Falaschi, Anton Angelo – Pittore (Viterbo, 1701 [?] – Ivi, lug. 1768).

Figlio del medico Marcello e di Maddalena Alimenti, nipote dei pittori viterbesi Anton Angelo e Francesco Maria Bonifazi, si pre­sume sia nato a Viterbo nel 1701, dal momento che un atto del 1768 ne attesta l’avvenuta morte all’età di 67 anni. Svolto il suo apprendistato artistico sot­to la guida dell’anziano zio Francesco Bonifazi, nel 1724 il giovane artista si stabilì a Roma ove, nel 1733, sposò Girolama Trezzi; nulla si conosce del­la sua produzione romana fino al definitivo ritorno a Viterbo avvenuto nel 1744. Sebbene la maggior parte delle opere viterbesi dell’artista siano andate perdute, recenti studi hanno gettato nuova luce su di una personalità che, seppur marginale ai grandi eventi artistici del periodo, si rivela sensibile alle tendenze pittoriche romane della prima metà del sec. XVIII e protagonista non trascurabile della sce­na artistica del Settecento viterbese.

Documentata è la sua attività di ritrattista, benché opere come i ri­tratti di papa Clemente XII e del conte Pietro Brugiotti siano andate perdute. Databile al 1746 è il piccolo ovale raffigurante San Ludovico e santa Elisabetta, conservato all’interno del convento di S. Maria del Paradiso, che presenta raffinatezze formali vicine a quelle di Francesco Trevisani. Nel 1756 intervenne nella decorazione della chiesa del Gonfalone realizzando l’affresco della lunetta, so­pra l’altare maggiore, raffigurante San Giovanni di fronte ad Erode e due bozzetti, raffiguranti la Fortezza e la Temperanza, firmati e datati anch’essi 1756, caratterizzati dall’«estrema modestia qualitativa […] sordi di colore, dalla composizio­ne scolastica e stentata» (Faldi). Al periodo della maturità appartengono le opere eseguite per la chiesa di S. Maria in Gradi in occasione della ri­consacrazione del 1758, dopo i lavori diretti da Ni­cola Salvi: le tele raffiguranti la Madonna del Ro­sario e quella con il San Giacinto risultano pur­troppo irreperibili, mentre il dipinto avente per sog­getto San Pietro martire è oggi conservato nel san­tuario di S. Maria della Quercia.

Negli stessi anni (1758-59) il pittore fu impegnato nella realizzazio­ne, all’interno del refettorio del monastero di S. Maria della Visitazione, dell’affresco raffigurante l’Ultima cena, in cui evidente è l’incertezza del di­segno nella costruzione prospettica e volumetrica della figura. Di altro tono e di più alta qualità arti­stica sono le due tele, nella chiesa dello stesso mo­nastero, raffiguranti l’una la Vergine con i santi Be­nedetto e Bernardo e l’altra la Trinità con i santi Benedetto e Bernardo:  in queste opere l’artista ap­pare sensibile al classicismo di Carlo Maratta, me­diato dai suoi numerosi allievi e seguaci che domi­narono la scena artistica romana nella prima metà del Settecento, le cui opere (Sebastiano Conca e Francesco Trevisani) presenti nelle chiese del Vi­terbese, esercitarono su di lui una certa influenza. Rimane da chiarire, per mancanza di riscontri nel­la produzione dell’artista, soprattutto di quella an­cora sconosciuta del periodo giovanile, il rapporto di F., dichiaratosi «educatum et edoctum» a Roma presso lo studio di Marco Benefial, con il noto pit­tore romano. Alla morte venne sepolto, per sua esplicita volontà, nella chiesa di S. Giovanni degli Almadiani.

BIBL. – Coretini 1774, p. 133; Scriattoli 1915-20, p. 444; Fal­di 1970, p. 76; Angeli – Ricci 1998; Angeli – Ricci 2001.

[Scheda di Simona Finardi- Ansl]