Bonaparte, Carlo Luciano – Principe, politico (Parigi, 24 mag. 1803 – ivi, 29 lug. 1857).
Nato dalle seconde nozze di Luciano fratello di Napoleone con Alexandrine de Bleschamp vedova Jouberthon; per le note divergenze tra il padre e Napoleone, pochi mesi dopo la sua nascita la famiglia dovette lasciare la Francia per raggiungere Roma, dove venne benevolmente accolta da papa Pio VII e dall’alta società romana, ma la crescente tensione tra il pontefice e l’imperatore e l’occupazione francese della città, costrinsero Luciano a tentare nel 1810 la via degli Stati Uniti; intercettato dagli inglesi fu confinato insieme alla famiglia in un castello del Worcestershire.
Nel 1814, alla restaurazione pontificia, Luciano riuscì a tornare a Roma sotto falso nome e ricevette dal papa il titolo di principe di Canino, località del viterbese dove decise di stabilirsi insieme ai figli. A Canino Carlo Luciano studiò sotto la guida di un precettore, il francescano Maurizio da Brescia fedele collaboratore del padre, che lo iniziò allo studio delle discipline scientifiche. Nel 1823, ricevuto dal papa il titolo di principe di Musignano, sposò a Bruxelles la cugina Zenaide, figlia di Giuseppe Bonaparte, con la quale partì per gli Stati Uniti. Qui ebbe modo di approfondire particolarmente gli studi di zoologia, dedicandosi alle osservazioni sulle procellarie; acquisì inoltre una certa notorietà negli ambienti scientifici americani con la pubblicazione di un’opera sulle varietà di uccelli del Nord America. Ritornato a Roma nel 1828 concentrò tutto il suo impegno nella ricerca scientifica, spostandosi prima a Firenze, poi in Francia e nel resto d’Europa; si interessò sempre di più ai musei di storia naturale ed ebbe modo di stabilire una fitta serie di relazioni in ambito accademico.
Si dedicò inoltre alla realizzazione del grandioso progetto di riunire in un’unica opera le descrizioni già esistenti della fauna regionale italiana (Iconografia della fauna italica per le quattro classi di vertebrati, Roma, Salviucci, 1832-1841). Nel 1838 ottenne dal granduca di Toscana il permesso di organizzare un grande congresso scientifico, sull’esempio di quelli stranieri: B. fu il promotore del congresso di Pisa (1839) e cercò di imporre le sue direttive anche ai congressi degli anni seguenti che si svolsero nelle maggiori città della penisola (Roma esclusa per l’avversione del papa a tali iniziative). Particolare successo ebbe il congresso di Genova ( 1846) cui per la prima volta fu possibile partecipare anche ai sudditi dello Stato Pontificio grazie alle concessioni politiche del nuovo papa Pio IX; il congresso si trasformò così in una vera e propria convenzione nazionale.
Frattanto, alla morte del padre nel 1840, il secondo principe di Canino iniziò a frequentare assiduamente gli ambienti delle corti e di governo. Dal 1847 B. si dedicò all’attività politica vera e propria. Diventò un esponente del Circolo Popolare di Roma distinguendosi nell’organizzazione di imponenti manifestazioni di popolo e avanzando richieste sempre più radicali rispetto alle concessioni del papa. Anche il congresso degli scienziati di Venezia di quell’anno fu ormai occasione per B. di manifestazioni popolari e discorsi nei quali, accanto all’esaltazione del papa riformatore, si affacciò il tema della «gloria e prosperità nazionale». Accompagnato alla frontiera dalla polizia austriaca, al rientro a Roma subì un lungo processo per il quale egli richiese la difesa di F. D. Guerrazzi. La dichiarazione d’incompetenza da parte del tribunale trasformò quello che nell’intenzione del governo pontificio avrebbe dovuto essere un procedimento esemplare, in un motivo di accrescimento della sua popolarità.
Allo scoppio della guerra con l’Austria, B. partì per il teatro delle operazioni, ma non partecipò ai combattimenti: svolse missioni presso il generale Guglielmo Pepe ad Ancona e frequentò il quartier generale di Carlo Alberto. Eletto al Consiglio dei Deputati dello Stato Pontificio, non perse occasione per manifestare la propria opinione, criticando ferocemente i ministeri moderati di Mamiani e di Fabbri e difendendo la sovranità popolare. La sua posizione assunse toni sempre più radicali in ogni ambito di governo; fu acceso sostenitore della guerra contro l’Austria, nonostante l’allocuzione papale del 29 aprile. Accanto a Pietro Sterbini, seppure talvolta in disaccordo con lui, B. proseguì in città l’attività all’interno del Circolo Popolare che ormai contava sempre maggiore consenso. Con l’assassinio di Pellegrino Rossi, B. e Sterbini vennero immediatamente indicati come mandanti dell’omicidio; B. (la cui responsabilità diretta non fu mai provata) dichiarò strenuamente la sua innocenza, al punto da battersi a duello a Parigi con il figlio del Rossi.
Nel 1849, B. fu eletto alla Costituente sia a Roma che a Viterbo, che decise di rappresentare; fu vicepresidente dell’assemblea con l’incarico di presiedere la commissione per l’elaborazione della nuova costituzione. Sotto il peso di una diretta responsabilità, B. abbandonò definitivamente atteggiamenti passionali e si mostrò lucido interprete di istanze che riteneva profondamente giuste. Non ebbe l’animo del gregario, né la sua origine gli consentiva di avere un’ottica politica strettamente limitata alla realtà immanente; se con Sterbini ebbe frequenti scontri perché gli rimproverava di non avere una visione d’insieme che andasse al di là dei confini di Roma, non trovò l’accordo neanche con Mazzini, del quale rifiutò l’empito messianico che troppo contrastava con la sua razionalità di scienziato. B. chiese la libera espressione dei partiti e rivendicò i diritti del Parlamento, rifiutando il rafforzamento del potere esecutivo. Anche il testo della Costituzione della Repubblica, alla cui stesura partecipò, non soddisfece pienamente le sue aspettative: rifiutò l’accenno ad una religione di stato, chiese la concessione della cittadinanza della Repubblica a tutti gli individui nati sul territorio italiano e l’investitura del potere esecutivo per espressione popolare.
Attivo nella difesa della città, nel luglio 1849 s’imbarcò a Civitavecchia diretto in Francia, dirottato in Inghilterra per ordine del cugino Luigi Napoleone, ma riuscì comunque a stabilirsi a Parigi, impegnandosi a non proseguire nell’attività politica. In realtà continuò a frequentare la dissidenza antimazziniana. Un suo sbarco a Civitavecchia nel 1852 fece pensare ad un tentativo di riaccendere la rivolta. Espulso dallo Stato Pontificio, rientrò a Parigi, dove trascorse gli ultimi anni cercando di mettere a frutto la ricerca di quasi trent’anni nel campo zoologico con la stesura del Conspectus generimi avium (Leyda, 1850), per la realizzazione del quale trascorse circa otto mesi a Leyden per un confronto tra i suoi cataloghi e le collezioni presenti nel museo di storia naturale di quella città. Nominato direttore del Museo di storia naturale di Parigi, morì nella capitale francese.
BIBL. – Maurizia Cappelletti Alippi – Fiorella Bartoccini in DBI, 11, pp. 549-557; Diz. storico politico 1971, pp. 194-195.