Tondi Ermenegildo – Patriota (Bagnaia, 28 nov. 1818 – Roma, 9 lug. 1899)
La famiglia Tondi, originaria di Siena ma attestata a Bagnaia dalla seconda metà del sec. XV, sviluppò e mantenne una frequentazione assidua della città di Viterbo. Figlio di Filippo e di Maddalena Brussani Graziani, fu educato dallo zio materno Carlo che lo allevò ai valori della laicità; interessato alla matematica e al disegno, il ragazzo dovette rinunciare per esigenze familiari allo studio dell’ingegneria e ripiegò sui corsi di architettura, dei quali risultava studente nel 1838. Vicino all’ambiente liberale viterbese, non rimase coinvolto nelle vicende che seguirono i moti in città del 1837; l’anno successivo comunque si allontanò da Viterbo per accompagnare in Toscana il cognato Luigi, stabilendosi con lui a Livorno.
Rientrato a Viterbo, nel 1844 sposò la giovanissima Innocenza Ansuini, che gli fu sempre a fianco nella vita e nelle rivendicazioni politiche. Dal matrimonio nacquero nove figli, tra gli altri si ricordano: il primogenito Giovanni, che più da vicino subì le vicende familiari e segui il padre anche nell’impegno civile, e Adelaide detta Alina (n. 1858), che sposerà il giornalista ed esponente del repubblicanesimo italiano Felice Albani e fu attiva a sua volta nel partito mazziniano. A Viterbo, T. s’impiegò presso il Comune con l’incarico di cassiere ed esattore provinciale, ruolo che gli consentiva, sia per motivi d’ufficio che per interessi personali, di mantenere, senza destare i sospetti della polizia pontificia, una fitta rete di relazioni. Apriva perciò la sua casa a frequenti riunioni che, dietro l’apparente facciata di una tranquilla serata mondana, celavano discussioni e progetti di chiaro stampo liberale e mazziniano. Nella sua casa viterbese (ora non più esistente in quanto distrutta dai bombardamenti del 1944) si tenevano le riunioni del Comitato segreto d’insurrezione della città e provincia di Viterbo. Nell’ambito del comitato viterbese, affiancando il presidente Mencarini in particolare a partire dal 1854, T. svolse un ruolo importante di contatto tra le cellule sovversive dei comuni limitrofi. Scoperta la congiura mazziniana che si stava organizzando in città, T. riuscì a sfuggire alla cattura e a dedicarsi con maggiore energia a tenere le fila tra il Comitato d’azione di Firenze e quello di Civitavecchia, Viterbo e Roma.
Con la spedizione Zambianchi nel 1860 il ruolo di T. si fece ancor più definito: fu organizzatore e fiancheggiatore delle colonne di disertori delle truppe pontificie confluita ad Orbetello. Quando poi si ebbe certezza che la colonna capitanata dal Masi avrebbe raggiunto Viterbo, T. fu incaricato di condurre la trattativa con il comandante dei gendarmi pontifici di stanza in città. Presentatosi al comandante Lauri e all’ispettore di polizia Bellardini, li convinse ad abbandonare la città ormai pronta all’insorgenza onde evitare inutili spargimenti di sangue. Il governo pontifìcio venne dichiarato decaduto e il 21 settembre Viterbo passò sotto una commissione deputata al governo della città e della provincia, presieduta dall’avvocato Emanuele Martucci. Costretto all’esilio alla caduta della commissione nell’ott. 1860, si rifugiò con altri esuli viterbesi nella zona di Osteria del Chiarone, fiume che segnava il confine tra lo Stato Pontificio e la Toscana. Di lì si spostò a Orbetello, poi a Orvieto; a novembre consegnò al Pepoli i risultati del plebiscito nel Viterbese, nel tentativo di far partecipare Viterbo al plebiscito dell’Umbria per l’annessione al Regno d’Italia.
Frattanto, le tensioni interne al gruppo di fuoriusciti della Tuscia erano ormai esplose con violenza: T., uomo d’azione, non tollerava prudenza e temporeggiamenti e criticava ferocemente Angelo Mangani, con il quale da tempo erano aspre le divergenze politiche e personali. Il moderatismo del Mangani e il sostegno che il Comitato Nazionale, di cui era membro, riscuoteva in ambiente governativo costituivano i principali motivi di dissidio. Il 26 dicembre, sconvolto dalla notizia dell’arresto a Viterbo della moglie Innocenza e del figlio adolescente Giovanni, rassegnò le dimissioni all’interno del Comitato; non cessò comunque la sua attività, portata avanti spostandosi con la moglie e i figli negli anni successivi tra Orvieto, Firenze e Foligno. Nel set. 1867 partecipò come commissario volontario all’invasione di Acquapendente, precedendo poi di qualche ora la colonna garibaldina che il 28 settembre raggiunse Viterbo. Membro dello stato maggiore di Acerbi con il grado di capitano, entrò a far parte della Giunta di governo e di quella comunale (di cui il figlio Giovanni fu segretario). Di nuovo esule ad Orvieto al ristabilimento del governo pontificio, continuò ad intervenire nella questione viterbese manifestando alla Camera dei Deputati, a nome degli esuli della Tuscia, il malcontento per non aver tenuto conto dei plebisciti favorevoli all’annessione. Arrestato ad Orvieto nell’ag. del 1869 e scarcerato tre mesi dopo, si trasferì a Foligno.
Rientrò a Viterbo dopo l’annessione, in precaria situazione economica anche per la perdita del patrimonio familiare la cui gestione, dall’esilio della moglie, era stata affidata ad estranei. Fiaccato da una grave malattia nel 1886, si trasferì a Roma con Innocenza alla morte prematura di una figlia e, rimasto vedovo nel 1896, decise di trattenersi a Roma, presso le figlie Annetta e Adele. Del T. rimangono numerose testimonianze scritte, spesso caratterizzate da forti accenti polemici nei confronti del Comitato Nazionale; l’intento narrativo dell’autore si evidenzia in ogni pagina del manoscritto di Ricordi (1859-61) conservato presso la Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo e nel Memoriale datato 6 nov. 1861 presso la medesima biblioteca. Si riferisce in particolare alla spedizione del 1867 la Relazione conservata nell’Archivio Maineri, nella quale T. polemizza fortemente con il Comitato e i suoi membri, accusati addirittura di aver sabotato l’invasione del 1867. Nel lungo Memoriale autografo conservato a Roma (MCRR, v. 1033) la narrazione degli eventi arriva alla morte della moglie (1896); T. divide in capitoli la sua storia premettendovi addirittura una sorta di introduzione nella quale descrive la città di Viterbo. Non sempre puntuale nei riferimenti, appassionato e senza alcuna esigenza d’obiettività (l’astio per Angelo Mangani emerge quasi in ogni pagina), il Memoriale costituisce comunque una fonte di riferimento importante, seppure viziata dal personalismo e dal desiderio di far risaltare virtù e sofferenze personali.
BIBL. e FONTI. – MCRR, Fondo Ermenegildo Tondi, b. 1096; ms. 1033. – Carosi 1967, pp. 37, 39, 43; Signorelli, III/2, pp. 410-11, 419, n. 52, 465, n. 12, 474, n. 51, 475-476, nn. 54, 57, 58, 486, n. 6; Ruspantini 1978, pp. 8, 28, 30, 51 (con rif. alle fonti d’archivio); Biondi 1984, p. 53 (con rif. alle fonti d’archivio); Angeli 2003, p. 529 (sulla famiglia Tondi pp. 527-530, con rif. alle fonti d’archivio e bibl.).