Petti – Famiglia (Caprarola, secc. XV-XVIII)
Famiglia nobile di Caprarola, attestata dal tardo Medioevo, presente per secoli nella vita civile e militare di Caprarola, tuttora fiorente a Caprarola e a Viterbo. Fra essi uomini di spada, di legge, di chiesa, notai, frati, cavalieri. Su una parte del distrutto castello dei di Vico fu eretto il loro palazzo di Caprarola, sito dopo il ponte delle Monache, trasformato nei tempi ma d’impianto cinque-secentesco ancora riconoscibile, recante l’arme araldica della famiglia sopra il portale bugnato; nel sec. XX vi abiterà Camillo Totonelli, scrivendovi libri e articoli su Caprarola e sul palazzo Farnese.
All’epoca dei lavori di completamento di quest’ultimo, vi ebbero a che fare, in quanto legati ai Farnese, Domenico, priore del Comune (1587), Rutilio (1585) e il figlio di Rutilio Tommaso (Caprarola 1547 – Roma 1619); gli stretti rapporti con l’architetto che dirigeva i lavori, Giovanni Domenico Garzoni, portarono nel 1591 alle nozze tra una P., Aurelia, e il figlio di Garzoni, Giovanni Stefano.
Curzio (Caprarola 1633 – ivi 31 dic. 1703), insieme alla moglie Maria Boschetti di Ronciglione (1630-1701), beneficò la chiesa di S. Teresa dei Carmelitani Scalzi di Caprarola designandola erede universale dei suoi beni, e fu perciò commemorato da quei religiosi con iscrizione apposta nella medesima chiesa.
Esperto di diritto fu invece Giuseppe (o Giuseppe Maria), nato a Caprarola il 14 marzo 1637 e vissuto a Roma come «aiutante di studio» dell’uditore della Sacra Rota (dal 1706 cardinale) Alessandro Caprara, nel qual servizio rimase per oltre cinquant’anni, dal 1658 alla morte di Caprara (1711). Visse nella dimora di quel prelato a piazza Navona, maneggiando affari di notevole portata (civili, amministrativi, ecclesiastici) e delicate questioni diplomatiche (Caprara era agente in Roma degli Stuart, sovrani spodestati di Gran Bretagna). Nel palazzo di piazza Navona morì a quasi 102 anni il 24 feb. 1739; fu sepolto a S. Apollinare. Amante di lettere, aveva fatto parte dell’Accademia degli Umoristi (ca. 1660); scrisse versi per la morte del duca di Modena Francesco d’Este, editi in una raccolta di Giovanni Battista Manzini (Il rogo della fenice, Bologna 1659). Fece anche parte dell’Accademia degli Intrecciati, sodalizio letterario tra gli uomini di legge della città, collaborando alla loro antologia intitolata Fasti degli Intrecciati (Roma 1673).
Forse di questa famiglia di Caprarola fu pure un contemporaneo di Giuseppe, Giovanni Antonio, nato però a Canepina (sulle falde del Monte Cimino presso Viterbo); figlio di un Domenico, era appassionato di teatro e il libraio-editore Francesco Leone (che aveva bottega nello stesso edificio dove abitava Giuseppe) gli dedicò l’«opera scenica» I danni dell’equivoco, una tragicommedia in prosa del prelato toscano Valerio Inghirami (1677). Dieci anni dopo era testimone in una chiesa romana alle nozze tra il ricco mercante Stefano Sebastiano Bolis e la nobile Anna Maria Lolli di Tivoli.
Più difficilmente si può attribuire alla famiglia di Caprarola il tenore Giuliano, attivo nella seconda metà del Settecento: nei libretti è detto «romano», tuttavia iniziò la sua attività come cantore stabile della cattedrale di Viterbo (1752). Comunque i rapporti dei P. con Viterbo sono attestati da nozze con famiglie di quella città (Carelli, Fiorelli, Paoloni, Primomi).
Fonti e Bibl. – AVR, Parr. di S. Luigi de Francesi, Stato delle Anime 1698, c. 3; Parr. di S. Stefano del Cacco, Matr., IV, ad diem 9 apr. 1687. Valesio, VI, p. 208; Marocco, XIV, pp. 108-109; Maylender, III, pp. 336-337; AIS, II, n. 2510; Fagliari Zeni Buchicchio 1985-86, pp. 19, 21, 23; Franchi 1988, p. 506; Sartori, Indici, II, p. 515; Passini 2002 (anche in internet: www.icscaprarola.it); Angeli 2003, pp. 113, 228, 378, 430.