Rosa, Salvatore – Pittore (Napoli, 21 lug. 1615 – Roma, 15 dic. 1673).
Nacque da Vitantonio de Rosa, agrimensore, e da Giulia Greca. Nel 1632, nei documenti relativi alle nozze tra la sorella Giovanna e Francesco Fracanzano, Salvatore si firma pittore. Ad una prima formazione umanistica unì subito l’interesse per la pittura, studiando dapprima presso lo zio Antonio Greco, poi presso il cognato Fracanzano e successivamente nelle botteghe di Ribera e di Aniello Falcone. Ventenne si trasferì a Roma, ospite dell’amico Gerolamo Mercuri dal quale fu presentato al cardinale Giovanni Maria Brancaccio. È proprio al cardinale napoletano che si deve la prima importante commissione pubblica affidata al Rosa.
Nominato vescovo di Viterbo, nel periodo immediatamente successivo al 25 nov. 1638 (prima visita alla nuova diocesi) il cardinale incaricò il R. dell’esecuzione della tela raffigurante l’Incredulità di san Tommaso per l’altare maggiore della chiesa viterbese della Confraternita dell’Orazione e Morte che era intitolata a S. Tommaso. In quella chiesa la tela era rimasta sino al 1917, poi fu restaurata e trasferita nella chiesa di S. Maria della Verità: nel frattempo la Confraternita era stata assorbita dalla Congregazione di Carità e quindi la tela divenne di proprietà del Comune. Tra il 1939 e il 1943 la tela fu restaurata e, alla fine degli eventi bellici, ricollocata nel nuovo allestimento curato da Italo Faldi del Museo Civico. La tela reca in basso la firma «Salvator Rosa neapolitanus f.» e, nell’estrema destra del dipinto, un autoritratto dell’artista, a conferma della considerazione in cui il pittore teneva tale commissione.
Ancora nella capitale della Tuscia, dove il R. conobbe il poeta Abati, eseguì sempre per il Brancaccio uno Scherzo di ninfe e dì tritoni sul muro di una loggia, e altre commissioni «per i buoni uffici del maestro di casa e conterraneo Gerolamo Mercuri» (Forlani Tempesti). Dell’Incredulità di san Tommaso, uno dei pochissimi dipinti destinati a una luogo pubblico, si conoscono lo schizzo compositivo del Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma e uno Studio di Cristo conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. A Vitorchiano, nell’Auditorium comunale, ne è conservata una copia di anonimo settecentesco. Al 1640-1649 risale il soggiorno fiorentino del R., periodo in cui cominciò a scrivere le Satire, strettamente collegate alla produzione pittorica. Tornato a Roma, vi rimase per il resto della sua vita. Specializzatosi nella pittura da cavalletto, paesaggi, soggetti storici e stoici, ritratti, allegorie, stregonerie, il R. fu un «dissenziente». Manifestò questo suo atteggiamento rifiutando lavori su commissione e preferendo esporre i propri quadri nelle mostre annuali che si tenevano al Pantheon o in S. Giovanni decollato e assicurando diffusione alle sue opere grazie alle incisioni. Alla sua morte fu sepolto in S. Maria degli Angeli.
BIBL. – Salerno 1975; Monica Preti in La pittura in Italia. Il Seicento, II, pp. 868-869; G. Signorelli, 1964, pp. 49-50; S. Rinaldi, I dipinti del Museo Civico di Viterbo, Viterbo, 2004, pp. 95-97.