Faiani – Famiglia (Viterbo, sec. XI – sec. XVIII)
Antica famiglia viterbese, documentata dal sec. XI (un prete Litolfo de Giovanni de Faiano è citato nel 1088) e fiorita fino al XVII. Fu ascritta al patriziato cittadino nel 1473. Avevano diritti sulla chiesa di S. Stefano, ceduta al vescovo e clero della città con atto del 1° sett. 1127.
Fin dal sec. XIV i F. furono notai; il primo di cui si abbiano rogiti (datati dal 1398 al 1418) è ser Tuccio di Benedetto. Un ramo della famiglia, detto Faiani de’ Nicolassi, espresse personaggi che, accanto all’arte del notariato, assunsero cariche pubbliche: il capostipite Nicola fu podestà di Osimo (1393), Giacomo fu podestà di Acquapendente (1449) e inviato di Viterbo a papa Sisto IV (1471). Alla linea principale della famiglia appartenne Mariotto di Tuccio, notaio (rogiti dal 1434 al 1490), cancelliere del tesoriere della Provincia del Patrimonio (1441-1444) e umanista: sua la trascrizione di un antico manoscritto con le Epistole di Plinio il Giovane (1450). Suo nipote Giulio fu a sua volta notaio (1521-1556) e podestà di Bagnaia (1549). Fu ucciso due anni dopo da Giulio Finiziani.
Nello studio notarile e nella podesteria di Bagnaia gli successe il figlio naturale Curzio, legittimato nel 1541. Accanto all’attività giuridica e a quella amministrativa (ebbe cariche civiche in Viterbo), coltivò le lettere, rendendosi illustre con una Passione di Nostro Signore scritta «in verso heroico» e rappresentata nella chiesa di S. Maria della Verità il 22 marzo 1582, con cori e altri interventi musicali composti da Felice Anerio. Lodato dal contemporaneo Vincenzo Ruscelli, questo lavoro mantenne nel tempo una fama di qualità ancora riecheggiata dal Quadrio, che riporta il giudizio tradizionale di miglior tragedia di quei tempi. Il favore del mondo letterario era dovuto alla bella efficacia con cui Curzio seppe disporre nelle forme della tragedia «regolare» in versi, articolata in prologo, cinque atti e cinque intermedi, un soggetto d’alto valore religioso tante volte trattato nella tradizione popolare delle sacre rappresentazioni, unendo ai sentimenti di una viva devozione il tono «aulico» dello spettacolo di corte.
La tragedia, in endecasillabi sciolti, richiedeva, per la maestà del soggetto e per l’ampiezza in cui esso era svolto, un allestimento solenne, con ben trentacinque personaggi, numerosi cori e comparse d’ogni genere, interne ed esterne all’azione. Particolarmente ricco fu il ruolo della musica, composta da Anerio e affidata per l’esecuzione a quattro distinti gruppi («cori»), diretti rispettivamente da Bernardino Cacciavini, canonico di S. Michele Arcangelo, Girolamo Boschetti, Bernardino Nanino e Leonardo Piccolomini, Maestro di cappella della cattedrale. Un accurato resoconto dell’opera e della rappresentazione fu dato da Domenico Bianchi nella sua manoscritta storia di Viterbo. Il 6 apr. 1582, alla terza rappresentazione della sua Passione, Curzio ebbe un malore e morì.
Dalle nozze con Cinzia de Antiquis aveva avuto numerosi figli. Tra essi Vincenzo fu canonico della cattedrale (1606), Orazio proseguì l’attività legale paterna, mentre Ottavio, battezzato il 28 febbr. 1572, si laureò in medicina ed ereditò la passione per le lettere. Membro della viterbese Accademia degli Ardenti (della quale nel 1636 era decano), prese parte alla pubblicazione della commedia Intrichi d’amore attribuita al Tasso, per la quale scrisse un sonetto (1603); l’anno dopo curò l’edizione della Passione del padre (Viterbo, appresso Girolamo Discepolo, 1604), dedicandola al Cardinal Peretti Montalto e riportandovi notizie sull’apparato e sui costumi della rappresentazione del 1582. Morì il 23 dic. 1637. Lasciava numerosi figli, avuti da Apollonia Lucatelli di Vetralla; tra essi Nicola fu canonico della cattedrale (1642). Poiché non si ha notizia di discendenza né dai figli di Orazio né da quelli di Ottavio, alla metà del Seicento la famiglia deve essersi estinta, salvo un ramo secondario proveniente da Roccalvecce. I F. ebbero casa in piazza Santo Stefano (detta anche piazza Faiana); altre a Pianoscarano e al Ponte del Duomo (venduta loro dai Del Drago); dal 1473 ebbero cappella di famiglia nella cattedrale, intitolata alla Natività di san Giovanni Battista.
BIBL. – Quadrio, IV, p. 71 ; Signorelli 1968, pp. 132, 133-134; Franchi 1988, pp. 31-32; Angeli 2003, pp. 208-210, 698-699 (con completo albero genealogico e rif. alle fonti d’archivio).