Petroselli, Luigi – Politico (Viterbo, 1° mar. 1932 – Roma, 7 ott. 1981).
Primo dei quattro figli di Giulio, operaio tipografo, e di Eufemia Fratini, il padre, antifascista, era costantemente sotto il controllo del regime con le perquisizioni domiciliari e l’incarcerazione preventiva a Sallupara, ogni qualvolta a Viterbo fossero previste visite del duce o di qualche alto gerarca: attivista del Partito Comunista, instancabile diffusore de «L’Unità», fu lui a trasmettere al figlio la passione per la politica e per gli ideali del socialismo, anche se in Luigi la maturazione avvenne attraverso scelte ed esperienze del tutto personali. Durante le elementari, in Luigi nacque il desiderio di andare in seminario e, nonostante la famiglia tentasse di dissuaderlo, fu irremovibile, fino alla crisi devozionale che si manifestò verso la fine del ginnasio. Durante il periodo seminariale, negli anni dell’adolescenza, era andato maturando il suo interesse per la politica ma, pur lasciando il seminario e frequentando il liceo classico statale per poi iscriversi alla facoltà di lettere e filosofia presso l’Università di Roma, rimarrà sempre rispettoso della Chiesa e delle gerarchie ecclesiastiche.
Nel 1950, a 18 anni, si iscrisse al Partito Comunista e, dopo un anno, come attivista provinciale del partito, era alla testa delle lotte contadine per l’assegnazione delle terre incolte e mal coltivate. Nel corso di una di queste lotte, l’occupazione della tenuta Colonna di Bomarzo (30 sett. – 2 ott. 1951) come recita una relazione della Prefettura al Ministero dell’Interno «l’agitatore Petroselli Luigi
Nello stesso periodo, nel 1956, i «fatti d’Ungheria» lo posero di fronte a una crisi profonda che lo spinse a scrivere una lettera di dimissioni dal partito. Chiese al padre di portarla in Federazione, ma Giulio non lo fece: il suo dissenso gli pesò a lungo nel lavoro politico, anche se – come scrisse in seguito Cesare Ferruzzi, allora nella segreteria della Federazione – «entrò in crisi nell’ottobre 1956 coi fatti d’Ungheria ma non abbandonò mai il partito». Quando tornò dal servizio militare, venne estromesso da tutti gli organismi direttivi, però i dirigenti della Federazione (allora ne era segretario Enrico Minio) non volevano perdere un «quadro» come lui e alla fine gli proposero di lavorare nella costituenda organizzazione degli artigiani: l’incarico venne accettato e tenuto per alcuni anni, contribuendo alla costruzione dell’Unione provinciale degli artigiani di Viterbo, aderente alla Confederazione nazionale dell’artigianato. Dal 1957 R fu corrispondente da Viterbo de «Il Paese».
Nel 1959 l’incarico di costruttore organizzativo della zona della Maremma segnò il reintegro al lavoro politico in Federazione, insieme all’impegno di corrispondente de «L’Unità» (per la sua attività giornalistica subirà due processi). Alla fine dello stesso anno, dopo il VII Congresso provinciale del partito, venne eletto nel Comitato federale, poi rientrerà nella Segreteria. Nel 1961 entrò nel Comitato direttivo della Federazione e fece parte del Comitato regionale del Partito Comunista. In poco tempo quindi riconquistò e rafforzò il suo ruolo di dirigente comunista provinciale, e insieme fece esperienza pubblica, istituzionale, con l’elezione al Consiglio comunale di Viterbo (1960-1979). Con lui si affermarono le condizioni per una guida viterbese della Federazione, e infatti all’inizio del 1962 fu eletto segretario della Federazione comunista viterbese, evento con il quale terminò la fase dei segretari inviati dalla Direzione nazionale: si rafforzò quindi il gruppo dirigente provinciale.
In questo ruolo P. si trovò ad affrontare i problemi di un territorio prevalentemente agricolo che riceveva negativamente i contraccolpi del miracolo economico. Nel partito dovette vedersela anche con i famosi «ducati» di Acquapendente, Tuscania e Civita Castellana, dove ciascun responsabile, come denunciato da Adamo Zanelli, «opera per conto proprio e lavora per realizzare il “socialismo” nel proprio ambiente, senza vedere e senza interessarsi a quello che avviene nei paesi vicini, in Italia e nel mondo». Dal 1965 al 1970 P. fu al Consiglio provinciale di Viterbo, dove condusse la lunga battaglia politica intorno al piano regolatore generale di Viterbo e, tra le altre, le lungimiranti lotte per le autonomie locali e la creazione della Regione. Come segretario della Federazione il suo agire politico si mosse nel solco del «partito nuovo» di Togliatti, della «via italiana al socialismo» e di quella linea di costruzione delle alleanze sociali e politiche definite nelle tesi programmatiche dell’VIII Congresso del Partito Comunista. Nelle tornate elettorali lavorò per la formazione di liste unitarie di sinistra, aperte alle forze democratiche indipendenti. Nel 1966 sposò Aurelia Sergi e, all’XI Congresso nazionale, fu eletto nel Comitato centrale. Rimase segretario della Federazione fino al febbr. 1969, quando fu chiamato a Roma a dirigere il Comitato regionale del Lazio al posto di Enrico Berlinguer. Nel 1972, al XIII Congresso del partito, venne riconfermato nel Comitato centrale ed eletto nella Direzione nazionale, incarichi che gli saranno riconfermati nei successivi congressi nazionali. Negli anni precedenti, pur chiamato come giornalista a «L’Unità», il partito a Viterbo non lo aveva lasciato andare.
Nel 1970 fu nominato segretario della Federazione comunista romana e nel 1971 al Consiglio comunale di Roma; tornò a dirigere il Comitato regionale tra il 1976 e il 1979. Guidò il partito di Roma innovando i metodi di direzione e costruendo un progetto per il governo democratico della metropoli. Le elezioni politiche del 1976 videro la conquista alle sinistre della capitale: P., capolista per il Partito Comunista al Comune di Roma, superò in preferenze Giulio Andreotti. Si costituì la Giunta di sinistra con alla guida Giulio Carlo Argan. Dopo le dimissioni di Argan, il 27 sett. 1979, P. fu eletto sindaco di Roma. Dopo le elezioni del 1981, nelle quali raccolse 130.000 voti di preferenza, venne rieletto sindaco il 17 settembre: fu il risultato della sua infaticabile opera di tessitura delle alleanze che aveva permesso la ricostituzione di una maggioranza di sinistra nella capitale, nonostante la rottura della «solidarietà nazionale» e il cambio di maggioranza alla Regione Lazio operato dai socialisti.
La sua salute non era buona: nel 1972 era stato colpito da una trombosi che lo aveva lasciato leggermente claudicante e inoltre soffriva di disturbi cardiaci, ma furono comunque anni di intenso lavoro politico che, unito alle sue doti umane, lo fecero diventare una personalità pubblica fortemente stimata e alla quale il ruolo di sindaco di Roma aggiunse visibilità e prestigio. La sua breve e intensa esistenza si spezzò all’improvviso, al termine di un intervento al Comitato centrale del Partito Comunista, il 7 ott. 1981. Il nome della Giunta Petroselli è indissolubilmente legato a una feconda stagione della storia politica e amministrativa della capitale che vide l’avvio e la realizzazione del risanamento delle borgate, dei parchi archeologici, della metropolitana, dei servizi sociali alle fasce cittadine più deboli.
BIBL. e FONTI – AS Viterbo, Relazioni mensili della Prefettura al Ministero dell’Intemo, 1951 – genn. 1956; Sentenza del Tribunale di Viterbo n. 299, 2/12/1952. APC, MF 0430, p. 1258, MF 0450, p. 2136, MF 026, p. 627, MF 0450, pp. 2134-2144, MF 0482, p. 2605, MF 026, p. 630, MF 0463, nota di Cesare Ferruzzi, MF 026, p. 627, MF 0500, p. 1589, nota di Mario Berti, MF 0446, p. 1031. Necrologio, «L’Unità», 8 ott. 1981; Tutolo et al. 1981; Angela Giovagnoli, Luigi Petroselli. Appunti per una biografia, in http://spazioinwind.libero.it/ecinwind/Parliamone/Petroselli/notebio.htm; A. Massi, Il compagno Petroselli. Dal Seminario al Campidoglio, Viterbo, Quatrini, 2016
[Scheda di Gabriella Spigarelli – Fgb]