Manzi, Guglielmo — Bibliotecario, scrittore (Civitavecchia, 25 ago. 1784 – Roma, 21 feb. 1821).
Figlio di Paola Bianchi e di Camillo, agiato commerciante di famiglia originaria di Castellammare di Stabia stabilita a Civitavecchia dalla fine del sec. XVII, con il fratello minore Pietro frequentò il seminario di Montefiascone; si trasferì poi a Roma nel Collegio Nuovo degli Scolopi. Terminati con profitto gli studi, si recò per un breve periodo a Livorno e partì poi per un soggiorno formativo in Francia e in Spagna, imparando con sufficiente padronanza il francese e lo spagnolo con l’intenzione di impiegarsi nell’azienda commerciale di famiglia. Rientrato a Civitavecchia, fino al 1808 fu vice console per la Spagna ma, decaduto dall’incarico con l’abdicazione di Ferdinando VII, si stabilì a Roma dove riprese e approfondì gli studi storici e letterari. Durante l’occupazione francese della città attese ai suoi studi e compose un’opera (mai pubblicata) in difesa dell’autorità pontificia dal titolo Dialoghi contro l’occupazione straniera della città. Fu assiduo frequentatore della Biblioteca Vaticana presso la quale trovava copioso materiale di studio; nel 1814 diede alle stampe (Roma, stamp. De Romanis) la sua prima opera di traduzione di Velleio Patercolo, alla quale si rimproverò uno stile arcaicizzante, probabilmente frutto dell’inesperienza del traduttore e dell’influenza esercitata su di lui dalle letture dei testi del Trecento italiano cui si era a lungo dedicato.
Il desiderio del M. di potersi impiegare presso la Biblioteca Vaticana si realizzò nel 1816 quando, alla morte dell’abate Pia, fu nominato bibliotecario della Biblioteca Barberini, che iniziò a riordinare non appena nominato e della quale stese un catalogo manoscritto. Lo studio dei codici greci della Barberini e la redazione del catalogo della Biblioteca Colonna nel 1820 furono le sue ultime fatiche; nella primavera di quell’anno si ammalò, senza per questo rinunciare al viaggio di studio a Oxford che aveva programmato per il mese di agosto. Nel corso del viaggio, infruttuoso per i suoi studi in quanto non riuscì ad incontrare ad Oxford gli studiosi con i quali avrebbe voluto confrontarsi in merito ad alcuni codici greci, i sintomi della malattia si fecero violenti tanto da costringerlo durante il rientro ad una sosta a Lione per un controllo medico. Ai primi di novembre fu di nuovo a Roma, dove morì a soli 37 anni. Erudito spesso criticato dai contemporanei, fu traduttore prolifico di classici della letteratura latina ed editore di opere inedite tratte da codici della Biblioteca Vaticana. Si ricordano le sue traduzioni di Luciano (Il Convito o i Lapiti dal greco di Luciano. Traduzione italiana di Guglielmo Manzi, Roma, De Romanis, 1815, cui seguirono in tre volumi Le opere di Luciano volgarizzate da Guglielmo Manzi, Losanna
Di maggior rilievo fu l’attività di editore cui si dedicò tra il 1815 e il 1818, lavorando su manoscritti ancora interamente o parzialmente inediti conservati presso la Biblioteca Vaticana. Il primo fu Del reggimento e de’ costumi delle donne di m. Francesco da Barberino, pubblicato a Roma, nella stamperia De Romanis nel 1815; si trattava della prima edizione dell’opera, tratta da un manoscritto vaticano, che il Gamba definì «bella, ma poco accurata». Nel 1816 lo stesso De Romanis pubblicò Congiura di Stefano Porcari, descritta da Leon Battista Alberti in lingua latina ed ora tradotta in lingua italiana, in Testi di lingua inediti, tratti da’ codici della biblioteca Vaticana di cui M. aveva curato l’edizione (Roma, De Romanis, 1816). L’opera che gli diede più notorietà e suscitò al contempo le critiche più aspre fu certamente l’edizione del Trattato della pittura di Leonardo da Vinci, rimasto manoscritto fino a quel momento nel Codex Urbinas Latinus 1270. Manzi lo pubblicò nel 1817 per i tipi del De Romanis con il titolo Trattato della pittura […] tratto da un codice della Biblioteca Vaticana e dedicato alla maestà di Luigi XVIII re di Francia. Corredato da una Vita di Leonardo a cura dello stesso M. e annotazioni di Gherardo De Rossi, suscitò violente critiche da parte dei redattori della «Biblioteca Italiana». M. reagì con particolare risentimento attaccando in particolare Pietro Giordani e Vincenzo Monti che riteneva fossero i suoi critici più severi. Colpito dalla violenza della reazione di quello che definì uno «scrittorello», il giovane Giacomo Leopardi compose contro di lui i cinque Sonetti in persona di Ser Pecora fiorentino beccaio (pubblicati nell’edizione dei Versi del 1826) nei quali dileggiava il civitavecchiese dal cognome così simile al manzo che viene condotto al macello. Si ricorda inoltre l’edizione del Viaggio di Lionardo di Niccolò Frescobaldi fiorentino in Egitto e in Terra Santa. Con un discorso dell’editore sopra il Commercio degl’italiani nel secolo XIV, pubblicata a Roma, nella stamperia di Carlo Mordacchini nel 1818, tratto dal Codice Vaticano Latino 932. Nello stesso anno e per lo stesso editore M. diede alle stampe Discorso sulle feste, sui giuochi, e sul lusso degl’Italiani nel secolo XVI.
BIBL. – Frati 1933, p. 328; De Tipaldo, I, pp. 74-76 (con elenco delle opere); De Paolis 1982b, p. 179 n. 477; Vitalini Sacconi 1982, ad indicem.
[Scheda di M Giuseppina Cerri – Isrj]