlio di Panfilio (m. 1639) e di Olimpia Maidalchini, unico nipote maschio di papa Innocenzo X, fu dapprima innalzato a cariche cittadine (priore dei caporioni nel 1639, conservatore nel 1643) e militari (generale di Santa Chiesa nel 1644, facendo costruire galere a Civitavecchia, con mediocre risultato), ma poi dallo zio fu fatto cardinale (14 nov. 1644) e come cardinal nipote e sovrintendente di tutto lo Stato della Chiesa assicurò l’onnipotenza della madre e accumulò cariche e onori (legato d’Avignone, cavaliere di Malta e priore di Capua nell’ordine, arcidiacono della cattedrale di Toledo, abate commendatario di Corbie, prefetto della Segnatura di Grazia, ascritto al patriziato di Venezia); ma poi, innamoratosi di Olimpia Aldobrandini principessa di Rossano (1622-1681), rinunziò alla porpora (21 gen. 1647) ed a ogni dignità ecclesiastica, incontrando così lo sdegno della madre e il disgusto del papa; le nozze con la principessa Aldobrandini, erede del suo grande casato e già vedova di Paolo Borghese, si celebrarono il 10 feb. 1647 nel casale di Torrenova sulla via Casilina, di proprietà della sposa; dopo le nozze, gli sposi vissero ritirati nella villa di Frascati, di proprietà della sposa, ma poi si ebbe la riconciliazione con Innocenzo X, soddisfatto di avere dei pronipoti, e la coppia tornò a Roma, abitando nel palazzo Aldobrandini (oggi Doria Pamphili) al Corso.
Dalle nozze nacquero cinque figli; Giovanni Battista ( 1648-1709), Flaminia (1651-1709, moglie di Bernardino Savelli, poi di Nicola Pallavicini), Anna (1652-1728, dal 1671 moglie di Giovanni Andrea Doria), Benedetto (1653-1730, futuro cardinale), Teresa (1654-1704, moglie del duca di Massa Carlo II Cybo).
Camillo fu il primo principe di San Martino al Cimino, feudo di cui prese possesso nel 1657, alla morte della madre; ebbe inoltre il marchesato di Montecalvello, il ducato di Montelanico, il principato di Valmontone e vari altri titoli feudali fuori del Lazio. Nel Lazio acquistò altre proprietà: il casale La Bottaccia a Castel di Guido, con la relativa tenuta (già proprietà Peretti, acquisto anteriore al 1641 per 145.000 scudi), destinata non solo alla produzione agricola ma come casino di caccia, tuttora di proprietà dei Doria Pamphili; una villa a Nettuno (acquisto del 30 set. 1648 dal principe Cesi) in cui svolse lavori di restauro e ampliamento, facendola decorare dal pittore Pier Francesco Mola; i feudi di Valmontone (principato, con la tenuta Fluminaria o Piombinara o Pimpinara), Lugnano (oggi Labico) e Montelanico (ducato, con le tenute Montelungo, Pruni e Colle di Mezzo), tutti vendutigli con atti del 26-29 apr. 1651 nominalmente dal giovane principe Carlo Barberini, de facto dal cardinal Francesco Barberini, al prezzo relativamente modesto di 687.298 scudi, presupposto per la riconciliazione tra i Pamphili e i Barberini); il marchesato di Gorga, sui Monti Lepini, vendutogli dal conte Marcantonio di Marsciano (atto autorizzato con chirografo papale del 31 dic. 1659; i rapporti tra Camillo e il venditore erano nati qualche anno prima per il servizio prestato da Orazio di Marsciano, nipote di Marcantonio, presso Camillo).
A Valmontone, idealmente destinata a divenire la «città panfilia», Camillo condusse i lavori, dopo l’abbattimento degli edifici preesistenti (1654), per la completa ricostruzione del palazzo baronale, che in pochi anni venne non solo edificato in forme grandiose, ma anche decorato all’interno da pittori eminenti (l’incarico fu dato a Francesco Mola, che per dissensi nel 1659 abbandonò l’opera citando P. in giudizio, dal 1661 i lavori furono affidati a Mattia Preti); il principe vi spese 600.000 scudi.
Uomo caritatevole (viva la sua preoccupazione per i «vassalli» e famoso il dono di 3000 rubbia di grano ai poveri in un solo giorno), ma di debole carattere, soprattutto a paragone della principessa Aldobrandini sua consorte (reciso il giudizio del contemporaneo cardinal Sforza Pallavicino: «Uomo tanto inferiore alla mediocrità degli altri, quanto la moglie superava la mediocrità delle altre donne»), si dilettava di poesia e filosofia, ma soprattutto «di piantar ville e giardini», passatempo che certo non gli sarà mancato nei giardini di famiglia a Roma, Frascati, Nettuno.
Fu sepolto nella tomba di famiglia a S. Agnese in Agone. Resta il ritratto, disegnato da Giovanni Battista Gaulli e inciso da L. Vischer (ed. in Giovanni Battista Falda, Villa Pamphilia, Roma ca. 1670).
BIBL. – Gualdo Priorato 1659 (con elogio di tono adulatorio); Ughelli 1667, pp. 86-87; Ciampi 1878a, pp. 122-123, 135, 141, 166, 173; Tomassetti, II, pp. 336, 445, III, p. 457; Silvestrelli, pp. 156, 158, 164, 168, 169; HC, IV, p. 27; Gigli 1958, pp. 273, 293, 295-296, 307, 379, 384, 386, 420, 441, 476, 707; Belli Barsali – Branchetti 1981, pp. 240, 249-250; Haskell 1985, p. 146; Lefevre 1990, pp. 165-170; Weber 1994, pp. 218, 823; DBI, vol. 80, pp. 667-670.
[Scheda di Saverio Franchi – Ibimus]