Celsi – Famiglia (Nepi, Secc. XV-XVII)

Famiglia tra le più importanti di Nepi, con palazzo sulla piazza del Comune e notevole patrimonio fon­diario nel territorio circostante, fiorita nei secc. XV- XVII. Dapprima d’importanza locale (un Giacomo, notaio, rogava atti tra gli ultimi anni del Quattro­cento e i primi del Cinquecento), salì a maggior gra­do di fortuna per i legami con i Farnese.

Ascesi que­sti al papato con Paolo III nel 1534, subito i fratelli Giovanni e Ascanio si stabilirono a Roma, ancor più favoriti quando, tre anni dopo, il dominio feu­dale su Nepi fu assegnato a Pier Luigi Farnese, fi­glio del pontefice. Fin dal 1528 avevano acquistato dall’abbazia di S. Paolo l’ampia tenuta di Stracciacappe, con il laghetto omonimo (oggi prosciugato), tra la via Cassia e il lago di Bracciano. Nonostante una parte malarica, racchiusa in una conca, ne aves­se ridotto la popolazione rurale, se ne traeva anco­ra una notevole produzione di granaglie. Un’altra notevole tenuta dei C. era quella del casale di Filissano, presso Nepi. Il patrimonio di famiglia fu au­mentato da Giovanni con l’acquisto della tenuta det­ta il Pino, sulla via Cassia (al 12° km, poco prima di Isola Farnese), che gli fu ceduta da Paolo Giordano Orsini, signore di Bracciano (3 marzo 1558). Un al­tro fratello di Giovanni e Ascanio, Agostino, nato a Nepi nel 1506 circa, fu militare per i Farnese e per i re di Francia; morì il 20 ott. 1558 e fu ricordato da Giovanni con iscrizione elogiativa posta nel porti­co del palazzo comunale di Nepi, tuttora leggibile. Quanto ad Ascanio, fu gentiluomo al diretto servi­zio del cardinal Alessandro Farnese; nel 1550 fu suo «conclavista»; in seguito fu cameriere di papa Pio IV. Morì probabilmente nel 1564.

Dalle nozze di Giovanni con Atalanta della Corbara (di nobile fa­miglia dell’Umbria meridionale), celebrate nel 1550 quando lo sposo aveva più di cinquant’anni, nac­quero in pochi anni almeno cinque figli; morto Gio­vanni probabilmente nel 1559 o 1560, la madre ne assunse la tutela fino alla loro maggiore età. Abita­vano nelle case che Giovanni possedeva in Roma nel rione Pigna, presso la chiesa del Gesù, in una strada che dal loro cognome si chiama tuttora via Celsa. In quei luoghi Giovanni aveva condotto ampi lavori, sia per unificare le case (nucleo del futuro palazzo Celsi, già visibile nelle più antiche carte di Roma), sia per sistemarne i prospetti sulla piazza dove si costruiva il Gesù e sulla via che conduceva alle Botteghe Oscure; i lavori di Giovanni sono ri­cordati in una iscrizione (probabilmente fatta porre dallo stesso Giovanni) trascritta dal Forcella.

Dei quattro figli maschi di Giovanni uno fu militare e tre ecclesiastici. Celso fu nelle Fiandre al seguito del principe Alessandro Farnese, ivi governatore ge­nerale, raggiungendo il grado di colonnello; fu poi sergente maggiore in Ungheria (probabilmente alla spedizione del 1595, al seguito di Giovanni Fran­cesco Aldobrandini). Morì intorno al 1600.

Lo­renzo (v.) fu sacerdote, referendario di segnatura, protonotario apostolico (16 ag. 1567), abbreviatore pontifìcio, tutte dignità ottenute ancor giovanissi­mo; fu poi prolegato della provincia del Patrimonio per conto del Cardinal Farnese (1575), governatore di Perugia (28 dic. 1577, per due anni), di Ascoli Piceno (3 ag. 1583, per un anno), della provincia di Campagna e Marittima (12 apr. 1589, per due anni), infine vescovo di Castro (dal 19 luglio 1591). Non è escluso che i C., abitando dirimpetto al Gesù, ne abbiano in qualche modo sorvegliato i lavori di costruzione, iniziati nel 1568, lavori che furono voluti e finanziati dai Far­nese; certo in quella chiesa ebbero la loro tomba di famiglia, in cui per prima fu sepolta Atalanta. Va pure ricordato che il Cardinal Alessandro fu dal 1570 governatore di Nepi, dove confermò gli Sta­tuti. Lorenzo fu infine vicelegato di Bologna per conto del Cardinal Paolo Sfondrati (dal 25 apr. 1592 al marzo 1593). Amante di musica, ebbe in de­dica un libro di madrigali del fiammingo Filippo de Monte (1567) e, durante il suo soggiorno a Bolo­gna, uno di Andrea Rota maestro di cappella in S. Petronio (1592).

Non trascurò i beni di famiglia a Nepi, dove Alfonso Ceccarelli gli dedicò il fanta­sioso Tractatus de antiquitate et origine urbis Nepesinae (ms. nell’Archivio comunale di Nepi), de­finito «insieme di falsità» dal Tomassetti; quell’au­tore era legato alla famiglia Monaldeschi, che con i C. si era imparentata alcuni anni prima; esaltando le antichità di Nepi, intendeva dunque rendere omag­gio, tramite Lorenzo, ai suoi signori. Sempre in re­lazione a Nepi, nel 1594 Lorenzo fece disegnare una pianta della zona del lago di Vico all’architetto Giovanni Stefano Garzoni. Morì all’inizio del nuo­vo secolo, forse nel 1603, lasciando erede la sorel­la Isabella, giacché i fratelli maschi gli erano pre­morti.

Francesco era ancora un bambino quando divenne titolare di un canonicato in S. Pietro in Va­ticano (23 marzo 1561), certo per volontà del car­dinal Alessandro Farnese, che della basilica era ar­ciprete, con piena giurisdizione su quel clero. Al­cuni anni dopo Francesco rinunziò a quel posto di canonico in favore del fratello Orazio (23 dic. 1584). Non sembra si sia mai fatto sacerdote. Morì nella casa al Gesù il 21 nov. 1597.

Orazio era di sicuro sacerdote; oltre che canonico di S. Pietro, fu vicelegato della provincia del Patrimonio per con­to del cardinal Farnese (1585-86); poi fu fatto ve­scovo di Melfi (16 luglio 1590). Morì nel 1592. La salma fu traslata a Nepi ed ivi sepolta nel duomo di S. Romano con orazione funebre di Vicente Blas García di Valencia, un umanista legato ai Farnese (l’orazione è dedicata al cardinal Odoardo).

La sorella Isabella verso il 1575 aveva sposato il no­bile romano Domenico Capranica, morto nel 1599; il rapporto tra i C. e i Capranica si strinse ancor più due anni dopo, quando il figlio di Isabella, Bartolo­meo Capranica, sposò Dianora (m. 1630), figlia di Ortensio Celsi, del quale si dirà qui appresso. Ere­ditando da Lorenzo, a sua volta erede degli altri fra­telli, Isabella ebbe nel 1603 tutto il patrimonio del­la famiglia, ma subito alienò la tenuta di Stracciacappe, vendendola al duca Virginio Orsini (6 febbr. 1604). Essendole premorto il figlio Bartolomeo, de­signò per testamento erede universale il nipote An­gelo Capranica, nato nel 1604/05 da Bartolomeo e Dianora. Morì l’11 ag. 1621 e fu sepolta nella tom­ba di famiglia al Gesù.

Il citato Ortensio era nato verso la metà del Cinquecento da Ascanio; visse a Roma nel palazzo di famiglia ed ebbe cariche civi­che: conservatore del Comune di Roma (1° apr. 1585) e «guardiano» dell’ Arciconfraternita del Gonfalone (1622). Sposò Porzia Monaldeschi (1561-1647) e ne ebbe la figlia Dianora, di cui si è già detto. Da questo ramo dei C. discesero altri membri della famiglia, il più illustre dei quali fu Angelo, nato nel 1600 circa, prelato, uditore del Tribunale della Rota (le sue sentenze furono pub­blicate nel 1673), cardinale (14 genn. 1664). Era proprietario della tenuta della Castelluccia sulla via Cassia (all’altezza dell’attuale Raccordo Anulare), che giungeva ad est fin quasi a Prima Porta e mo­strava sulla via Flaminia una rinomata osteria detta Osteria della Celsa. Nel 1674 vi scoprì una tomba antica con affreschi, all’epoca considerata il sepol­cro di Ovidio. Uomo presente anche nella vita mon­dana della capitale, morì nel palazzo romano di fa­miglia il 6 nov. 1671 e fu sepolto al Gesù.

Suo pa­rente era Fabio, nato nel 1602, che per tutta la vita ebbe cariche civiche capitoline (fu conservatore per nove volte), in particolare amministrando gli ospe­dali del SS. Salvatore (oggi di S. Giovanni) e della Consolazione, pubblicandone le Regole (1686). A lui va attribuito il rifacimento del palazzo di fami­glia al Gesù, affidato all’architetto Giovanni Anto­nio De Rossi (1678). Vi morì il 18 ott. 1686.

I C. si estinsero nel primo Settecento (un altro Fabio fece testamento nel 1719) e il palazzo romano passò ai Viscardi. La gran parte del patrimonio terriero, compresa la tenuta di Filissano, erano, come si è vi­sto, passati ai Capranica. Su di esso si era fondata la ricchezza della famiglia; infatti, come scrisse l’Amayden, «perchè erano ricchi de’ campi, de’ quali Nepi abbonda, seguitarono l’arte del campo, ed in essa ebbero fortuna di fare ricchezze essendo favoriti dalli Farnesi allora padroni di Nepi, ma più dal Cielo»; per tal motivo, prosegue lo storico fiam­mingo, sopra il camino nella sala del loro palazzo fecero dipingere il dio del grano secondo la mitolo­gia antica. L’8 giugno 2008 si è tenuto a Nepi un convegno sulla famiglia C.

FONTI e BIBL. – Fondo di documenti familiari in AC, Archi­vio Capranica. BAV, Chigi G VI 165 (Cesare Magalotti, Ar­bori di famiglie romane); Grimaldi, f. 213v. ASR, 30 Notai Capitolini, not. Angelo Giustiniani, uff. 11, Testam., vol. 4, cc. 365-366, 371. AVR, Parr. di S. Maria in Via Lata, Batt. (ivi anche Morti), I, ad diem 11.8.1621; Parr. di S. Marco, Morti, II, ad dies 12.3.1630, 6.11.1671. García 1593; Ar­manni 1682, p. 122; Marocco, XIV, p. 44; Moroni, XXIII, p. 67; Gaspari, III, pp. 117, 164; Amayden, I, pp. 294-295; Tomassetti, III, pp. 27, 28, 153, 154, 253; Silvestrelli, p. 578; Vignolo 1943, pp. 201-202; HC, III, pp. 157, 172, 241; Delli 1975, pp. 274-275; DBI, 23, p. 470; Fiorani 1985, p. 350; Carpaneto 1991, p. 131; Weber 1994, pp. 121, 152, 181,329, 429, 567.

[Scheda di Saverio Franchi-Ibimus]