Corvi Domenico – Pittore (Viterbo, 16 sett. 1721 – Roma, 22 lug. 1803).

Figlio di Giuseppe, a quin­dici anni si sarebbe trasferito a Roma dove sarebbe stato allievo di Francesco Mancini (Orlandi 1776). Nel 1750 vinse, ex aequo con il pittore francese J.F. Vignal, il primo premio del concorso Clementino dell’Accademia di San Luca a Roma.

Dello stesso anno è il ritratto su tela di fra Crispino, attribuitogli di recente e conservato presso il Museo Civico di Viterbo. Le prime esperienze giovanili sono caratterizzate da un profondo legame con il complesso settore delle riproduzioni a stampa. La scelta di praticare tecniche artistiche diverse, dovette essere legata alla necessità del giovane C. di procurarsi autonomamente i mezzi per poter vivere a Roma.

Uno dei primi esempi nel campo delle incisioni risulta essere il disegno per l’antiporta dell’Ufficio della Settimana Santa del 1744, testo scritto alcuni anni prima dall’abate Alessandro Mazzinelli di Valentano. Del 1746 è un altro importante incarico, che conferma il profondo legame con le pubblicazioni di carattere liturgico: le illustrazioni del primo tomo del Bullarium di papa Benedetto XIV, nel quale erano contenute le Constitutiones e le Epistolae edite dall’inizio del suo pontificato sino all’anno della stampa del primo volume. Tra il 1753 e il 1756 realizzò due pale d’altare per la città di Se­nigallia che mostrano l’adozione di un linguaggio autonomo, sebbene orientato al recupero della tra­dizione classicista cinque-seicentesca (Curzi 1998).

L’ammissione all’Accademia di San Luca nel 1756 denota il riconoscimento ufficiale dell’artista, che all’inizio dell’anno successivo realizzò una lunetta dipinta raffigurante la Decollazione del Battista e due medaglioni sorretti da angeli con i profeti Isaia e Abdia per la chiesa del Gonfalone a Viterbo (Angeli 1973): questi affreschi, che costituiscono una delle sue più impegnative prove giovanili, se da un lato mostrano l’adesione alle sollecitazioni di Marco Benefial, dall’altro sono la prova della ma­turità raggiunta dal grande talento, già alla fine de­gli anni Cinquanta.

Le quattro tele (1758), oggi con­servate presso la Certosa di Vedana (Belluno), mo­strano l’interesse dell’artista per la statuaria classica associata allo studio del dinamismo barocco. Nel 1760 eseguì due dipinti per la chiesa romana di S. Marcello al Corso, Mosè abbandonato sulla riva del Nilo e il Sacrificio di Isacco, che nell’impostazione risentono dell’influenza carraccesca e degli affreschi di Raffaello della Stanza della Segnatura, mentre la gamma cromatica accesa e brillante rimanda alla pit­tura contemporanea, in particolare a Corrado Giaquinto. Gli anni successivi, compresi tra il 1760 e il 1780, furono quelli della più intensa attività artisti­ca: la decorazione ad affresco con monocromi di soggetto mitologico, storico e allegorico in una stan­za dell’appartamento settecentesco di palazzo Bar­berini designa C. come il più apprezzato pittore di storia in ambito romano. Furono, infatti, gli anni in cui il pittore si impose come protagonista in alcuni dei principali cantieri romani, quali quelli di palaz­zo Doria Pamphili e palazzo Borghese; per que­st’ultimo il pittore realizzò, tra il 1770 e il 1772, i dipinti di due soffitti, suggellando con i committen­ti un rapporto decennale di stretta e assidua collabo­razione.

All’affermazione professionale di C. a Roma, con il conseguente diffondersi della sua fama, corrispose l’intensificarsi della sua produzio­ne. Tra il 1774 e il 1778 realizzò quattro tele per la cattedrale di S. Orso a Solothurn, in Svizzera, che mostrano, attraverso l’uso di un linguaggio conciso e un rigoroso equilibrio della masse, la progressiva conversione del pittore alle istanze figurative neo­classiche. In tal modo, C. si attestò come uno dei principali protagonisti dell’ambiente artistico del pe­nultimo decennio del Settecento.

Accanto a opere quali il Compianto sul corpo di Ettore del Museo di Montserrat e il Sacrificio di Polissena del Museo Ci­vico di Viterbo, che documentano la piena maturità raggiunta dal pittore e il suo contributo all’elabora­zione della poetica neoclassica in ambito romano, C. continuò ad assolvere alle numerose richieste di pale d’altare inviate, tra il 1783 e il 1789, a Senigal­lia, Macerata, Venezia, Ravenna, Montecelio, Pisa e Pontremoli.

Del 1783 è la tela raffigurante la Beata Giacinta Marescotti che dà la regola al libertino convertito Francesco Pacini, proveniente dalla chiesa viterbese della Confraternita del suffragio ed ora conservata presso il Museo del Colle del Duomo. Nell’ultimo decennio del secolo si evi­denzia il drastico diradarsi delle opere dell’anziano maestro viterbese, ancora partecipe tuttavia di alcu­ne importanti imprese decorative come la Deposi­zione (1792) per il duomo di Spoleto e l’Elemosina di san Tommaso da Villanova (1795) nella chiesa della SS. Trinità a Viterbo, testi figurativi di grande raffinatezza improntati alla massima semplicità sti­listica, segno di una rivisitazione personale e propo­sitiva delle fonti del classicismo.

Parallelamente al­l’attività pittorica C. svolse un importante ruolo in campo didattico ricoprendo numerose cariche pres­so l’Accademia di San Luca e dirigendo più volte la Scuola del Nudo in Campidoglio (nel 1757, 1760, 1775, 1777-1778, 1792, 1801-1802): coerentemen­te con il proprio percorso formativo il pittore assun­se come valore fondamentale, nell’insegnamento ac­cademico, l’esercizio della copia del nudo su esem­plari della statuaria classica oltre che lo studio dal vero del corpo umano. Fu pubblicato postumo il suo manuale Sulle proporzioni del corpo umano e della figura. Tra il 1798 e il 1799 ricoprì, a Roma, la ca­rica di assessore delle Antichità per la pittura, svol­gendo attività di periziatore. Morì a Roma il 22 luglio 1803.

BIBL.G. Felini, Domenico Corvi e l’immagine di fra Crispino, in “Biblioteca e Società”, n. 4, 2008; Orlandi 1776, p. 1403; Thieme-Becker, VII, pp. 499-­500; Faldi 1970, pp. 78-84; Angeli 1978-80; Rudolph 1982; Giuseppe Scavizzi in DBI, 29, pp. 824-827; Benassi 1988, pp. 158-166; Tiziani 1989; Barroero 1990; Curzi 1990; Polidori 1990; Borghese 1995; Faldi 1996; Curzi – Lo Bianco 1998.