Garampi, Giuseppe – Cardinale (Rimini, 29 ott. 1725 – Roma, 4 mag. 1792).
Figlio del conte Lorenzo e della marchesa Diamante Belmonti, Giuseppe si interessò con straordinaria precocità agli studi storici e partecipò alla scuola di Giovanni Bianchi (Ianus Plancus). A 17 anni lasciò Rimini passando a Firenze e poi a Modena, dove incontrò Ludovico Antonio Muratori. Con il Muratori era già in corrispondenza da un anno, da quando cioè era stato nominato, a soli 16 anni, vicecustode della Biblioteca Gambalunghiana; lì aveva cominciato a studiare gli antichi codici conservati. Ritornato a Rimini, forse nel 1744 quando gli Austriaci sgomberarono la città, a 20 anni si procurò la fama di «giovane di grande ingegno, di ottimo gusto, e di molto sapere», qualità a cui si accompagnavano «rara modestia, illibatezza e pietà» (Tonini, p. 465). Ma in città restò poco, perché ben presto si trasferì a Roma, dove risiedeva lo zio materno Alessandro Belmonti, ciambellano di Benedetto XIV e canonico di S. Pietro: tra l’appoggio di parenti e amici e lo sfoggio delle sue eccelse doti intellettuali iniziò la carriera ecclesiastica. Fu ordinato sacerdote nel 1749 e nello stesso anno pubblicò il De nummo argenteo Benedicti III pont. max. (Romae, Nicolaus et Marcus Palearini typographi et bibliopolae Romani), opera che gli procurò l’incarico prima di coadiutore e poi di prefetto nell’Archivio Segreto Vaticano da parte di papa Benedetto XIV: venne poi nominato canonico di San Pietro e prefetto dell’archivio di Castel S. Angelo. Nel decennio successivo passato nel lavoro di riorganizzazione e di studio della documentazione dell’Archivio Segreto Vaticano e di avvio della redazione di indici, il G. costruì quella conoscenza della storia della Chiesa e del papato di cui avvalse nella successiva carriera diplomatica.
Nel 1761 papa Clemente VIII lo inviò alla Dieta di Augusta che doveva regolare la pace alla fine della Guerra dei sette anni. G., che avrebbe voluto dedicarsi soltanto allo studio, fu invece costretto all’attività diplomatica e politica: egli mostrò così quanto valesse pure in settori tanto lontani dalla sua vocazione di storico. Fu nominato visitatore apostolico in Svezia, si recò nella Selva Nera, a Ginevra, in Svizzera, Germania, Fiandra, Olanda e Francia. Ogni tappa gli servì per annotare, ricercare, esaminare testi, documenti, vicende. In ogni città conobbe letterati e storici, visitò biblioteche ed archivi, acquistò codici e cimeli che andarono ad arricchire la sua biblioteca ma soprattutto gli consentirono di entrare in una rete europea di relazioni culturali e politiche alla quale si deve la sua visione della politica religiosa di quei decenni sempre più incalzata dal diffondersi delle idee illuministiche e antiecclesiastiche.
Nel 1769 salì al soglio pontificio Clemente XIV, che lo conosceva e lo apprezzava. Dopo tre anni lo elesse arcivescovo di Beirut, e lo inviò nunzio apostolico in Polonia, alla vigilia di una lunga spartizione di questo Stato tra Russia, Prussia e Austria. Ancora una volta, dimostrò «tanta prudenza e abilità diplomatica, che non solo si conciliò la benevolenza di quel cattolico e devoto Re Stanislao, ma ottenne ancora la stima di Catterina imperatrice delle Russie e di Federico il grande» (Tonini, p. 469). Il 16 marzo 1776 venne nominato nunzio apostolico a Vienna presso l’imperatore Giuseppe II, e il 20 maggio dello stesso anno papa Pio VI gli conferì il vescovado di Montefiascone e Corneto. Il prestigioso impegno diplomatico lo tenne lontano dalla diocesi per tre anni, e soltanto nel maggio del 1779 il G. riuscì a mettere piede nella sua Diocesi avviando immediatamente la visita pastorale a tutte le parrocchie con un editto che la indiceva datato ancora da Vienna (1 marzo 1779). L’editto specifica minuziosamente tutti i documenti che i luoghi che saranno visitati dovranno mettere a disposizione del visitatore in maniera che il vescovo sia perfettamente informato non solo di statuti, regolamenti, documentazione conservata ma anche degli inventari dei beni, dei bilanci delle attività, dei rendiconti dei benefici e questo per tutte le parrocchie e i luoghi pii soggetti. Una seconda visita sarà compiuta sul finire del suo ministero e nell’intervallo pubblicherà una serie di editti sulle regole per la disciplina dei chierici, sull’osservanza delle feste, sull’insegnamento della dottrina cristiana.
Tra i primi interventi predisposti a proposito del Seminario al quale riservò grande attenzione si trova la ricostruzione della palazzina collegata all’istituto ove erano sistemati alcuni appartamenti per gli insegnanti e gli ambienti che accoglievano la tipografia. Si interessò poi al grande palazzo Farnese esistente a Gradoli, praticamente inutilizzato, e decise di adattarlo a convitto ecclesiastico, dipendente dal Seminario, per il perfezionamento dei giovani sacerdoti che, terminati gli studi, si trovavano temporaneamente senza uffici. Nel 1782 venne incaricato di recare in nome del papa l’assoluzione in articulo mortis a Pietro Metastasio, poeta della corte viennese. Dopo la nomina a cardinale col titolo dei SS. Giovanni e Paolo, del 14 feb. 1785, lasciò la nunziatura di Vienna e si raccolse nella sua diocesi ove, tra l’altro, poté riprendere l’attività di studioso, mentre il suo fervore pastorale appare rivolto al recupero delle indicazioni originali del predecessore Marco Antonio Barbarigo.
In questo senso provvide a migliorare le attività agricole, tra l’altro proteggendo la Società georgica di Corneto; sostenne l’attività di filatura locale; fondò istituti assistenziali; risanò lo stato economico del seminario, come risulta dalle determinazioni delle adunanze della Congregazione economica; invitò illustri professori a insegnare; si avvalse di esperti direttori spirituali, portando a grande fama il Collegio-Seminario di Montefiascone sia in Italia che all’estero; rifornì la biblioteca del Seminario di libri e manoscritti preziosi. Tra le molte donazioni librarie vi erano dei preziosi codici, alcuni fogli membranacei miniati, due salteri, molte opere di teologia e di filosofia, la Bibbia poliglotta del Walton e il celebre e rarissimo Thesaurum hebraicum dell’Ugolini. Altra indicazione sulle donazioni si ricava da due lettere di un ebraicista dell’epoca, Giovanni Bernardo de Rossi, dalle quali si rileva il suo grande interesse ad acquistare i preziosi manoscritti ebraici e caldaici che il cardinale aveva donato alla biblioteca del seminario.
Durante i sedici anni di episcopato montefiasconese, aveva trasformato il palazzo vescovile in una immensa biblioteca di cui aveva dovuto, per il peso straordinario, rinforzare le pareti e il pavimento che minacciavano di cadere, tanto che era nato il detto: «Dio ti salvi dai tuoni, dai lampi, e dalla biblioteca del Cardinal Garampi».Nel 1788 gli fu affidato il protettorato del Collegio germanico-ungarico. Già afflitto da reumatismi e da idropisia, trascorse gli ultimi anni della vita viaggiando tra Roma e Montefiascone. Nel frattempo aveva deciso di far ingrandire la struttura del seminario che, a causa delle numerose richieste di ingresso, cominciava a dimostrarsi inadeguata.
Il 4 maggio 1792 morì a Roma per una febbre con «infiammazione di petto» senza poter dar inizio al progetto; l’ampliamento verrà realizzato dal successore Bonaventura Gazola. Dopo i funerali, celebrati a Roma a Sant’Apollinare, venne sepolto nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, di cui era titolare. La sua biblioteca privata e l’altra ricchissima che aveva raccolto a Roma vennero spartite fra la Vaticana e la Gambalunghiana di Rimini. Un suo lascito fu destinato alla raccolta e rilegatura delle visite pastorali che erano state conservate nell’Archivio della Curia sino ad allora: gli esecutori delle sue volontà, non essendo archivisti, separarono la descrizione delle chiese e dei luoghi pii dalla documentazione che all’origine era vi collegata rendendo in parte inefficace il suo volere che era quello di costruire una raccolta organica di tutto il materiale documentario che in occasione delle visite veniva raccolto.
Il suo lavoro più impegnativo resta l’Orbis Christianus, un «magazzeno immenso», come il cardinale lo definì in una lettera del 1781, al quale aveva cominciato a lavorare nel 1751, con tre o quattro collaboratori da lui pagati. Doveva essere la storia di tutti i vescovadi della cristianità, ma era destinata a rimanere inedita; il relativo vasto schedario, in 124 volumi, ancora oggi costituisce l’indice più completo dello stesso Archivio Vaticano
BIBL. e FONTI – Cedido, Archivio dell’antica Diocesi di Montefiascone-Corneto, Serie “Visite pastorali”, Fld. XVI e XVII. Moroni, XXVII, pp. 169-172; Bergamaschi 1919, pp. 520-579; Ceccarelli 1928-33, II, pp. 33-35; Tonini 1987; Marina Caffiero in DBI, 52, pp. 224-229.
[Scheda di Giancarlo Breccola – Ibimus; integrazione di Luciano Osbat – Cersal]