Valentini Vincenzo – Patriota (Canino 1808 – Porretta Terme 1858).
Nacque da una famiglia di proprietari terrieri appartenente alla borghesia locale, vicina a Luciano Bonaparte che da poco tempo aveva acquistato dal papa Pio vii il feudo di Canino e Musignano. Dopo gli studi nel seminario di Montefiascone e la laurea in legge conseguita all’Archiginnasio romano, V. rientrò stabilmente a Canino per dedicarsi all’amministrazione dei beni di famiglia, frequentando spesso il castello di Musignano trasformato dai Bonaparte in villa di campagna. S’innamorò, corrisposto, della principessa Maria Bonaparte, più giovane di lui di dieci anni, ma la relazione trovò una forte opposizione nei membri della famiglia della ragazza. Esasperati, nel giugno 1836 i due giovani fuggirono insieme; dopo un tentativo di matrimonio segreto fallito per l’esitazione del parroco di Canino, timoroso della reazione di Luciano Bonaparte, la situazione si risolse solo grazie all’intervento della madre del V., la contessa Fortunata Vannini, che prese sotto la sua protezione la giovane Maria, facendosi personalmente garante per la giovane. Le nozze furono celebrate nella chiesa di famiglia il 27 giugno 1836, in un momento di particolare difficoltà per la famiglia della sposa: i Bonaparte erano in lutto per la recente scomparsa della nonna di Maria, Letizia Ramolino Bonaparte e per il grave fatto di sangue che solo un mese prima aveva visto protagonisti i fratelli Pietro Napoleone e Antonio i quali, sorvegliati dalla polizia, avevano reagito al loro arresto nella piazza del mercato di Canino uccidendo un carabiniere pontificio e ferendone molti altri. Pietro Napoleone, ferito, era stato arrestato, mentre Antonio era riuscito a fuggire riparando nel granducato di Toscana; lo stesso V., che si trovava in compagnia dei Bonaparte e a sua volta era sorvegliato dalla polizia, era rimasto ferito.
Convinto liberale, V. si adoperò affinché una parte dei terreni comunali gravati con servitù di pascolo dall’Università dei Bovattieri fosse frazionata e assegnata ai contadini. In proposito diede alle stampe l’opuscolo Dimostrazione del diritto e della utilità del progetto tendente a rendere a coltura la bandita pubblica di Pian dei Pozzi in Canino (Viterbo, Monarchi, 1837). Nel 1838 il consiglio comunale di Canino deliberò il disboscamento e l’assegnazione ai contadini di circa 70 ettari di terreno nella tenuta di Pian dei Pozzi; relatore della mozione fu proprio il V. sostenuto dai consiglieri vicini ai principi Orazio Falconieri (proprietario della tenuta Roggi) e Luciano Bonaparte.
Con la morte del suocero, avvenuta il 29 giugno 1840, il V. prese ad amministrare anche gli affari dei Bonaparte; coltivò parallelamente la passione per l’archeologia che da tempo aveva condiviso con il suocero, partecipando personalmente agli scavi archeologici nelle estese necropoli di Vulci, che restituivano in quegli anni reperti di rara bellezza.
Con il 1848 ebbe inizio la sua partecipazione attiva alla vita politica, prima con l’assunzione del ruolo di capitano della Guardia Civica di Canino e poi come vicepresidente dell’Associazione castrense, composta da cittadini d’orientamento liberale delle quattordici comunità che anticamente avevano fatto parte del ducato di Castro e che perseguiva 1’«Indipendenza, ed unità nazionale, sviluppo progressivo della libertà, miglioramento intellettuale, morale e materiale del popolo». Eletto alla Costituente Romana con 1.965 voti nelle elezioni suppletive del 12 febbr. 1849, si trasferì a Roma e collaborò attivamente col cognato Carlo Luciano Bonaparte principe di Canino e Musignano che gli affidò il Ministero delle Finanze repubblicano. Con la caduta della Repubblica, escluso dall’amnistia concessa da Pio IX al suo rientro a Roma, si recò in esilio a Firenze seguito dalla moglie e dai quattro figli.
Nel 1858 mentre si trovava per un ciclo di cure termali ai Bagni della Porretta (allora in territorio pontificio, oggi Porretta Terme) in compagnia del figlio maggiore Valentino, si uccise sparandosi un colpo di pistola. Sui motivi che lo portarono al suicidio subito si levarono notizie contrastanti; secondo voci ben presto diffuse il conte era sconvolto dal fatto di essere stato prescelto per compiere l’attentato a Napoleone III, reo di aver ripristinato nello Stato Pontificio l’autorità della Chiesa. La vedova Maria Bonaparte attribuì invece il cedimento del marito al trauma causato dalla concessione da parte del papa di un’inattesa amnistia al posto del permesso temporaneo richiesto dal V. per potersi recare alle cure termali in territorio pontificio. L’inaspettata autorizzazione, piena di significati per chi ormai era esule da nove anni, avrebbe generato nella sua mente una sensazione di disonore, resa intollerabile anche dal «furore subitaneo e intermittente» causato dall’uso di chinino.
Bibl. – Signorelli 1940, pp. 477-482 (con rif. alle fonti d’archivio e bibl.); Della Chiesa 1956, pp. 753-758; Carosi 1967, p. 26; Silvagni 1971, III, pp. 210, 214; Barbini 1983a, p. 28; Barbini 2000, pp. 55-61 (con rif. alle fonti d’archivio e bibl.); Severini 2006, p. 65.