Laziosi – Famiglia (Viterbo, secc. XVII-XVIII)
Originaria di Forlì, poi stabilita a Viterbo ed ivi inserita nell’albo del patriziato viterbese (1614), mentre l’aggregazione nobiliare fu riconosciuta il 22 marzo 1637 nella persona del dottore di legge Francesco Laziosi di Ottavio (25 marzo 1647). Diversi suoi membri esercitarono le professioni di speziale e di medico: Camillo (1605), Giovanni di Cinzio (1605), i fratelli Carlo e Giuseppe di Giovanni (1640).
Nel 1603 si ha notizia di una bottega di spezieria nella Strada Romana presso la chiesa di S. Stefano, gestita da Cinzio e Ottavio di Francesco, mentre il 29 gen. 1619 Lazio di Anselmo vendeva a Giovan Domenico Verreschi la sua aromateria, posta in piazza S. Stefano all’insegna del Moro. Fin dal 1603, Cinzio L. aveva attivato una cartiera edificata sulla vecchia Strada Romana al 46° miglio, presso il secondo ponte di Roma, ottenendo dal Comune di Viterbo l’autorizzazione a raccogliere tutti gli stracci da impiegare nella produzione di carta fine.
Il 6 giugno 1629, Domenico, insieme ad Ottavio, affittava una cartiera del duca di Parma posta nel territorio di Marta, ottenendo due anni dopo (30 set. 1631) dal cartaro genovese Giovan Agostino Dondo l’appalto per la raccolta dei cenci in Toscanella. Domenico ebbe due figli: Ottavio, che si laureò in legge praticando il notariato dal 1667 al 1701 e Ludovico che si sposò (8 genn. 1680) con Maria Maddalena Venerini, sorella di santa Rosa Venerini, fondatrice delle scuole per giovani fanciulle. I due figli della coppia, Domenico e Ignazio, vendettero le proprie quote della tenuta e della cartiera della Montagna (cartiera di Roncone) all’ecclesiastico Giacinto Pilastri, governatore di Viterbo e della Provincia del Patrimonio (2 luglio 1720).
Dallo speziale Lazio di Anselmo e da Lavinia Fiorelli, nacquero diversi figli tra cui Antonio e Anselmo. Antonio (4 maggio 1631 – 1698), ottenuta la laurea in medicina, partì per la Polonia dove fu al servizio del re Giovanni Casimiro e, dopo la sua abdicazione (1668), fu confermato dal nuovo sovrano Michele. Venne aggregato alla nobiltà polacca ed eletto consigliere confidente del re, ottenendo la signoria del villaggio di Zabloth. Cambiò il proprio cognome in Zablorski, si sposò con una dama di compagnia della regina ed ebbe diciotto figli. La sua casa a Viterbo era posta nella salita dell’Orologio Vecchio, a mano sinistra; sul prospetto appare l’arme del re di Polonia, scolpita in pietra da Salvatore Orioli (1667). Anselmo (n. 14 genn. 1614) fu medico condotto a Bagnaia (1655) e a Celleno (1667). Molto noto come medico pratico, scrisse un saggio sulla peste, che allora imperversava nel Napoletano (Breve discorso sopra la peste, Ronciglione, per Giacomo Menichelli stampator publico, 1656). Al Breve discorso, che era suddiviso in due parti (la prima dedicata al contagio di Napoli, la seconda alla peste polmonare in generale) aggiunse, nello stesso 1656, una terza parte (Il contagio contemporaneo, Ronciglione, per Giacomo Menichelli stampator publico, 1656), che dedicò da Bagnaia al conte Claudio Marazzani commissario generale sopra la sanità.
Alcuni anni dopo pubblicò un commento sugli aforismi di Ippocrate (In Hippocratis aphorismos omnes perbreves commentarii eorum in versus vernaculos versio. Ab ea certe, quae de Graeco habetur latiali ex Textu, atque excerptae omnes A. C. Celsi versiones, Giovanni Battista, figlio di Giacomo, divenuto frate cappuccino con il nome di Michele, ebbe vita esemplare e fu avvincente predicatore. Guardiano nel convento di Gallese (1640), assunse il 20 maggio 1684 l’incarico di prefetto dei cappellani delle galere pontificie, salpando dal porto di Civitavecchia verso le isole greche. Partecipò alla conquista dell’isola di Santa Maura (6 ag.) e a quella di Prevesa (29 sett.). Morì a Corfù (19 ott. 1684) ed ivi fu sepolto. Un altro Giovanni Battista (n. ca. 1654), figlio di Francesco di Ottavio e della nobile Amatilde Pollastri, si laureò in legge; partecipando attivamente alla civica magistratura, ebbe la carica di conservatore negli anni 1672, 1676, 1690; fu inoltre podestà della terra di Canepina (8 ag. 1676) e governatore di Nepi (21 nov. 1678), su incarico della Congregazione della Sacra Consulta. Arme: inquartato: nel 1° e 4° d’argento all’aquila imperiale spiegata al naturale; nel 2° e 3° di rosso alle tre stelle d’argento. BIBL. e FONTI – AS Viterbo, Notai Viterbesi, Bernardino Tomasselli, prot. 1958, c. 150v.; Coretini 1638; Scriattoli 1915-20, p. 273; Carosi 1962, n. 3; Rhodes 1963, pp. 147, 171; Giorgetti Vichi 1977, p. 224; Frittelli 1981a, pp. 217-220; D’Orazi 1991, n. 58; Angeli 2003, pp. 271-273, 736-737.